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L’exceptio veritatis

Nel documento Le presunzioni nel diritto penale (pagine 157-161)

32 Vedi supra cap. 3 § 5.

33 Scorretto, al proposito, ci pare parlare di un mero “onere di allegazione”, su cui vedi supra cap. II, § 5, sub nota 91; se così fosse, basterebbe per l’assoluzione che l’imputato desse una propria versione dei fatti,

prescindendo dall’attendibilità della stessa; ipotesi che, ove accolta, condurrebbe ad un’inevitabile paralisi applicativa della fattispecie; correttamente dunque Cass., sez. II, 7 febbraio 1986, Sufer, in C.E.D., n. 172585, ammonisce che l’imputato “non può limitarsi ad esprimere l’ipotesi che i valori provenissero da attività lecita, ma deve fornire validi elementi di concreta valutazione delle circostanze atte ad avvalorare le ipotesi stesse”; contra Cass., 5 dicembre 1991, cit., secondo cui “è nello stesso interesse dell’accusato fornire una spiegazione plausibile, che si configura come un onere di allegazione e non come un onere probatorio” (corsivo nostro); conforme Cass., 20 gennaio 1965, Schiavi, in Cass. pen., 1965, p. 492.

34 Esprimono tale perplessità B

RICOLA, Teoria generale del reato, cit., p. 89; MAUGERI, I reati di sospetto, cit., p. 977; PAULESU, voce Presunzione, cit., p. 693, che parla sul punto di “acrobazie esegetiche della Corte costituzionale”

35 Sull’argomento in generale si rinvia, per tutti, al fondamentale C

“formale” dell’onore, ossia alla protezione della reputazione della vittima a prescindere dalla veridicità o meno degli addebiti diffamatori36. La disposizione in parola, infatti, conferisce rilievo all’exceptio veritatis37, consentendo all’imputato, in casi determinati e tassativi, di dar prova38 della verità di quanto affermato a carico dell’offeso al fine di ottenere l’impunità39.

Molto si è dibattuto circa le ragioni di politica legislativa che hanno indotto alla previsione delle eccezioni in parola40; e ancora più si è discusso circa la natura giuridica di queste ipotesi di non punibilità41; tali profili non interessano però ai

36

In merito alla contrapposizione tra tutela dell’onore “formale” e di quello “reale”, si veda CORDERO,op. cit., pp. 33 ss.; MORO,Osservazioni sulla natura giuridica della «exceptio veritatis», in Riv. it. dir. proc. pen., 1954, pp. 7 ss.; S.MESSINA, Teoria generale dei delitti contro l’onore, Roma, 1953, pp. 34 ss..

37 Tale tradizione denominazione risulta impropria se, come si riterrà di dimostrare, l’imputato non sia

gravato dall’onere completo di dimostrare la verità dell’addebito, ma possa giovarsi di una prova comunque emersa: di vera e propria “eccezione”, invece, potrà parlarsi solo ove il querelato sia l’unico abilitato a provare la veridicità del fatto offensivo; ed in tal caso, anche il termine “onere” assumerebbe un significato in tutto e per tutto coincidente col suo lessico. Per tale puntualizzazione CORDERO,op. cit.,

p. 186.

38 C

ORDERO,op. cit., pp. 23 ss., sottolinea come in realtà l’art. 596, sia al primo che al terzo comma, parli

di “ammissibilità della prova” circa la verità dell’addebito, utilizzando “in sconcertante simbiosi” (sic) una terminologia processualistica in relazione ad un aspetto prettamente sostanziale, quali le condizioni per la punibilità di una condotta; il riferimento alla prova, però, come si vedrà consente alla norma di spiegare influenza non solo sui requisiti di fattispecie, ma anche sulla regola di giudizio. Inoltre, a nostro avviso l’intrusione del dato processuale – con il divieto di ammissione –, vale anche a negare al reo, laddove la verità del fatto comunque non lo esimerebbe da pena, l’interesse a porre quale tema di prova tale veridicità, magari al fine di un’attenuazione della sanzione; ciò, infatti, ribadisce il proposito del legislatore di tutelare l’onore formale, ed evitare che il reato sia portato a più gravi conseguenze con la pubblicità della veridicità del fatto offensivo: perciò, non solo irrilevanza del dato ai fini dell’an della responsabilità, ma anche inammissibilità in sede processuale a qualsiasi altro fine. In questo senso ancora CORDERO,op. cit., p. 31, sub nota 13. Contra altra parte della dottrina che, privando di valore l’inusuale

formula legislativa, comunque ritiene ammissibile la prova della verità dell’addebito ai fini della mitigazione della pena: così, per tutti, ALTAVILLA,Ciò che è sopravvissuto dell’exceptio veritatis, in Scuola Positiva, 1932, p. 370; PANNAIN, La prova liberatoria nei delitti contro l’onore, in Riv. pen.,

1935, p. 251.

39

Ci si riferisce esclusivamente alle ipotesi nn. 1) e 3) del terzo comma dell’art. 596 c.p., e alla prima condizione del quarto comma del medesimo articolo: l’ipotesi n. 2 del terzo comma, combinata con la seconda condizione del quarto comma, dà vita ad una fattispecie che esula dal tema della presente trattazione, in quanto non tocca profili attinenti alla regola di giudizio e all’onere della prova, ma piuttosto quelli della prova legale rappresentativa, laddove un accertamento diretto, svolto in altra sede processuale, circa la sussistenza del fatto addebitato sia idoneo a fissare il fatto da provare nel procedimento per ingiuria o diffamazione. In questo senso vedi CORDERO,op. cit., p. 300, e MANZINI,

Trattato di diritto penale italiano, vol. VIII, Torino, 1947, p. 506. 40 In tema vedi C

ORDERO,op. cit., pp. 33 ss. e 175 ss..

41 A fine meramente esemplificativo, vi è chi parla di “limite alla tipicità dell’azione”: così P

ANNAIN, La

natura giuridica dell’«exceptio veritatis» in un recente studio di Aldo Moro, in Arch. pen., 1955, I, p. 21;

chi di causa di giustificazione: in questo senso MORO,Osservazioni sulla natura giuridica, cit., pp. 13 ss.;

MAGGIORE, La «exceptio veritatis», in Crit. pen., 1946, p. 258; chi di una mera situazione di non

punibilità: così S. MESSINA, Teoria generale, cit., p. 107; per alcuni, infine, non potrebbe comunque fornirsi un’unica soluzione comune a tutte le ipotesi: in questo senso CARNELUTTI,Efficaciagiuridica del

fini della presente trattazione: quale che sia il valore o la funzione di queste cause di esclusione della pena, ciò che rileva in tal sede è la loro posizione nella struttura della fattispecie dal solo angolo visuale della regola di giudizio applicabile. Questa analisi può infatti essere svolta a prescindere dalla natura giuridica dell’elemento lato sensu esimente: poiché, in tutta evidenza, il legislatore ha fornito una speciale disciplina quanto all’onere della prova applicabile al caso di specie42, ne deriva che non è necessario individuare prioritariamente l’esatta collocazione dogmatica della causa di non punibilità, e sulla scorta di essa richiamare la regola di giudizio che le è generalmente propria, ma è sufficiente soffermarsi ed attestarsi sul dato ricavabile dal testo dell’articolo.

Al proposito, esso dispone che, quando l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato e la persona lesa o sia un pubblico ufficiale ed il fatto attribuitole attenga all’esercizio delle sue funzioni, oppure comunque richieda che il giudizio si estenda ad accertare la verità del fatto, se questa è provata l’imputato non è punibile.

Emerge dunque che, date quelle condizioni di fatto (citate dai nn. 1 e 3 del terzo comma dell’art. 596 c.p.), l’assoluzione dipenda dalla prova della verità dell’addebito, e correlativamente che la condanna consegua alla mancanza di prova circa tale veridicità. La fattispecie punitiva, pertanto, è formata dagli elementi positivi dell’ingiuria o della diffamazione, più quelli specifici di cui alle lettere nn. 1 e 343, meno l’elemento della verità del fatto offensivo.

Tuttavia il fattore della verità, che in mancanza di indicazioni particolari sarebbe stato soggetto – in relazione al profilo della regola di giudizio – alla disciplina generale degli elementi negativi della fattispecie44, è nell’art. 596 c.p. ricondotto ad un regime speciale: ossia, pacifica l’irrilevanza a fini esimenti della mancanza

giudizio d’onore, in Questioni sul processo penale, 1951, p. 239; CHIAROTTI,Le cause speciali di non punibilità, Roma, 1946, p. 182; CORDERO,op. cit., passim.

42 C

ORDERO,op. cit., p. 32, evidenzia come il riferimento processuale alla prova fornisca una “puntuale,

correlativa variante della regola di giudizio”.

43

CORDERO,op. cit., p. 233, sottolinea come tali elementi si aggiungano a quelli originari, formando una

nuova fattispecie in cui rileva la verità dell’addebito.

di prova circa la verità o la falsità dell’addebito, neanche il dubbio in merito varrebbe a escludere la punibilità45; esplicitamente, infatti, il comma quarto della disposizione in parola richiede che “la verità del fatto [sia] provata”46.

Si tratta della deroga espressa, più volte richiesta nel corso di questa trattazione, necessaria ed imprescindibile perché possa ritenersi eccepito il principio dell’in dubio pro reo accolto agli artt. 529 c.p.p. e ss., e perché possa parlarsi di inversione dell’onere probatorio o di presunzione legale (relativa)47: trovandosi nella citata situazione di fatto, regolata ex ante dal diritto, l’imputato sa che per ottenere l’assoluzione dovrà fornire (o sperare che emerga48) la prova circa la verità di quanto attribuito al soggetto passivo, e sarà dunque onerato (sia pure in senso sostanziale) della dimostrazione di quanto necessario per l’impunità, che si “presumerà” perciò inesistente fino a prova contraria49.

Ciò, ovviamente, dovrebbe esporre tale disposizione a dubbi di ordine costituzionale per chi ritenga sancita all’art. 27 cpv. Cost. una presunzione di

45 Così S

ARACENO,La decisione sul fatto incerto, cit., p. 258, pur se in relazione all’analoga ipotesi

prevista all’art. 394 del Codice Zanardelli, non ancora reintrodotta nel codice Rocco al momento della stesura dell’opera citata.

46 In questo senso C

ORDERO,op. cit., p. 59, secondo cui “non solo il mancato accertamento della falsità,

ma anche un’insufficiente prova in merito alla fondatezza dell’asserto rappresenta premessa sufficiente ad una sentenza di condanna; […] è escluso che venga in considerazione quel termine medio, quella constatazione dell’insuccesso dell’opera storiografica del giudice, che è il proscioglimento con formula dubitativa”; MANZINI,Trattato di diritto penale, vol. VIII, cit., p. 519. In giurisprudenza si richiede

pacificamente che la prova liberatoria sia “piena e completa”; in tal senso, tra le molte, Cass., sez. un., 3 giugno 1950, Mancuso, in Riv. it. dir. proc. pen., 1951, p. 115; Cass., sez. un., 18 novembre 1958, Luca; Cass., 17 marzo 1972, Pozzo, in Cass. pen. Mass. annot., 1974, p. 494.

47 C

ORDERO,op. cit., p. 240, ritiene “opportuno definire la verità dell’addebito sic et simpliciter come un

elemento impeditivo del reato”, e non come una presunzione di falsità, atteso che – in mancanza di prova al riguardo – il giudice non si porrebbe proprio un problema di verità/falsità del fatto ingiurioso; nello stesso senso MANZINI,Trattato di diritto penale, vol. VIII, cit., p. 498.Tuttavia l’obiezione non ci pare conferente: come più volte ribadito, la presunzione legale è solo uno strumento di fissazione formale del fatto e di costituzione di effetti, scevra di ogni implicazione “naturalistica” circa la sussistenza di quanto presunto; in questa prospettiva si veda SACCO,Presunzione, natura costitutiva, cit., p. 410, coerentemente

con il rigetto dell’impostazione che delinea la presunzione come “illazione” circa l’esistenza di un fatto.

48 La dottrina prevalente ritiene infatti che si tratti di un onere “incompleto”, e dunque che la verità

dell’addebito possa anche essere rilevata ex officio: così CORDERO,op. cit., p. 35; PEDRAZZI,L’«exceptio

veritatis». Dogmatica ed esegesi, in Riv. it. dir. proc. pen., 1954, p. 445. In giurisprudenza vedi Cass., 26 marzo 1951, in Giust. pen., 1951, II, c. 1173. Contra GUGL.SABATINI,Principi di diritto processuale penale italiano, Catania, 1948, p. 390. Più in generale, sulla nozione di onere incompleto vedi supra cap.

II, § 4.

49 Peraltro si tratterebbe di una presunzione legale relativa impropria, poiché la mancanza dell’elemento

esimente non è ricavata dalla prova di un altro fatto noto esterno alla fattispecie, bensì semplicemente ritenuta in diritto sulla base dell’accertamento degli elementi strutturali contenuti agli artt. 594 (o 595) e 596.

innocenza incidente sulla regola di giudizio, poiché tale prescrizione risulterebbe elusa laddove l’imputato sia chiamato a “discolparsi” in relazione ad un elemento di cui non sia stata acquisita alcuna prova positiva o negativa (la verità dell’addebito), oltretutto vedendosi attribuito il rischio dell’incertezza50.

4. L’offensività del fatto tipico; il pericolo presunto. – Abbiamo già avuto modo

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