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L’integrazione rectius “le integrazioni”

3. IL PARLAMENTO EUROPEO TRA VOCAZIONE RAPPRESENTATIVA E ASIMMETRIA

3.3 UN’UNIONE ASIMMETRICA

3.3.1 L’integrazione rectius “le integrazioni”

Il progressivo allargamento dell’Unione Europea, che in meno di 10 anni ha visto quasi raddoppiar e il numero degli stati membri da 15 a 28, ha certamente favorito il ricorso e lo sviluppo di nuove forme di cooperazione ed integrazione che coinvolgessero un limitato numero di stati membri.

Tutto questo però non è completamente nuovo. La possibilità di ricorrere a tali meccanismi si è presentata infatti molto prima dell’allargamento del 2004 e della recente crisi economica e finanziaria386.

La comunità europea, sin dalle sue origini, è nata avendo al suo interno una forma di cooperazione più forte tra alcuni stati membri rispetto ad altri: l’articolo 223 del Trattato sulla comunità europea (oggi articolo 350 TFUE), consentiva infatti ai paesi del Benelux di poter mantenere la loro unione regionale, a patto questa non compromettesse il perseguimento degli obiettivi stabiliti dai trattati. Allo stesso modo- Danimarca, Finlandia e Svezia - fanno parte dell’organizzazione regionale, “Nord Council” ma questo non ha impedito loro di aderire alla comunità europea387.

Da una prospettiva politica, inoltre, il ricorso a meccanismi di integrazione flessibile da sempre caratterizza i momenti più critici della storia comunitaria e dell’Unione Europea 388.

Appare nei primi anni Ottanta conseguentemente alla richiesta di Margaret Thatcher di una riduzione del budget comunitario per l’Inghilterra; dopo la riunificazione della Germania, a fronte di cui la Francia ha richiesto una maggiore cooperazione tra un piccolo gruppo di stati membri.; nel 2005 a seguito del rigetto da parte di olanda e Francia del trattato che stabiliva una costituzione per l’Europa; e ancora nel giugno 2008 dopo l’esito negativo del referendum irlandese sulla ratifica del trattato si Lisbona.

386 Thym, D., United in Diversity – The Integration of Enhanced Cooperation into the European Constitutional Order, in

“German Law Journal”, vol. 7, no. 11, 2005

387 Fasone C., Il parlamento Europeo nell’unione asimmetrica, cit. pp.66-77

388 Jensen C.B., Slapin C.B., The Politics of multispeed integration in the European Union, in Richardson J. (ed.)

In tutte queste occasioni l’idea di un’Europa a geometria variabile è stata invocata come possibile soluzione a momenti di impasse istituzionale389.

Dal punto di vista degli strumenti attraverso cui queste forme di integrazione differenziata sono state poste in essere, si possono delineare tre differenti canali di implementazione. Il primo è quello della cooperazione intergovernativa: viene ammessa la possibilità che tra alcuni stati membri si possa instaurare una cooperazione più stretta regolata da norme di diritto internazionale, a condizione però che queste non violino i Trattati.

Esempio emblematico di tale forma di integrazione differenziata è la disciplina dell’accordo di Schengen. All’inizio regolata da due trattati internazionali, del 1985 e del 1990, e firmata da Belgio, Olanda, Francia, Germania e Lussemburgo, viene ricondotta nell’alveo del diritto comunitario solo con il Trattato di Amsterdam nel 1999. Ciò non significa comunque questa si applichi in tutti gli stati e nello stesso modo. Il protocollo 19, infatti, stabilisce la disciplina non si applichi a Irlanda e Regno Unito; per la Danimarca invece vige la così detta applicazione a la carté: per ogni misura riguardante l’area Schengen il governo Danese informa gli altri stati membri se si ritenga vincolato o no390. Alcuni stati membri come

Croazia, Romania e Bulgaria, poi, non sono ancora stati autorizzati a prendervi parte, mentre alcuni stati terzi ( Islanda, Norvegia, Svizzera, Leinchstein) vi fanno parte tramite un accordo internazionale concluso con l’UE391.

La seconda forma di integrazione differenziata è rappresentato dalla c.d. “cooperazione rafforzata”. Introdotta dal trattato di Amsterdam, e rivisitata poi dal trattato di Nizza e da quello di Lisbona392, la disciplina è attualmente contenuta nell’articolo 20 del TUE e nel

Titolo III - Parte IV TFUE. Le cooperazioni rafforzate sono autorizzate dalle istituzioni europee, in particolare dal Consiglio, su proposta della commissione, previa approvazione del Parlamento; il Parlamento deve inoltre dare il suo consenso alla proposta cosi come definita dalla commissione.

Nonostante dal Trattato di Lisbona in poi la disciplina sia stata resa meno rigida, i requisiti perché si possa ricorrere a questo strumento sono numerosi: la cooperazione rafforzata deve riguardare materie di competenza non esclusiva dell’UE; deve rafforzare il processo di integrazione non recando alcun danno al mercato interno e alla coesione dell’Unione; non deve discriminare gli stati membri che non vi partecipino, a cui deve essere garantita la

389 Griglio E., Lupo N., Towards an asymmetric European Union, without an asymmetric Parliament, SOG Working

Papers 20, June 2014, pp. 3-6 available at http://sog.luiss.it/it/ricerca/working-papers

390 art 40, protocollo n.20

possibilità di poter partecipare in qualsiasi momento. L’art 20, par.2, TUE lo configura inoltre come strumento cui ricorrere in extrema ratio393

Molto interessante nel caso della cooperazione rafforzata è ciò che avviene sul piano istituzionale: mentre all’interno del Consiglio vengono modificate le regole di voto, in quanto le misure in questione vengono votate solo dai rappresentanti degli stati membri che vi abbiano aderito, il Parlamento Europeo mantiene invece le sue modalità operative intatte. La terza forma di integrazione differenziata è forse la più semplice: la c.d. clausola di opting

out. Gli opting out sono essenzialmente una species del genere delle cooperazioni rafforzate,

anche se da questa differiscono nettamente. Gli atti adottati nell’ambito di una cooperazione rafforzata, infatti, non sono considerati come aquis communitaire e non vincolano in alcun modo gli stati che non vi abbiano preso parte, mentre le politiche per le quali sia stato esercitato da parte di alcuni stati membri l’opting out producono acquis communitaire, e eventuali candidati all’adesione sono tenuti a rispettarle come condizione per l’accesso. La storia dell’integrazione Europea mostra un’ampia varietà di opting out non sempre comparabili in termini di obiettivi istituzionali raggiunti e procedure adottate394.

In particolare alcune forme di integrazione differenziata vite precedentemente traggono origine proprio dall’opting out: così è, ad esempio, per la disciplina dell’area Schengen che dal 1999 ha richiesto un’apposita clausola di opting out per Irlanda ed UK.

Gli opting out possono venir poi concepiti come richiesta di deroga dall’applicazione di previsioni disciplinate dal diritto primario o derivato dell’Unione, concesse a uno o più stati individualmente alla firma dei trattati. Così è stato per questioni specifiche come l’autorizzazione del consumo di tabacco da fiuto in Svezia395.

Numerosi esempi di utilizzo di queste clausole si trovano inoltre all’interno dell’Unione monetaria ed all’interno della politica di sicurezza e difesa comune.

Anche l’introduzione del trattato di Amsterdam è stata contraddistinta da alcune scelte di

opting out, in particolare da parte di UK e Irlanda relativamente all’applicazione della

legislazione adottata nell’area di libertà sicurezza e giustizia.

Nonostante l’ampia varietà riscontrata nell’utilizzo di tale strumento, un carattere comune è certamente rintracciabile nel fatto che gli stati membri, attraverso la clausola di opting out, tendono a escludere la loro partecipazione in certe aree di policy.

Le tre forme di integrazione flessibile appena esaminate nel tempo hanno visto una notevole espansione al livello europeo: la possibilità di una più stretta collaborazione

393 Fasone C., Il parlamento Europeo nell’unione asimmetrica, cit. pp.66-77

394 Griglio E., Lupo N., Towards an asymmetric European Union, without an asymmetric Parliament, pp. 6 395 Fasone C., Il parlamento Europeo nell’unione asimmetrica, cit. pp.66-77

attraverso accordi intergovernativi, ad esempio, è stata una delle principali risposte istituzionali dell’Europa alla crisi economica e finanziaria esplosa dal 2008396.

Per quanto riguarda la cooperazione rafforzata, invece, complice la revisione della procedura ad opera del trattato di Lisbona, sono andate a buon fine tre iniziative: sulla materia del divorzio e della separazione, sui brevetti e per le imposte sulle transazioni finanziarie.

La combinazione di queste due tendenze è risultata in un incremento de facto della possibilità di opting out: sia rifiutando di sottoscrivere un accordo intergovernativo sia rifiutando di partecipare a forme di cooperazioni rafforzate, l’esercizio dell’opzione di opting

out infatti non preclude la possibilità di adesione a forme di integrazione differenziata, ma

permette questa possa avvenire successivamente.

Un’estensione del ricorso alla clausola di opting out è stato poi incentivato dal trattato di Lisbona che ne ha permesso l’utilizzo in alcune aree specifiche dell’integrazione397.