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1.4 La creazione di Salazar: l’Estado Novo (1933-1945)

1.4.4 La piovra lusitana, la PVDE

Temuta e disprezzata, la polizia politica portoghese era paragonabile, per la sua presenza totalizzante nella vita sociale palese e sotterranea, alle forze poliziesche segrete dei regimi dittatoriali dello stesso periodo. Ispirata all’OVRA italiana – dall’assonanza con «piovra» in quanto sistema tentacolare che opera nel buio – e alla GESTAPO nazista, la Polícia Vigilânciade Defesa do Estado (PVDE)222 rappresentava la violenta repressione politica del regime di Salazar, sia in funzione nazionale che internazionale. Supportata dalla censura, con la propria lente era in grado di osservare – avvalendosi di una lunga lista di informatori civili – intercettare le comunicazioni degli oppositori al regime via radio e posta, smantellare le reti comuniste (partito più organizzato), controllare il Portogallo continentale e i territori d’oltremare, praticare una sistematica tortura psico-fisica.

Osservare la polizia politica portoghese tra il salazarismo e il marcelismo può aiutare a colmare anche una parte della storia nazionale italiana degli anni Sessanta e Settanta, inserendo con coscienza il Portogallo nel quadro mondiale della Guerra Fredda e, più precisamente, per capire in che modo anche il Portogallo abbia fatto parte del modello di strategia della tensione elaborato per contrastare le forze marxiste in Europa e nel continente africano. La Polizia di Vigilanza rappresentò la colonna della difesa binaria – interna ed estera – del Portogallo, anche grazie alla collaborazione con i servizi italiani e tedeschi, in primis, nel periodo interbellico, dai quali aveva adottato tecniche di spionaggio, osservazione e interrogazione dei nemici del regime, uso mirato di tecniche di sfinimento psico-fisico e di violenza dei prigionieri fino all’assassinio.

In seguito al golpe del 28 maggio 1926 furono create tra il 1926 e il 1927 la Polícia de Informações (PI) di Lisbona e di Porto. Unificate nel 1928 con il nome di Polícia de Informações do Minisério do Interior (PIMI), svolgevano la funzione di reprimere i crimini «sociali»223 e coadiuvare il governo in merito a problematiche di carattere internazionale224. In seguito a lamentele sulla violenza della polizia tra il 1930 e il 1931, venne riconfigurata in Polícia Internacional Portuguesa (PIP), ancora sotto il controllo del Ministro dell’Interno ma con una funzione di spionaggio e anticomunista. Nel 1932, con la nomina di Salazar a Primo Ministro, il nuovo Ministro dell’Interno

222 Polícia de Vigilância e Defesa do Estado, Ministério do Interior, decreto n. 22:992, in «Díario do Govêrno», Serie I, n. 195, 29 agosto 1933.

223 Il temine «sociale» nel periodo veniva utilizzato per sostituire il termine «politico». 224 Prefazione di I. Flunser Pimentel in A. Aranha, C. Ademar, No limite da dor, cit., p. 12.

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Albino de Reis creò la Policia de Defesa Política e Social (PDPS) con l’obiettivo di reprimere le devianze «politiche e sociali» a livello interno225. Nel 1933, dalla fusione dei due apparati PDPS e PIP fu creata la Polícia Vigilânciade Defesa do Estado (PVDE) che nel giugno del 1934 acquisiva anche le competenze carcerarie, con l’ideazione, al suo interno, della Secçaão de Presos Políticos e Sociais, mirata a monitorare emigranti clandestini e la riproduzione di passaporti falsi226. Fu un periodo, quello della metà degli anni Trenta, di forte lotta e controllo dell’opposizione al regime, manifestatasi nell’ondata di scioperi del 1934 che portò all’arresto di diversi anarcosindacalisti e comunisti, forze che, sebbene clandestine, erano meglio organizzate nel territorio. Nel pieno di tali movimenti sociali ostili al governo di Lisbona227, nel 1936 venne inaugurata, con l’utilizzo di un eufemismo in voga al periodo, la «colónia penal» di Tarrafal228 nell’isola di Santiago (Capo Verde), un vero e proprio campo di concentramento nazista simile a Dachau, nato appena tre anni prima229.

L’utilizzo della violenza da parte di Salazar e di Caetano poi, è uno degli argomenti in effetti più controversi se associato all’alto grado di religiosità del professore di Coimbra e al confronto con gli altri regimi dell’epoca. In merito all’uso della violenza, che era effettivamente sistematica e preventiva, Salazar si sarebbe espresso con Ferro spiegando che la violenza fascista non si adattava alla «mitezza del costume» dei portoghesi, il che faceva delle leggi estadonoviste «meno severe», le «usanze meno poliziesche» e lo Stato «meno assoluto»230. Sul tema Fernando Rosas avrebbe espresso la sua corretta osservazione, in quanto l’uso a pretesti violenti fece parte della dittatura salazarista dall’inizio ma che il cliché secondo il quale la dittatura fu più clemente è da ricollegare a mera propaganda. Le ragioni di ciò si possono ritrovare nel radicamento della violenza politica e della sua rappresentazione nella dialettica di Salazar e nella durata del regime stesso231. L’idea stessa di un popolo mansueto, buono, diseducato al fare male di proposito, dalla vita pacifica, laboriosa e degna

225 I.F.Pimentel, A história da PIDE, Círculo de leitores, Porto 2007, p. 24-25. 226 A. Aranha, C. Ademar, No limite da dor, cit., p. 12.

227 A. Madureira, Salazar. Tempos difíceis. O controlo das oposições e a instauração do Estado Novo, Clude do autor, Lisboa 2015.

228 V. Barros, Campos de concentração em Cabo Verde: as ilhas como espaços de deportaçao e de prisão no Estado

Novo, Imprensa da Universidade de Coimbra, Coimbra 2009; J. M. Tavares Soares, O Campo de Concentração do Tarrafal: a origem e o quotidiano (1936-1954), Colibri, Lisboa 2006; F. Soares, Tarrafal, campo da morte lenta, Editorial Avante!, Lisboa 1977; C. de Oliveira, Tarrafal: o pântano da morte, República, Lisboa 1974; N.M. Freire Brito, Tarrafal na memória dos prisioneiros (1936-1954), Edições dinosauro, Lisboa 2006; Dossier Tarrafal, Edições Avante!, Lisboa

2006.

229 Una delle testimonianze in merito, raccolta in un testo di recente pubblicazione, è quella di Edmundo Pedro (1918- 2018). Figlio di un antifascista, comunista, venne arrestato nel 1936, a 17 anni, passando per le prigioni di Aljube (Lisbona), nel forte di Caxias (Lisbona) e nella roccaforte di Peniche (a nord della capitale), prima di essere condotto a Tarrafal con il padre. Scappò nel 1946 per ritornare in Portogallo per combattere il regime, in A. Aranha, C. Ademar, No

limite da dor, cit., pp. 81-102; E. Pedro, Memórias: um combate pela liberdade, vv. III, Âncora editora, Lisboa 2007-

2012.

230 I.F.Pimentel, A história da PIDE, cit., p. 25.

231 F. Rosas, Salazar e o poder. A arte de saber durar, Tinta da China, Lisboa 2012, p. 175. Sul tema anche F. Ribeiro de Meneses, Salazar e o poder. A arte de saber durar, in «Análise Social», 208, XLVIII, 2013, pp. 739-745.

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si accompagnava all’immagine mite di Salazar stesso. Osservando il «Decálogo dell’Estado Novo»232 si ritrova una visione non meno retorica della visione di Salazar. Il «decimo comandamento» recita: « Os inimigos do Estado Novo são inimigos da Nação. Ao serviço da Nação - isto é: da ordem, do interêsse comum e da justiça para todos - pode e deve ser usada a fôrça, que realiza, neste caso, a legítima defesa da Pátria»233.

Ad ogni modo la PVDE non era l’unico organo di controllo dello Stato. La Polícia de Investigação Criminal (PIC)234, la Polícia de Segurança Pública (PSP)235, la Guardia Nacional da República (GNR)236 e la Legião Portuguesa (LP)237 affiancavano l’opera poliziesca della PVDE, trovandosi in più occasioni in contrasto o in netta sudditanza amministrativa, soprattutto a partire dal 1949, quando tutti gli apparati vennero inquadrati all’interno del Conselho de Segurança Pública (CSP).