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Dal sistema alla costruzione di una sensibilità nuova Integrazione, autenticità, quirky

Nell’analisi che Geoff King dedica all’indiewood, questa nuova “zona di con- fine” non nasce con l’idea di essere riserva di registi talentuosi che, controllati

23 Cfr. Rotten Tomatoes, <http://www.rottentomatoes.com/m/juno/>

24 Cfr. Amazon.com, <http://www.amazon.com/Juno-Single-Disc-Edition-Ellen-Page/

dp/B000YABYLA/ref=sr_1_2?ie=UTF8&qid=1350907076&sr=8-2&keywords=juno>

25 A fronte di un budget di dieci milioni di dollari, il film ne ha incassati poco meno di quaranta. 26 Il film arriva all’apice di un processo di costruzione mitologica di se stessa intrapreso

dopo il successo del suo blog in cui raccontava le sue avventure come spogliarellista e proseguito con la pubblicazione della sua biografia e alla sua serie televisiva United States

of Tara, Showtime, 2009-2011. Cfr. Diablo Cody, Candy Girl: A Year in the Life of an Unlikely Stripper, Penguin, New York, 2006 (tr. it. Candy Girl. Memorie di una ragazzac- cia per bene, Sperling & Kupfer, Milano, 2007).

27 Sul consolidarsi del carino (in inglese, cute) come categoria estetica per interpreta-

re il contemporaneo, cfr. Sianne Ngai, Our Aesthetic Categories: Zany, Cute, Interesting, Harvard University Press, Cambridge, 2012.

dalle major, perdono la loro autonomia per garantirsi budget e mezzi, ma per un mutuo scambio tra due universi non più opposti28. Indiewood nasce con

l’idea di sfruttare l’espansione di una nicchia di mercato. Un investimento a costi contenuti (i film che entrano in questa fascia hanno costi ridotti rispetto al mainstream) che garantisce due tipi di ritorni: quello economico, grazie a opere che in alcuni casi diventano dei veri e propri campioni d’incassi, e quel- lo reputazionale e culturale. Hollywood offre ai registi indipendenti mezzi e capitali economici in cambio di lavori in grado di offrire, oltre appunto al ritorno economico, una crescita del capitale culturale dello studio. Da questo punto di vista, è logico che grandi studios aprano divisioni dedicate al cine- ma d’autore (Paramount Vantage, Sony Classics, Fox Searchlight) mentre le grandi case indie, come la Miramax e la New Line, sfruttino budget sempre più consistenti per produrre anche film scritti appositamente per diventare macchine da Oscar29, come The English Patient (Il paziente inglese, Anthony

Minghella, 1996; incassi per 230 milioni e nove premi Oscar tra cui Miglior film) e Shakespeare in Love (id., John Madden, 1999; incassi per 290 milioni e sette premi Oscar tra cui Miglior film). Oppure, che studi di prima grandezza sfruttino il successo di un pattern indie per costruire film campioni d’incassi come nel caso della Dreamworks di Steven Spielberg con American Beauty ((id., Sam Mendes, 1999; incassi per 360 milioni e cinque premi Oscar30 tra

cui Miglior film).

Le necessità produttive, inoltre, si riflettono sulle necessità narrative. I registi

indie, infatti, sembrano via via superare il paradigma tradizionale che vorrebbe

questo cinema interessato a raccontare storie riguardanti il “sommerso” dell’Ame- rica31. Diventare vendibili non è un passaggio indolore: si veda, per esempio, l’iter

produttivo e distributivo di un film controverso come Happiness (Happiness – Feli-

28 Cfr. Introduction: Indiewood in contexts in Geoff King, Indiewood, USA, cit., pp. 1-47. 29 Cfr. Roy Menarini, Il cinema dopo il cinema, cit.

30 Facciamo riferimento alla edizione 72, da non confondersi con la precedente in cui

ha trionfato, appunto, Shakespeare in Love. American Beauty, pur essendo del 1999, ha partecipato alla premiazione del 2000 perché uscito negli Stati Uniti il 17 Settembre, all’inizio della stagione autunnale e quindi iscritto alla selezione per gli Academy Awards dell’anno successivo. Anche questi elementi sono interessanti per comprendere le logiche commerciali di indiewood.

31 Sulle emergenze tematiche del cinema indipendente, cfr. Emanuel Levy, Cinema of

Outsiders. The Rise of American Independent Film, New York University Press, New York,

cità, Todd Solondz, 1998), rifiutato dai suoi stessi distributori dopo la sua realizza-

zione per il modo diretto e controverso in cui affronta temi come la pedofilia32.

Per garantirsi l’accesso a budget considerevoli e la presenza di attori in grado di calamitare una maggiore attenzione del pubblico, i registi possono anche rac- contare vicende complesse o controverse, ma sfumando i toni rendendoli appa- rentemente più leggeri. Paragonando Juno a Happiness, Michael Z. Newman33,

indica nella differenza di tono, nella costruzione di un sistema di riferimenti culturali riconosciuti, nell’utilizzo di un’estetica da fumetto e nell’happy end del film di Reitman i segni di una “generificazione” normalizzante per cui si sarebbe persa la spinta innovativa e di rottura del cinema più apertamente alternativo in favore di una variazione sul tema della commedia per famiglie. Analizzando invece Juno e Little Miss Sunshine (id., Jonathan Dayon e Valerie Fairis, 2006), Geoff King34 identifica nel mix tra distacco ironico – tratto distintivo della “pri-

ma generazione indie” – e sincerità emotiva una caratteristica che porterebbe maggiore mercificazione e maggiore vendibilità. La stroncatura di Juno pubbli- cata da un sito importante e considerato come IndieWire.com si concentra pro- prio sulla sua mancata aderenza a un supposto vero spirito indipendente rispetto a Ghost World (id., Terry Zwigoff, 2001), altro film con protagoniste adolescenti ciniche e disilluse:

Genuinely angry and wistful, “Ghost World” allows each of its zingers to hit with hurricane force, only to revel in the silence and self-loathing afterward. Here, Juno, always ready with a wicked retort, and a bag of slang so heavy it could crush an elephant (and so dated it spoils on utterance: “How about some tuneage?” she asks before popping in a CD), is so obviously a shoot-from-the- hip surrogate for screenwriter Cody that it’s hard to connect with her: every line sounds not only clearly written but also smugly self-regarding35.

32 Cfr. Geoff King, Il cinema indipendente americano, cit. p. 61.

33 Cfr. Indie Opposition. Happiness vs Juno, in David Z. Newman, American Indie, cit.,

pp. 221-247.

34 Cfr. Quirky by Design? Irony vs. Sincerity in Little Miss Sunshine and Juno, in Geoff

King, Indie 2.0: Change and Continuity in Contemporary Indie Film, I.B. Tauris, London, 2014, pp. 23-77.

35 Cfr. Michael Koresky, Attitude Adjustment: Jason Reitman’s “Juno”, «IndieWire.com»,

4 December 2007, <http://www.indiewire.com/article/review_attitude_adjustment_ja- son_reitmans_juno>

Questa lettura è legata all’espansione dell’universo indie oltre la sua nicchia originaria, al suo ingresso nell’immaginario popolare e al mercato mainstream. Oltre a film come Juno, bisogna citare almeno il successo della serie televisiva The

O.C. (FOX, 2003-2007) con i suoi continui riferimenti alla cultura indie sia nei

comportamenti e negli abiti del protagonista Seth Cohen (Adam Brody), sia nel- la colonna sonora composta da canzoni di band indipendenti come Death Cab For Cutie, Modest Mouse e Phantom Planet. Il contesto, poi, è fondamentale anche per come permette la diffusione di determinate pratiche di promozione. Si pensi, per esempio, all’incremento di locandine promozionali che rimandano a un fumetto lo-fi, piatto, privo di sfumature di colore come se fossero le illustra- zioni di Adrian Tomine per il «New Yorker»36. Juno non è certo il primo caso in

cui si riscontra una dialettica tra immagine fumettistica e immagine realistica, a cominciare dalle locandine per arrivare a intere sequenze del film (come quella dei titoli di testa). Si vedano, oltre ai già citati Ghost World, Little Miss Sunshi-

ne e I Tenenbaum, The Squid And The Whale (Il calamaro e la balena, Noah

Baumbach, 2005) e Thumbsucker (Thumbsucker – Il succhiapollice, Mike Mills, 2005). Il successo internazionale del film di Reitman ha però contribuito allo sfruttamento su larga scala di questi elementi che per James MacDowell sono segni che definiscono un universo bidimensionale e naif in cui i personaggi si muovono con purezza e candore (il che spiegherebbe anche le critiche mosse alla caratterizzazione del personaggio di Juno rispetto al genuino distacco indie delle protagonista di Ghost World) costruendo un set di caratteristiche identificate come quirky, termine che indica una sensibilità specifica ricercata a vari livelli (produzione, stile, contesto)37. Secondo lo studio di MacDowell questa parola

viene sempre di più usata come slogan nelle pubblicità dei dvd, nelle tag-line per lanciare i film sul mercato (e non solo)38. Anche nelle recensioni questo agget-

tivo ha una diffusione crescente, riferendosi a un tipo caratteristico di film, in particolare il genere commedia agrodolce e su una famiglia disfunzionale in cui le azioni dei personaggi, buffi, carini e sensibili, si compiono attraverso dialoghi

36 Cfr. Adrian Tomine, New York Drawings, Drawn and Quarterly, New York, 2012. 37 Cfr. James McDowell, Notes on Quirky, «Movie: A Journal of Film Criticism», 1, 2010,

<http://www2.warwick.ac.uk/fac/arts/film/movie/contents/notes_on_quirky.pdf>.

38 Il termine quirky indica proprio una specifica sensibilità, un sentire comune a tutti i campi

della produzione culturale. Cfr. Michael Hirschorn, Quirked Around. The Unbearable Lightness

of Ira Glass, Wes Anderson, and Other Paragons of Indie Sensibility, «The Atlantic», September

ironici e situazioni spiazzanti, camera fissa, inquadrature piatte e frontali, abbon- danza di primi piani, fotografia netta con colori quasi iperrealistici.

Analizzando le evoluzioni avvenute negli anni Novanta, quindi, con la definizione di indie come oggetto riconoscibile, emerge una tendenza alla sistematizzazione e l’adesione a una retorica che non si oppone più alla cultu- ra dominante. Secondo Jeffrey Sconce, la differenza non si deve più cercare a livello stilistico (dove si rileva una certa omogeneità che punta a un com- promesso tra istanze autoriali e sistema di rappresentazione tradizionale che porta lo studioso a definire quello stile come blank) ma a livello di tono:

[…] ‘tone’ suggests a property of a work that cannot be reduced to story, style or authorial disposition in isolation and that is itself only fully real- ized within a narrow historical moment. Engaging this smart sensibility in recent American cinema thus requires attention both the socicultural formation informing the circulation of these films (a ‘smart’ set) and a shared set of stylistic and thematic practices (a ‘smart’ aesthetic)39.

Questo appiattimento è dovuto, nella lettura di Sconce, alla formazione di questa generazione di registi (la già citata Generazione X dei Soderbergh, dei Tarantino, dei Linklater, dei Fincher), capace di passare indiscriminatamente tra diversi universi culturali con un distacco ironico onnicomprensivo che rappresenta una vera e propria marca di produzione culturale (per esempio, nella filmografia di Richard Linklater si trovano prodotti particolari e in linea con l’urgenza della sua generazione come Slacker e Dazed and Confused [La

vita è un sogno, 1993], commedie romantiche intime dal tono più tradizionale

come Before Sunrise [Prima dell’alba, 1996], Before Sunset [Before Sunset – Pri-

ma del tramonto, 2004] e Before Midnight [id., 2013] e prodotti apertamente

mainstream come School of Rock [id., 2003]). Dice Sconce:

Smart cinema might thus be described as dark comedy and disturbing drama

born of ironic distance; all that is not positive and ‘dumb’. [...] American smart

cinema should be seen as a shared set of stylistic, narrative and thematic elements deployed in differing configurations by individual films40.

39 Cfr. Jeffrey Sconce, Irony, Nihilism, and the New American “Smart” Film, cit., p. 352. 40 Ivi, p. 358 (corsivi nostri).

Thank You for Smoking, per esempio, sembra proprio rispondere a queste

caratteristiche. Nel film, Reitman utilizza l’ironia per creare distacco. Pur trat- tando un tema assolutamente realista (il ruolo del tabacco e del lobbismo nella società contemporanea e la libertà individuale come cardine dell’ideologia ame- ricana) la posizione del protagonista Nick Naylor (Aaron Eckhart) è situata da qualche parte fuori dalla narrazione. Non solo per la presenza della voce fuori campo, ma per come questa realtà viene trattata, rappresentata e stilizzata. L’ap- piattimento ironico porta a un grande utilizzo di immagini didascaliche che interrompono il flusso narrativo (per esempio, le sequenze che accompagnano le descrizioni che Nick Naylor fa dei suoi compagni di viaggio, dal capo B.R. [J.K. Simmons] ai colleghi lobbisti di armi e alcolici). I dialoghi sono brillanti, le sequenze sono costruite con l’esatto intento di diventare momenti rappresen- tativi e autoconclusi41 e la messa in scena sembra declinare le formule utilizzate

da registi come Alexander Payne (soprattutto in Election, 1997) e Wes Ander- son (in I Tenenbaum). Come, per esempio, l’utilizzo del grandangolo e le in- quadrature frontali dei personaggi. Riferimenti non casuali: Payne e Anderson sono due personalità autoriali forti il cui successo – critico e di pubblico – ha garantito la diffusione e la riconoscibilità dell’indie.

Thank You for Smoking e Juno sono due lavori molto diversi fra di loro.

Sia stilisticamente, sia per le tematiche che affrontano, i contesti in cui si muovono e i toni della narrazione (più episodico il primo, più lineare il se- condo). I fili rossi che legano i due film sono relativi ad alcune soluzioni – dal tono ironico alla “morale” conclusiva; dalle inquadrature anti-realistiche ai dialoghi brillanti e sopra le righe, contrapposti a una recitazione invece low

profile – che ricorrono in tutti i film che a vari livelli appartengono a questo

orizzonte produttivo. Questi fili consentono di identificare il cinema indie come prodotto di uno “stile collettivo”. Per quanto riguarda Thank You for

Smoking, inserendosi nel filone che Sconce identifica con la: «interpersonal

alienation within the white middle class and alienation within contemporary consumer culture»42; in Juno, conformandosi al fumettismo volutamente naif

distintivo di una sensibilità quirky. Sono film che contribuiscono al processo di stilizzazione dell’indie sia attraverso l’utilizzo di espedienti formali in via

41 Basti vedere la ricaduta del film su Internet: sono presenti tantissimi filmati su YouTube

in cui le singole sequenze vengono catturate e utilizzate senza nessuna attinenza al corpo- film principale.

di consolidamento (l’inquadratura frontale, piatta e leggermente deforma- ta dal grandangolo; la parziale rinuncia al campo/controcampo; il flashback riletto come interpretazione buffa attraverso gli occhi del protagonista); sia utilizzando elementi culturali e strategie commerciali precise (il ruolo di at- tori conosciuti come Rob Lowe o Jennifer Garner in situazioni spiazzanti; la disseminazione di oggetti ironici; dialoghi capaci di far emergere l’apparte- nenza a un universo culturale ben distinto e tratteggiato, ma non per questo incapace di uscire dalla sua nicchia; apparati paratestuali che promettono subito un tipo di intrattenimento non di massa).

Il cinema indie viene “consumato” accanto a tutta una serie di prodotti che hanno poco a che fare con la cultura alternativa. Molti, tra cui Jim Jar- musch43, si sono più volte chiesti se avesse ancora senso parlare di indie come

identificatore di una politica alternativa e come termine capace di creare da solo differenza, distinzione e identità44. Questa normalizzazione porta alla

definizione di uno “stile collettivo” che si può osservare analizzando la diffu- sione di pratiche di messa in scena, modi del racconto e ricorrenze tematiche che – agendo in contesti differenti (dall’universo dei professionisti del terzia- rio avanzato di Thank You for Smoking, ai sobborghi di Little Miss Sunshine) – garantiscono la riconoscibilità di un film come appartenente all’universo specifico dell’indie. Un’indie mercificato, certo, lontano da quel senso di di- stinzione che voleva rappresentare un altro modo di raccontare, di fare ci- nema. Un indie che trova una dimensione di “medietà”, quindi, che diventa medio anche grazie a un linguaggio e uno stile medio45. Vediamo ora come

queste configurazioni agiscono in un film come Tra le nuvole, che diventa an- che il momento di dialogo tra un sistema che ha ormai metabolizzato le spinte della sottocultura indie e un regista che ha dimostrato di potersi muovere in questo tipo di contesto e comincia qui a costruirsi una personalità autoriale.

43 Nel 2005 dichiarava: «[...] l’aggettivo indipendente sta diventando un marchio come

tanti, svuotato spesso di contenuti e di idee». Cfr. Antonio Monda, La magnifica illusione.

Un viaggio nel cinema americano, Fazi, Roma, 2007, p. 619.

44 Non a caso, molti studi sul cinema e sulla cultura indipendente, anche quelli cita-

ti in queste pagine, partono dalla lettura del concetto di distinzione operata da Pierre Bourdieu. Cfr. Pierre Bourdieu, La distinction, Les Éditions de Minuit, Paris, 1979 (tr. it.

La distinzione, Il Mulino, Bologna, 2001).

45 Per quanto riguarda l’assorbimento delle istanze controculturali, cfr. Joseph Heath,

Andrew Potter, Nation of Rebels. Why Counterculture Became Consumer Culture, Harper Collins, New York, 2004.