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Un saggio storico complesso

Good Night and Good Luck sembra dunque conforme alla tipologia del film

politico dell’“era Bush”, in particolare riprendendo le parole di Kellner, a causa della sua componente allegorica apparentemente spiccata. Clooney rac- conta di un passato (gli anni Cinquanta del maccartismo) nel quale – grazie all’impegno di un gruppo di persone del mondo dei media – crolla un siste- ma in cui un solo uomo, al comando di un organo estremamente potente, si arrogava il diritto di stabilire chi fosse amico o nemico dell’America. La

11 La filmografia è decisamente vasta e non è questa la sede per riassumerla, si rimanda al

già citato Cinema Wars di Douglas Kellner, il contributo più completo sull’argomento.

corrispondenza con il contemporaneo è tanto limpida quanto facile. Tuttavia questa è appunto solo la superficie di un film che può definirsi allegorico solo nell’accezione data al termine da Walter Benjamin – lontana dall’uso fatto- ne da Kellner – per cui allegoria non è il chiudersi didascalico nel simbolo universale, ma una frammentaria apertura al mondo e alla Storia nella loro complessità. Perché quello di Clooney oltre che politico è anzitutto un film storico, che non ricostruisce però un passato remoto o leggendario, facilmen- te connotabile in maniera a-storica (quando non anti-storica), retorica e me- taforica: l’antica Roma, la Grecia dell’Iliade, il tempo delle Crociate, oppure gli anni della guerra d’indipendenza o civile. E non mette in scena nemmeno un momento del Novecento ben definito nell’immaginario americano (cine- matografico e non) come, per esempio, il ventennio Sessanta-Settanta, con le lotte per i diritti civili, l’uomo sulla Luna, Martin Luther King, Kennedy e la guerra del Vietnam. Gli anni Cinquanta, in cui è ambientato Good Night and

Good Luck, rappresentano una sorta di buco nero, ricordati dalle narrazioni

cinematografiche attuali soprattutto per le loro piccole e grandi oppressioni domestiche13. Anni oscuri e dimenticati, come la persecuzione maccartista

che li ha aperti e segnati nel profondo. Basti pensare che a una proiezione di prova di Good Night and Good Luck, con pubblico quindi selezionato per es- sere rappresentativo, il 70% degli spettatori ha dichiarato di ignorare chi fosse Joseph McCarthy14. E anche a Hollywood – tra le “istituzioni” più colpite

dalle indagini dell’HUAC – malgrado il ricordo sia vivo e bruci15 di film che

rievochino direttamente il periodo maccartista se ne contano pochi16.

13 Due degli esempi più chiari di questa tendenza sono i pur molto diversi Pleasantville

(id., Gary Ross, 1998) e Far from Heaven (Lontano dal paradiso, Todd Haynes, 2002).

14 Geoffrey Mcnab, Good Nigh and Good Luck, «Sight and Sound», XV, 11, November

2005, p. 26.

15 Il sentimento che ancora anima la comunità hollywoodiana, riguardo alla questio-

ne della lista nera, è testimoniato dalle tante braccia incrociate durante la consegna del premio Oscar alla carriera a Elia Kazan (21 Marzo 1999), tra cui quelle di Clooney, Ed Harris e Nick Nolte (persino quelle di Steven Spielberg stentavano ad applaudire). Si pen- si però anche alla voglia di ritornare su quel periodo di Kirk Douglas, ormai novantenne, che nel suo I Am Spartacus!: Making a Film, Breaking the Blacklist, Open Road, New York, 2012 (tr. it. Io sono Spartaco. Come girammo un film e cancellammo la lista nera, Il saggiato- re, Milano, 2013) dedica al maccartismo e alle sue vittime parole dure, lucide e toccanti.

16 Tralasciando i film che evocano il maccartismo in maniera indiretta e metaforica pos-

siamo citare: The Front (Il prestanome, Martin Ritt, 1976), Guilty by Suspicion (Indiziato

Clooney ha deciso dunque di raccontare un passato difficile, non condi- viso e rimosso, e ha scelto di farlo, come scritto da Laurent Akin nella più acuta analisi sul film, «in maniera sovversiva negando tutti i recenti canoni hollywoodiani della ricostruzione storica»17. Good Night and Good Luck evita

infatti di essere didattico o didascalico. Se per valutare questi due aspetti oc- corre chiedersi a quale grado di contestualizzazione il film provveda18 è inte-

ressante notare come da subito Clooney deleghi le informazioni sul maccarti- smo che ritiene indispensabili a pochi cartelli iniziali, e soprattutto la volontà di chiudere claustrofobicamente il film sia a livello di struttura narrativa che di regia. L’intera vicenda ha luogo in interni, perlopiù i locali della CBS con i loro spazi angusti (studi di registrazione, sale riunioni, uffici e ascensori) resi ancor più stretti dall’oscurità in cui sono immersi, grazie all’uso di un bianco e nero «stiloso ma onesto»19, proprio perché non ha paura del buio e delle sue

conseguenze. C’è poi un uso insistito e quasi ossessivo del primo piano, per costringere ancora di più il racconto non solo nei luoghi ma sui volti dei suoi protagonisti. Sono le loro storie a dare forma al sentimento20 del periodo, evi-

tando ricostruzioni pedagogiche, stereotipi e lezioni facili. Clooney gestisce cinematograficamente la Storia senza rifuggire dal confronto con le difficoltà della sua scrittura21, ma anzi restituendone formalmente e narrativamente

tutta la complessità dialettica22.

Ancora più radicale è il non assecondare quella che secondo Scott è la tendenza più forte del film politico liberal e mainstream: «la creazione di eroi

17 Laurent Akin, À propos de Good night and good luck (sic). La télévision est une affaire de

morale, «Avant-scène Cinéma» 507, Décembre 2005, pp. 95-97.

18 Trevor McCrisken, Andrew Pepper, American History and Contemporary Hollywood

Film, Rutgers University Press, New Brunswick, 2005, p. 7.

19 Mark Sachleben, Kevan M. Yenneral, Seeing the Bigger Picture, cit., p. 9.

20 A questo proposito si considerino i contributi fondamentali di Robert A. Rosenstone:

Revisioning History. Film and the Construction of a New Past, Princeton University Press,

Princeton, 1994 e Visions of the Past. The Challenge of Film to Our Idea of History, Harvard University Press, Cambridge, 1998.

21 Si veda Hayden White, Metahistory. The Historical Imagination in 19th-century Europe,

John Hopkins University Press, Baltimore, 1973 (tr. it. Retorica e Storia, Guida, Napoli, 1978) e Hayden White, Forme di storia. Dalla realtà alla narrazione, Carocci, Bologna, 2006 (si tratta di una collazione di scritti vari raccolti in un’edizione solo italiana).

22 Si veda a questo proposito Jacques Rancière, Les mots de l’Histoire. Essai de poétique du

e miti, e la riduzione del conflitto a un’opposizione di morali personali»23. In

Good Night and Good Luck, fa notare sempre Akin, volutamente il protagoni-

sta non ha nessun fascino carismatico e nessuna caratteristica tale da renderlo simpatico24. La sua convinzione e la sua morale sono solide e incrollabili e

certo attraggono, ma non vengono mai drammatizzate e sfruttate per creare empatia; non c’è nessuna esemplarità tragica nella sua biografia di finzione. Murrow è un antipersonaggio impassibile e monolitico, non ha un privato o un’evoluzione drammaturgica, così come il suo scontro con McCarthy viene narrato senza enfasi e senza alcun intento persuasivo. Volendo allargare il quadro si può dire che si tratta di un testo a focalizzazione multipla, ma sarebbe meglio dire neutra, in cui lo spettatore non è omologo alla visione di Murrow o di altri personaggi25. Un testo nel quale tutti sono ugualmente

distanti, perché alla giusta distanza deve essere tenuto chi guarda, sospeso di fronte a un mondo e a uno stato di cose che vengono mostrati e non dimo- strati. Good Night and Good Luck non richiede immedesimazione con suoi protagonisti, o un’adesione emotiva al loro privato che, salvo qualche raro momento, non è mai raccontato. Nega qualsiasi facile soggettività in favore di uno sguardo documentario, realista e storico,che osserva dall’alto e punta a creare un senso di solidarietà non con un singolo ma con il sentire dell’epoca messo in scena.

Si tratta dunque di un film politico e storico che non vuole veicolare un messaggio attraverso le azioni e le emozioni dei suoi personaggi ma lasciar emergere in modo rigoroso lo spirito di un tempo, mediando tra il dato e la sua riproposizione finzionale. E lo fa programmaticamente sin dalla sequenza iniziale, che si rivela di estrema importanza per comprenderne l’intera ar- chitettura. Good Night and Good Luck si apre con le immagini della cena di gala dell’RTNDA (Radio and Television News Directors Association and

23 Ian Scott, American Politics in Hollywood Film, Edinburgh University Press, Edinburgh,

2011, p. 34.

24 Laurent Akin, À propos de Good night and good luck, cit., p. 96. Akin sottolinea anche

che nell’età del moralismo anti-tabagista americano il fatto che tutti fumino con gusto è un altro motivo di antipatia.

25 Tra le scelte che concorrono a definire la focalizzazione neutra dello sguardo e la de-

finizione di un universo di comprimari c’è anche quella fatta da Clooney di “mettersi da parte” come attore (così come sono “defilate” le altre due star, Robert Downey Jr. e Patricia Clarkson).

Fondation) del 15 ottobre 195826, durante la quale viene omaggiato Edward

R. Murrow. La messa in scena della serata rende chiara la cifra stilistica che sarà poi di tutto il film. L’inizio è in medias res. Clooney da subito procede per frammenti, dettagli, primi piani, sospende e lascia nell’indeterminatezza lo spettatore introducendolo in un qualsiasi cocktail party laccato anni Cin- quanta; presenta così gli attori principali della vicenda come volti nella folla, mescolati ad altri invitati i quali non avranno invece alcun ruolo nel pro- cedere della narrazione27. Dopodiché avviene l’entrata in scena di Murrow,

introdotto da un conduttore28; non è però l’ingresso trionfale dell’eroe che ha

sconfitto il drago McCarthy, come in un disegno a carboncino del fotografo e pittore Ben Shahn29 e non è quello del protagonista atto a muovere il rac-

conto e a trascinarci con sé. Murrow è ripreso di tre quarti: un profilo scuro che fuma una sigaretta mentre nervoso rilegge i fogli del suo discorso. Inizia poi a parlare e dopo qualche minuto le parole lasciano spazio al flashback che racconta del programma See It Now e in particolare delle puntate dedicate al senatore Joseph McCarthy. Murrow non è tuttavia neanche il narratore in prima persona di questa storia, il suo discorso (sono alcune delle frasi real- mente usate dal giornalista) infatti non rievoca con entusiasmo quei giorni ma è invece una denuncia lucida e disperata del triste destino occorso alla televisione e all’America.

Il suo ruolo allora, all’interno del sistema di enunciazione del film, è si- mile a quello del saggista, che prepara attraverso una premessa le basi dell’ar- gomentazione. Prepara cioè chi guarda a ciò cui dovrà prestare davvero at- tenzione; non a caso il film si conclude ritornando alle parole di Murrow che riprendono quelle dell’inizio (anche qui un passaggio della chiosa realmente pronunciata). Quanto “esposto” tra i due momenti non sembra dunque la messa in scena della vittoria di Murrow su McCarthy, ma quella del discor- so pronunciato alla convention dell’RTNDA. Come scrive Thomas Doherty

26 Nel film viene forse per una svista datata 25 Ottobre 1958.

27 È significativo in questo senso che, quando “sfuma” il discorso di Murrow e inizia il

flashback, a condurre gli spettatori dentro il palazzo della CBS e al centro della vicenda siano due segretarie di redazione “qualunque”, seguite dalla macchina da presa nel loro percorso dall’interno dell’ascensore fino agli studi.

28 A proposito di contestualizzazione, queste poche e veloci parole sono gli unici cenni

biografici pubblici e privati riguardo a Murrow, che non viene mai presentato didattica- mente, malgrado sia un personaggio per lo più sconosciuto negli Stati Uniti di oggi.

«il duello McCarthy vs Murrow è un’elegia e non certo la celebrazione auto indulgente della buona coscienza liberal, tipica di tanti film politici nella Hol- lywood contemporanea»30. Un’elegia nella forma dialogica del saggio, dove il

mondo viene mostrato attraverso una serie di relazioni tra materiali eterogenei che si compenetrano, rivelando così un pensiero in atto31. E ciò che rivelano

è una profonda riflessione sugli anni Cinquanta americani – la stessa fatta da Murrow il 15 ottobre 1958 davanti a un’elegante platea – che va appunto ben oltre una rievocazione confortante, metafora scontata e apologo sulla libertà di stampa in tempi di Patriot-Act.