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Introduzione Brevi note sul cinema politico e l’“era Bush”

Cosa sia politico nel cinema americano mainstream e cosa non lo sia è argo-

è nostra intenzione ripercorrerla in maniera dettagliata. Ci sono però due poli opposti attorno ai quali si è concentrato e si concentra in gran parte il dibatti- to che è doveroso riportare in apertura, almeno sinteticamente. Da una parte chi ha cercato di definire la conformazione del film politico in maniera chiara, come Michael A. Genovese, il cui Politics and the Cinema: An Introduction to

Political Film è tra i primi, e ancora oggi più sistematici, contributi sull’argo-

mento. Genovese – con occhio da politologo – circoscrive le tipologie del cinema politico intorno a tre modi d’essere: veicolo di propaganda, di cambiamento o immagine ideologica dello status quo2. Dall’altra parte c’è invece chi vede nel

cinema prodotto dalla macchina industriale americana sempre l’espressione di ideologie più o meno egemoniche3. Detto in maniera ancor più sintetica: solo i

film che possiedono determinate caratteristiche sono politici, oppure, tutti i film in quanto prodotti da uno sguardo e organizzati secondo una narrazione sono intrinsecamente politici, nella misura in cui danno forma a un modo di vedere impegnato e, trattandosi di un’ industria, in massima parte reazionario4.

Dovendo situare Good Night and Good Luck nell’orizzonte del cinema ame- ricano contemporaneo, una soluzione di compromesso tra le due proposte pare quella più adeguata a contestualizzarlo. All’interno di un panorama produttivo ormai frammentario – in cui il confine tra le pratiche mainstream e quelle in- dipendenti è assottigliato quando non assente – non sembra possibile riferirsi a un diffuso sguardo egemonico del cinema di sistema. Allo stesso modo è ridut- tivo pensare l’elemento “politico” del cinema americano (attuale e non) solo in relazione a categorie rigide e legate alla definizione di opposizioni nette5. Gary

Crowdus in A Political Companion to American Film chiarisce sin dall’introdu- zione quanto sia ovvio affermare che ogni film è politico, dal momento che lo

2 Michael A. Genovese, Politics and the Cinema: An Introduction to Political Films, Ginn

Press, New York, 1986.

3 Ci limitiamo a citare un testo esemplare per metodo: Michael Ryan, Douglas Kellner,

Camera Politica: The Politics and Ideology of Contemporary Hollywood Film, Indiana

University Press, Bloomington, 1988.

4 Mark Sachleben, Kevan M. Yenerall, Seeing the Bigger Picture: Understanding Politics

Through Film and Television, Peter Lang, New York, 2004, p. 9. La traduzione delle cita-

zioni in lingua, quando non disponibile, qui come altrove, è da considerarsi nostra.

sono la gran parte degli atti e degli artefatti culturali. In ugual misura è altret- tanto ovvio convenire con Ernest Giglio, quando, nel più recente e completo studio sui rapporti tra Hollywood e la politica, fa notare quanto la politicità di un film più che in un decalogo di caratteristiche fisse, o nella vaghezza di un sistema opprimente, vada ricercata nelle intenzioni, che sono a seconda dei casi più o meno evidenti6. Sintetizzando di nuovo: ci sono film che intendono

sortire direttamente un “effetto politico” mentre altri lo intendono meno o per niente (anche se a posteriori farne una lettura in tal senso è di fatto possibile).

Gettando uno sguardo alla produzione hollywoodiana degli ultimi quindici anni, attraverso la lente dell’intenzionalità politica, appare chiaro quanto il numero dei film che vogliono essere manifestamente politici sia aumentato rispetto ai due decenni precedenti. Sottolinea Douglas Kellner che l’“era Bush-Cheney” ha acutizzato il conflitto, negli ultimi trent’anni sempre più blando, tra progressisti e conservatori a Hollywood, come in tutti campi dei media statunitensi7. Una radicalizzazione che è conseguenza

diretta dell’importanza riservata all’uso dei media da parte della corrente politica neoconservatrice8 – nata tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei

Novanta – di cui la presidenza Bush-Cheney è stata la massima espressione istituzionale. Un conservatorismo inedito, quello neo-con, populista in ma- niera nuova, interessato per la prima volta a porre programmaticamente le proprie radici nel cuore mediatico della nazione9 e alla continua ricerca di

un violento conflitto nei campi della produzione di immaginario10. Questo

rinnovato clima di scontro pubblico ha portato a una produzione massiccia

6 Ernest Giglio, Here’s Looking at You. Hollywood, Film and Politics, Peter Lang, New

York, 2007, pp. 35-36.

7 Douglas Kellner, Cinema Wars: Hollywood Film and Politics in the Bush-Cheney Era,

Wiley – Blackwell, New Jersey, 2009, pp. 8-15.

8 Si vedano oltre alla profetica analisi del politologo conservatore Mark Gerson, The Neo-

Conservative Vision: From the Cold War to Culture Wars, Madison, London, 1996, anche

la “bibbia” neo-con scritta dal suo principale ideologo, Irving Kristol, Neoconservatism:

The Autobiography of an Idea, Free Press, New York, 1995, e il reportage di Bob Moser su

Dennis James Kennedy, uno dei leader più autorevoli della nuova destra americana, The

Crusaders: Christian Evangelicals are Plotting to Remake America in Their Own Image in

«Rolling Stone», 7 April 2005.

9 Mark Gerson, The Neo-Conservative Vision, cit., p. 11.

10 Il compendio più interessante sull’aggressività pervasiva dei programmi degli ideologi

neoconservatori è Chris Hedges, American Fascists: The Christian Right and the War on

di film che prendono posizione – in maniera diretta o meno ma comun- que esplicita – rispetto alle scelte dell’amministrazione Bush, soprattutto in campo di politica estera, sicurezza interna e religione11. Correndo il rischio

di semplificare, per avere una visione d’insieme, si può riassumere dicendo che da un lato si è intensificato il numero di disaster e super-hero movies, spesso espressione, a gradiente più o meno alto di conservatorismo, di an- sie etichettate come “post 11 settembre”. Dall’altro un grande numero di attori e registi ha deciso di schierarsi, in particolare dopo l’attacco all’Iraq del 2003, contro le politiche di George W. Bush e di contestarle anche attraverso il cinema. In entrambi i casi, come notato da Kellner, allegoria è il termine grazie al quale buona parte di questa diversificata produzione può essere contenuta nello stesso insieme12. È infatti un cinema che spesso

ricostruisce mondi passati o ne fabbrica di immaginari, per riflettere sul presente creando forti corrispondenze simboliche.

Good Night and Good Luck si inserisce in modo abbastanza “comodo” nel

panorama sopra delineato. Un’operazione sul quel confine sempre più sottile tra indipendente e mainstream, che a un assetto produttivo economicamente leggero (sette milioni di dollari il budget dichiarato) mette insieme star e dunque possibilità di promozione e ricezione high-budget. Si tratta poi di un film scritto, prodotto, diretto e interpretato da una serie di personalità liberal impegnate in iniziative contro l’amministrazione Bush. Detto ciò il film di Clooney è, a nostro avviso, riprendendo quanto affermato nell’introduzione, estremamente distante dal contesto in cui si situa pur con una certa precisione.