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4. I PARLAMENTI OGGI SONO ANCORA ORGANI DI RAPPRESENTANZA GENERALE?

4.2 UN PROBLEMA, DUE SOLUZIONI

Chiarite le differenze di contesto, e, il differente spessore dei problemi in seno alle assemblee rappresentative di Regno Unito e Unione Europea, vediamo come queste hanno risposto alla sfida alla rappresentanza.

Per quanto riguarda il Regno Unito, escluse le ipotesi di federalismo, il governo conservatore guidato dall’ex primo ministro David Cameron ha deciso di muoversi in direzione dell’EVEL, dunque, restringendo il diritto di voto per i parlamentari eletti al di fuori della circoscrizione inglese (o inglese e gallese) sulle questioni relative esclusivamente all’Inghilterra (o a Inghilterra e Galles). Nella fattispecie è stata istituita una nuova fase tra il

report stage e la terza lettura: The Legislative Grand Committee - LGC - in cui ai parlamentari

inglesi (o inglesi è gallesi) viene conferito il potere di veto per le disposizioni certificate dallo

Speaker relative esclusivamente a Inghilterra, (o a Inghilterra e Galles). Qualora questi

approvino tutte le mozioni certificate, l’iter legislativo procede normalmente. Nel caso invece questi decidano di utilizzare il potere di veto conferitogli, successivamente a LGC avrà luogo un’ulteriore fase, il Reconsideration stage, in cui l’House of Commons e i parlamentari inglesi cercheranno di giungere ad una soluzione di compromesso sulle diposizioni oggetto di contestazione. Qualora non si giunga ad una soluzione condivisa, queste disposizioni cadono automaticamente.

La scelta del governo appare dunque una scelta piuttosto radicale in quanto, ignorate le raccomandazioni della Commissione Mckay – che prevedevano il conferimento al LGC di un potere di voice e non di veto537 – sottopone l’adozione di provvedimenti legislativi

riguardanti solo l’Inghilterra (o Inghilterra e `Galles) a una sorta di double consensus, sia da parte della maggioranza dei parlamentari Inglesi (o Inglesi e Gallesi) che dell’intera Camera, con il rischio di creare un impasse istituzionale qualora un compromesso tra le due non venisse raggiunto. Per questo motivo l’EVEl è stato ampiamente criticato soprattutto dall’opposizione che accusa i conservatori di voler creare due classi di parlamentari con differenti diritti e prerogative538. Le prime evidenze empiriche di tale procedura sembrano

scongiurare però gli scenari catastrofici prospettati dall’opposizione, in quanto, almeno per ora, non si è giunti ad alcuna situazione di impasse istituzionale. L’applicazione di tale

537 McKay W., Report of the Commission on the Consequences of Devolution for the House of Commons, pp. 43-47 538 Ibidem

procedura non è comunque stata immune da problematiche: come evidenziato durante l’analisi dell’House and Planning bill, infatti, molti dettagli della procedura non sono ancora stati chiariti, in particolare nel merito della definizione di effetti “minori o conseguenziali” da parte dello Speaker La posizione di quest’ultimo poi sembra essere particolarmente controversa, in quanto i compiti che gli vengono affidati esulano dal suo tradizionale ruolo “neutrale”. Parte della dottrina, infine, solleva dubbi in merito alla reale utilità di tale riforma, visti gli effetti marginali sulla legislazione.

Possiamo concludere dicendo che la stabilità dell’Unione, almeno per il momento, non sembra essere in pericolo, anche se molto in futuro dipenderà dalla responsabilità con cui i Parlamentari inglesi affronteranno il loro ruolo, così come la stessa sopravvivenza dell’EVEL sembra legata alla discrezionalità delle future maggioranze al governo.

Molto meno chiara risulta essere invece la risposta data dal Parlamento europeo: nonostante molte siano state le ipotesi passate al vaglio ancora sembra esser lontani da una soluzione condivisa. A questo punto, dunque, sorge spontaneo chiedersi se l’EVEL non possa fungere da modello anche per il Parlamento europeo.

La Eurozone Votes for Eurozone Laws - qualora fosse deciso di adattare la rappresentanza all’interno del PE in base all’appartenenza o non appartenenza all’Eurozona – implicherebbe innanzitutto la creazione di un Legislative Grand Committee, la cui composizione rispecchi il numero dei parlamentari dell’Eurozona all’interno dei partiti. Stabilire tale composizione non sarebbe però agevole come nel caso britannico: tra i vari stati membri compaiono infatti differenti gradi di obbligazioni nei confronti delle regole fiscali e di politica economica dell’UEM; le misure della governance europea sono poi soggette a numerose variazioni nel tempo. Dunque, per il Presidente, a cui stando all’articolo 20 par.1 dei regolamenti parlamentari del PE spetterebbe stabilire di volta in volta il collegio dei votanti, il compito non sarebbe certamente facile. Senza contare poi che gli esclusi non verserebbero tutti nelle medesime condizioni. Come dimostrato dal caso del Fiscal Compact, infatti, tra i paesi firmatari alcuni hanno intenzione di adottare l’euro, dunque sarebbero più o meno direttamente colpiti dalle decisioni in materia di politica monetaria adottate da un eventuale

Eurozone Grand Committee senza possibilità di essere rappresentati. Sempre al Presidente, poi,

spetterebbe il compito di certificare di volta in volta le disposizioni che si applichino esclusivamente all’eurozona. In questo caso le difficoltà emerse nel Regno Unito in merito alla definizione dei cd effetti minori e conseguenziali sarebbero moltiplicate, in quanto le legislazioni degli stati di cui tener conto non sarebbero 4 ma 28 e, come dimostrato

ampiamente dagli effetti spill over generati dalle misure anticrisi, non sarebbe facile stabilire la conseguenzialità di tali effetti per tutti gli stati membri.

Rispetto allo Speaker britannico, quindi, il Presidente del PE nel certificare le disposizioni che si applichino alla sola euro-zona incontrerebbe non poche difficoltà in quanto le variabili di cui tener conto sarebbero certamente maggiori e più complesse, e questa complessità potrebbe rendere tali procedure ancor meno comprensibili agli occhi dei cittadini, aggravando il problema di legittimazione democratica invece di risolverlo.

Ogni misura che abbia un impatto sull’Eurozona, in realtà, poi, dovrebbe essere presa nell’interesse dell’intera Europa, come confermato dalla necessità di aprire l’Euro Summit anche ai rappresentanti degli stati non facenti parte dell’eurozona ma che hanno adottato il Fiscal Compact; decisione questa che conferma che la regolazione monetaria è di vitale importanza per il destino dell’intera Europa in quanto, come ricordato precedentemente, l’euro è la moneta dell’Europa e non solo dell’Eurozona.

Assumiamo però che lo Eurozone Legislative Grand Committee- ELGC -riesca a formarsi senza alcuna difficoltà e che il presidente riesca a certificare le disposizioni afferenti esclusivamente all’Eurozona. Le disposizioni una volta certificate passerebbero all’esame del ELGC; qualora questo ponesse il veto su una delle disposizioni certificate essere relativa esclusivamente all’Eurozona, avrebbe luogo il reconsideration stage, dove ELGC e l’intero Parlamento dovrebbero cercare di raggiungere un compromesso sulle disposizioni oggetto di contestazione. Coinvolgendo l’intero Parlamento il reconsideration stage dovrebbe avvenire all’interno del Parlamento riunito in plenaria, e, viste le rigide regole di funzionamento di quest’ultimo, giungere ad un compromesso sarebbe un obiettivo difficile da raggiungere in tempi adeguati, aumentando dunque il rischio di impasse istituzionale.

Non considerando le difficoltà pratiche a cui l’applicazione di un EVEL europeo andrebbe incontro, al livello giuridico comunque la sua adozione risulterebbe particolarmente complicata. Una differenziazione all’interno del PE violerebbe infatti l’art 14 TUE che sancisce il principio di uguaglianza, richiedendo dunque una revisione dei trattati. Questa come sappiamo necessità del consenso unanime di tutti gli stati membri, e per questo da un punto di vista politico appare particolarmente complicata da raggiungere539.

Considerando poi le differenze strutturali tra i due ordinamenti evidenziate in precedenza, le conseguenze di tale procedura in termine di equilibri istituzionali sarebbero certamente molto differenti.

Innanzitutto, assumendo il Consiglio Europeo sia una seconda camera, in quanto il tipo di rappresentanza espressa è di tipo territoriale, se anche il Parlamento Europeo adottasse un criterio di rappresentanza di tipo territoriale ne risulterebbe una sovra-rappresentazione delle istituzioni territoriali, venendo a mancare il necessario bilanciamento tra elementi territoriali e unitari. Per quanto riguarda il Regno Unito la situazione invece si configura diversamente in quanto la camera dei Lords, non è rappresentativa di interessi territoriali ma risponde(va) all’esigenza di riprodurre le divisioni sociali presenti all’interno dell’Unione.

Nella ricerca di soluzioni istituzionali da adottare per far fronte al problema di disconnessione democratica in seno all’Unione, inoltre, non può essere ignorata la natura composita della rappresentanza al livello europeo, basata su un doppio canale di rappresentanza e sull’intervento di una moltitudine di corpi intergovernativi più o meno collegati alle assemblee elettive540. In una democrazia cd multi-level541 come è l’Unione

Europea, ai fini del buon funzionamento del circuito democratico infatti l’attività di controllo, affinché risulti efficace, deve coinvolgere sia il Parlamento europeo che i Parlamenti Nazionali, poiché, come messo in evidenza nel precedente capitolo, gli strumenti a disposizione delle istituzioni rappresentative dell’UE prese singolarmente non sono sufficienti ad esperire le tradizionali funzioni di controllo e scrutinio dei Parlamenti.

Alla luce di un esecutivo altamente frammentato come si configura l’esecutivo Europeo, non è pensabile poi di affidare la funzione di rappresentanza e controllo ad una singola istituzione. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che uno dei problemi che ha causato la crisi democratica in seno all’Unione è stata proprio l’estromissione dei parlamenti nazionali dal processo legislativo al livello dell’Unione, con un accentramento dei poteri nel merito in mano agli esecutivi. Questa tendenza si è rafforzata con la crisi e le conseguenti misure anti- crisi542 la cui maggior parte ha assunto la forma di accordi conclusi su base intergovernativa e

firmata solo da alcuni stati membri su base volontaria.

Concludendo, il deficit di democrazia percepito al livello europeo è un problema abbastanza complesso in quanto non deriva solo dai problemi di rappresentanza all’interno del Parlamento europeo, ma anche dalla mancanza di output legitimacy, di un messianismo politico, e dall’introduzione di nuovi strumenti giuridici al di fuori delle istituzioni europee che non solo non coinvolgono tutti gli stati membri ma rimangono anche al di fuori del controllo dei parlamenti nazionali.

540 Curtin D., Challenging Executive Dominance in European Democracy, in “The Modern Law Review”, vol. 77, 1: 1-

32, 2014,

541 Crum B., Fossum J. E., The Multilevel Parliamentary Field, pp.249

542 Per un approfondimento sulla governance economica europea dopo la crisi V. Nugnes F., I riflessi della nuova

Il problema di rappresentanza in seno all’Europa sembra dunque essere duplice: da un lato il poco coinvolgimento del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali nella costruzione delle misure economiche; dall’altro questo poco coinvolgimento può incorre in problemi di legittimazione democratica in quanto i parlamentari votanti spesso non corrispondono con gli stati membri a cui poi effettivamente sarà applicata la misura in questione.

Alla luce di queste considerazioni, sembra esser confermata la tesi esposta nel II capitolo per cui l’unico strumento che possa permettere maggior coordinamento tra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali, contemporaneamente a una maggiore influenza di questi ultimi nel processo decisionale europeo, sia la cooperazione interparlamentare. Solo quest’ultima infatti sembra colmare le lacune delle attività di controllo e di policy making esercitate singolarmente dal Parlamento Europeo e dai Parlamenti nazionali.543

Anche se finora il funzionamento dell’IPC si è strutturato principalmente come una forma di cooperazione internazionale, caratterizzata da relazioni vaghe, da mancanza di continuità - ed in alcuni casi - da una composizione necessariamente generalizzata e quantitativamente incerta 544, ciò non toglie che questa in futuro possa essere utilizzata come sede privilegiata in

cui riflettere le asimmetrie in seno all’Unione. Questa potrebbe infatti configurarsi come uno strumento federale, a cui – come suggerito dalla Commissione Mckay per il LGC inglese- siano conferiti potere di voice e non di veto, affinché possa controllare le decisioni prese dalle varie branchie dell’esecutivo.

543 Crum Ben, Fossum John E. (eds,) Practices of interparliamentary coordination in international politics. The European

Union and beyond, ECPR Press, Colchester, 2013