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LA RICERCA EMPIRICA

Da 1 pochissimo a 5 moltissimo quanto

ritiene di aver svolto queste attività con le famiglie?

N/

V.A 1-Pochissimo 2- Poco

3-Abbastanza 4-Molto 5- Moltissimo Valore Modale Informazioni 43 7 9 14 11 2 3 Coinvolgimento nei compiti 42 18 7 9 6 2 1 Condivisione di accordi inerenti il bambino 43 8 4 16 12 3 3 Condivisione di valutazioni 43 5 6 13 16 3 4

Scambi sulla propria storia personale, familiare,

professionale

42 14 11 9 7 1 1

Condivisione di spazi 42 11 16 9 5 1 2

Richiesta di Aiuto per lo svolgimento di attività 42 14 13 13 1 1 1 Richiesta di portare materiali 42 9 13 10 6 4 2 Invito ad altre iniziative 42 8 6 15 10 3 3 Ascolto di particolari esigenze o problemi 42 10 5 10 12 6 4

Rispetto alle prospettive future la maggior parte dei rispondenti è a conoscenza di relazioni tra le famiglie che avvengono anche al di fuori dei laboratori, così come molti bambini sono arrivati attraverso quelli che già frequentavano. Esiste pertanto una rete in movimento che va ulteriormente supportata mediante alcune iniziative. In particolare, la tabella 3.19 mostra che tra le misure scelte con maggiore frequenza da parte dei rispondenti c’è l’incremento degli scambi quotidiani e la rimozione di ostacoli concreti alla partecipazione (come la sistemazione degli spazi o la riorganizzazione in funzione dei bambini di diversa età).

Tab.3.19. Quali tra queste iniziative potrebbero potenziare il coinvolgimento delle famiglie?

(più risposte consentite)

N % di colonna

Incontri e momenti formativi 15 21,24 Supporto per favorire partecipazione 19 27,1 Momenti programmati di incontro al Laboratorio 16 22,9 Scambi quotidiani più frequenti 20 28,6

3.4.2 Osservazione partecipante e diario etnografico

Per conoscere i volontari e le famiglie coinvolte nel Progetto è stato necessario entrare a fare parte del loro mondo, da una parte facendo comprendere il mio ruolo e le finalità della ricerca, dall’altra cercando di capire i processi che consentivano ai volontari di vivere un’esperienza diversa dalle precedenti, e alle famiglie di percepirsi non solo come fruitori di un servizio ma co-produttori del progetto stesso.

Come ricorda Silverman (2008) l’osservazione partecipante120 è una tecnica di ricerca qualitativa che prevede una partecipazione personale agli eventi, piuttosto che una pura osservazione esterna. L’ambizione, è quella di ricostruire dall’interno il profilo culturale della società osservata che solitamente emerge dalle rappresentazioni condivise delle persone, che di quella cultura sono parte. Silverman e altri (si veda Cardano 2001) pongono l’accento sulla responsabilità di tradurre in concrete operazioni di ricerca il lavoro sul campo, coniugando sensibilità metodologica e obiettività dell’itinerario seguito nel proprio resoconto.

In Corbetta (1999, p.368) l’osservazione partecipante è definita come una strategia di ricerca nella quale «il ricercatore si inserisce a) in maniera diretta e b) per un periodo di tempo relativamente lungo in un determinato gruppo sociale c) preso nel suo ambiente naturale, d) instaurando un rapporto di interazione personale con i suoi membri, e) allo scopo di descriverne le azioni e di comprenderne, mediante un processo di immedesimazione, le motivazioni» .

La sequenza delle scelte metodologiche cui è chiamato chi osserva, si configura come «flusso irregolare di decisioni, sollecitate da mutevole configurazione degli eventi che si succedono sul campo» (Cardano, 1997, 50).

In questo flusso di decisioni, ho ritenuto necessario condurre la mia osservazione partecipante in maniera ‘scoperta’ dando a questa scelta una doppia valenza: da una parte, quella di non dissimulare l’identità di ricercatore e dall’altra quella di non compromettere l’identità di assistente sociale, che se ‘scoperta per caso’ avrebbe potuto generare situazioni paradossali e rappresentazioni errate (di chi dall’esterno entra non per fare ricerca o osservazione, ma per fare interventi di servizio sociale volti a modificare o indirizzare la realtà verso altre direzioni

120 Tecnica che nasce nella ricerca antropologica e la genesi dei suoi principi fondamentali è rinvenuta nell’Introduzione ad

Argonauti del Pacifico Occidentale di Malinowski (1973), libro della genesi dell’antropologia moderna secondo Van

Maanen (1988, 10) che mette definitivamente in crisi il modello tradizionale dell’antropologia ottocentesca (che vedeva i nativi come selvaggi primitivi da educare alla civiltà occidentale) introducendo l’obiettivo «di afferrare il punto di vista dell’indigeno, il suo rapporto con la vita, per rendersi conto della sua visione del suo mondo» (Malinowski 1922; trad it.1973,49). Dall’antropologia alla sociologia e dallo studio dalle società primitive alle società moderne, questo approccio e modello fu ripreso in modo particolare negli anni ’20 e ’30 dalla Scuola di Chicago sotto la guida di Robert Ezra Park che realizzò i noti studi sui fenomeni della devianza e della marginalità con esperienze di ricerca che hanno certamente arricchito

ed obiettivi). Spiegare con chiarezza il mio ruolo mi ha consentito di presenziare in numerose situazioni sociali, non confondendomi con un volontario o un operatore e potendo condurre osservazione non offuscata da altre finalità, se non l’osservazione stessa. Il ruolo di ricercatore per la verità è stato accolto molto positivamente e con curiosità dai volontari, facilitando anche la relazione con le famiglie.

L’esito dell’osservazione partecipante è pertanto contenuta in una diario redatto tra ottobre 2011 e maggio 2012: esso contiene il lavoro svolto nel corso di 8 mesi, durante i quali sono stati effettuati anche i focus group e le interviste in profondità. Nel diario sono stati registrati, solitamente in forma narrativa sia gli elementi più descrittivi (eventi, spazi d’incontro, tempi, azioni e regole di interazione), che le categorizzazioni sociologiche di ciò che stava avvenendo come l’assunzione dei ruoli, lo stile della leadership e i processi in atto. Naturalmente, ho proceduto alla registrazione anche delle emozioni percepite dalla sottoscritta durante gli incontri (resistenza, accoglienza, accettazione, agio o disagio ecc…).

Nel corso dei lavori non è stato facile cogliere il punto di vista dei membri del progetto, le abitudini e tutti quegli elementi impliciti dell’interazione sociale.

Immergersi nel contesto sociale studiato significa vivere come e con le persone oggetto di studio, condividendone quotidianità, interrogandole e scoprendone le concezioni del mondo e le motivazioni all’agire, al fine di svilupparne una «visione dal di dentro» che è presupposto per la comprensione.

I principi guida che ho cercato di adottare sono pertanto due: (i) il primo riguarda l’immedesimazione nelle vite degli attori coinvolti, come mezzo per comprenderne il loro punto di vista; (ii) il secondo principio prevede la partecipazione alla quotidianità, in un’interazione continua e diretta con i soggetti studiati.

Detto questo, il materiale raccolto è stato molteplice e pertanto ho cercato di sintetizzare in questa parte solo quello necessario a completare e integrare le osservazioni raccolte mediante gli altri strumenti di ricerca, facendo quindi una scelta tra i contenuti ed escludendo quelli che già emergeranno mediante l’utilizzo di altre tecniche.

Spazio e tempo delle relazioni sono stati gli assi portanti delle mie osservazioni. All’interno di queste due dimensioni sono stati osservati il clima organizzativo e la leadership (mediante la partecipazione alle equipe mensili tra volontari) e gli elementi ricorrenti nelle relazioni tra volontari e famiglie (mediante la presenza presso i momenti di laboratorio), come di seguito sintetizzato.

I) Clima organizzativo e Leadership

I momenti di partecipazione alle equipe mensili sono stati momenti molto coinvolgenti, durante i quali sono entrata pienamente a far parte del gruppo in un clima accogliente e favorevole per diverse ragioni. Nel corso delle riunioni in primo luogo è capitato sovente un giro di tavolo di presentazione o di aggiornamento sulla propria esperienza e solitamente questi momenti hanno fatto in modo non solo di valorizzare le differenze, ma di trovare elementi comuni o di confronto e discussione, oltre la scaletta degli argomenti da trattare. Tali momenti, hanno sempre consentito a tutti di intervenire e dare il proprio contributo. Un aspetto peculiare, registrato nel corso di queste riunioni, è il livello di ascolto e d’interesse verso gli argomenti trattati. Il racconto dei nuovi aderenti al progetto, ma anche dei pionieri seppur ripetuto in alcune parti, conteneva sempre elementi nuovi, di interesse e apprendimento per tutti. La posizione del gruppo in forma circolare, l’alternanza tra gli stimoli proposti dalla coordinatrice e gli interventi realizzati dai volontari è avvenuta solitamente nel rispetto dei turni e senza particolari sovrapposizioni. A caratterizzare la bontà del clima (elemento processuale) sono stati non solo i momenti piacevoli, ma anche quelli di acceso confronto, o di grave preoccupazione. Penso, in particolare, ad alcune occasioni in cui era necessario fare scelte operative comuni nei laboratori, come la realizzazione di feste connotate da finalità religiosa, piuttosto che l’acquisto di alcuni beni di uso comune, o ancora l’organizzazione di aiuti e iniziative a seguito del terremoto. I pareri sono stati talora discordanti, ma in maniera sempre molto rispettosa sono state prese le decisioni. Certamente, il clima che si è costruito è stato favorito anche dalle modalità di gestione della leadership da parte della coordinatrice, che ha impostato un metodo di lavoro atto a favorire sempre una comunicazione aperta e reciproca con i soggetti della rete. La creazione di una mailing list tra tutti i soggetti aderenti ha favorito la diffusione di informazioni, iniziative ed eventi, che vanno oltre gli stessi laboratori. All’interno dei diversi gruppi, inoltre, le informazioni non sono filtrate e inviate solamente dai Referenti (fatta eccezione per pochi gruppi), ma nella maggior parte dei casi più volontari di ogni gruppo sono coinvolti direttamente nelle comunicazioni e hanno possibilità di replica. Questi aspetti caratterizzano le comunicazioni in maniera non gerarchica e verticistica, bensì paritaria e co-responsabile.

Ogni incontro viene inoltre preparato mediante alcuni accorgimenti che fanno parte delle regole organizzative, ma anche degli assunti taciti del gruppo: la decisione congiunta di un ordine del giorno che può arricchirsi dei contributi di tutti; la stesura di un verbale compilato dalla coordinatrice e distribuito a tutti; l’appello dei presenti durante le riunioni e la ‘gestione’

delle assenze sempre motivate all’intero gruppo; la suddivisione (tacita) del tempo di riunione in due parti, quella delle comunicazioni e quella della discussione.

La fiducia mostrata nel gruppo, la grande capacità di reagire alle difficoltà e la sottolineatura della dimensione di gruppo con frasi come «allora cosa decidiamo come gruppo?», o «ricordate che il gruppo ha deciso di…», hanno certamente favorito l’affermazione di una leadership costantemente orientata allo scopo comune. A questo proposito, ricordo la difficoltà vissuta ed espressa da una delle referenti all’avvio del proprio laboratorio, inattivo da diversi mesi: di fronte a quello sfogo il gruppo è stato esortato dalla coordinatrice a pensare che l’avvio di quel laboratorio potesse essere una punta di orgoglio per tutti, non solo per le persone direttamente coinvolte. Di fatto, questo ha spronato comportamenti partecipativi e di aiuto concreto, mantenuti anche nel tempo. La leadership, intesa come processo di influenza, attivazione, facilitazione e riferimento valoriale, può dirsi agita con uno stile autorevole, direttivo nell’utilizzo di alcuni strumenti e democratico nel processo di assunzione delle decisioni. Rispetto a questo ultimo punto, si può citare l’esempio del processo di approvazione del Vademecum «che contiene un insieme di indicazioni condivise dalla Rete delle associazioni aderenti al progetto che vengono assunte come riferimento e formalizzate (con provvedimento dirigenziale del Comune) a favore di tutti». Il Vademecum, che rappresenta l’insieme delle principali regole di gestione sia interne, del gruppo di volontari, che esterne, delle relazioni con le famiglie, è stato approvato in maniera partecipata mediante numerose equipe di confronto in cui sono stati aggiunti, strada facendo, i contenuti. L’esito finale, per la verità, è quella di un documento prevalentemente volto alla tutela di aspetti formali (la sicurezza, gli alimenti, gli spazi, l’assicurazione ecc...), tuttavia ciò che qui preme sottolineare è il processo di corresponsabilità mediante il quale è stato raggiunto il risultato stesso.

Infine, per quanto concerne i tempi e gli spazi di relazione, come anticipato in precedenza, la continuità del metodo di lavoro (riunioni periodiche costanti, con una buona presenza dei gruppi) e la turnazione delle riunioni presso le diverse sedi associative, hanno assunto implicitamente un significato importante: quello della conoscenza, dell’accoglienza e della responsabilità reciproca rispetto agli impegni presi. Durante i mesi di osservazione partecipante la riflessività del gruppo si è focalizzata pertanto sulle modalità operative da adottare all’interno dei gruppi e nelle relazioni con i soggetti esterni. La tabella 3.20 mostra alcune ‘domande guida’ che sono state affrontate nel corso delle riunioni periodiche e che testimoniano l’interesse dei volontari a mantenere vivo il progetto e ad alimentarlo, mettendo

in discussione le proprie modalità operative mediante il confronto interno ed esterno con i servizi.

I EQUIPE

Come possiamo aiutare uno dei gruppi ad avviare il proprio laboratorio? (Azione: invio di nuove famiglie, contatti con i servizi comunali)

II EQUIPE

Come possiamo migliorare le relazioni con le famiglie?

(Azione: confronto tra gruppi sulle diverse esperienze)