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LA MANCATA DESTINAZIONE DELL'IMMOBILE AGLI USI INDICATI IN DISDETTA

LA LOCAZIONE AD USO ABITATIVO

5. IL CONTENUTO E LE MODALITÀ DI COMUNICAZIONE DELLA DISDETTA

5.5 LA MANCATA DESTINAZIONE DELL'IMMOBILE AGLI USI INDICATI IN DISDETTA

180 Vedi CASS., 14 marzo 1991, n.

L'ipotesi prevista dal comma 5 dell'art. 3 ha un ambito di operatività più limitato. Mutuando il sistema sanzionatorio già previsto dagli artt. 60 e 31 della legge 392/1978 (rispettivamente riferito alle ipotesi di recesso ex. Art. 59 dai contratti ad uso abitativo nel regime transitorio e di diniego di rinnovo ex. Art. 29 di

contratti ad uso non abitativo in regime ordinario) il legislatore ha qui previsto che se il il locatore, dopo aver riacquistato, in via spontanea o attraverso un

procedimento giudiziario181, l'immobile non lo adibisca agli usi per i quali ha

esercitato la disdetta, il conduttore avrà diritto, a sua scelta, od al << ripristino del rapporto di locazione >> od al << risarcimento >> ai sensi del comma 3.

Il precetto, riferito espressamente solo alla mancata destinazione dell'immobile agli << usi >> indicati in disdetta182 deve estendersi anche ai casi in cui il

locatore, dopo aver ottenuto il rilascio ai sensi dell'art. 3, lett. d) o e), non realizzi i lavori indispensabili o gli altri interventi edilizi, nonché quando, ottenuta la

disponibilità ai sensi dell'art. 3 lett. g), questi non intenda vendere a terzi

l'immobile o lo ceda a condizioni diverse da quelle indicate nella denuntiatio183.

La sanzione è applicabile anche nelle ipotesi in cui il locatore abbia adibito l'immobile ad uso diverso da quello indicato nella disdetta, pur contemplato nell'art.3.

Ne consegue che la norma in esame potrà operare solo con riguardo alle fattispecie considerate dalle lettere a, b, d ed e del comma 1 dell'art. 3 giacché quelle di cui alle lettere c ed f non presuppongono alcun successivo utilizzo dell'immobile da parte del locatore.

181 In riferimento all'art. 31 della legge

la giurisprudenza della Suprema Corte ha esteso l'operatività della sanzione al caso di rilascio a seguito di verbale di conciliazione (CASS., 24 settembre 1991, n. 9962, in Arch. locazioni, 1992, p. 298) e di transazione (ad eccezione del caso in cui la transazione contempli l'esclusione di tale diritto) vedi CASS., 24 marzo 1992, n. 3624, in Rass. equo can., p. 267; contra CASS., 30 ottobre 1992, n. 11839, in Foro it. Rep., 1992, voce << Locazione >>, n. 387.

182 La norma differisce dall'art. 60 e

dall'art. 31, l. 392/1978 che sanziona espressamente il mancato rispetto dei termini della concessione o quelli del piano comunale per quanto attiene l'inizio dei lavori di demolizione, ristrutturazione o restauro dell'immobile.

Per quanto riguarda la lett. g) sorgono dei problemi qualora il conduttore non eserciti il diritto di prelazione e rilasci l'immobile ed il locatore non lo venda a terzi.

Poiché il comma 5 ha natura sanzionatoria , pare doversi preferire l'interpretazione restrittiva fondandola sul rilievo che il legislatore ha utilizzato l'espressione << non lo adibisca … agli usi >> con ciò lasciando intendere che si tratti solo delle ipotesi in cui un utilizzo diretto sia possibile, il che non è il caso della vendita a terzi (che non è un << uso >> dell'immobile).

Tale interpretazione determina l'incoerenza della carenza assoluta di tutela per il conduttore che, ove non eserciti il diritto di prelazione, dovrebbe subire senza possibilità di reazione i comportamenti del locatore che si sia avvalso

artificiosamente della facoltà di cui alla lettera g) del comma 1 dell'art. 3.

Salvo non estendere anche a tale ipotesi l'applicazione del comma 5, la questione potrebbe essere risolta se si condizionasse l'effetto risolutivo del rapporto locativo alla effettiva vendita a terzi della proprietà dell'immobile.

Il comma 5, come in precedenza osservato, prevede l'operatività della << sanzione >> <<anche >> nell'ipotesi in cui il locatore abbia riacquistato la disponibilità dell'alloggio << con procedura giudiziaria >>.

La scelta legislativa è motivata dal fatto che i comportamenti del locatore che qui si intende sanzionare sono tutti successivi al rilascio dell'immobile da parte del conduttore e dunque un eventuale giudicato sulla legittimità del diniego di

rinnovo e/o proroga del contratto non sarebbe in alcun modo idoneo ad interferire con il diritto del conduttore.

Se il giudizio si è risolto con la sottoscrizione di un verbale di conciliazione, il diritto del conduttore rimane integro a meno che il contenuto del verbale non sia tale da far emergere la sua rinunzia a che il locatore destini l'immobile all'uso fatto valere con la disdetta.

La sanzione, ancorata anche in questo caso ad un criterio di colpa presunta, consiste nel ripristino del rapporto di locazione << alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato >> o in alternativa al risarcimento nella misura non inferiore a 36 mensilità dell'ultimo canone corrisposto. Queste sanzioni sono a

scelta del conduttore ed in alternativa fra loro.

Per quanto riguarda il ripristino del contratto, le due questioni di maggior pregio attengono alla durata del contratto << ripristinato >> ed al rapporto fra conduttore titolare del diritto al ripristino ed eventuale terzo che in buona fede abbia

conseguito la disponibilità dell'immobile od in virtù di atto di acquisto della proprietà o in virtù di rapporto obbligatorio.

Per la durata del rapporto << ripristinato >> l'orientamento della giurisprudenza di legittimità formatasi nel regime degli artt. 60 e 31 della legge 392/1978 era nel senso che << il rapporto prosegua solo fino all'originaria scadenza, restando escluso che quest'ultima possa essere prorogata per un periodo uguale alla durata del mancato godimento dell'immobile da parte del conduttore >>184 << che,

pertanto, dopo la scadenza del termine di durata del contratto locativo, non ha più diritto al ripristino del rapporto ma solo al risarcimento del danno >>185.

Eguale tutela risarcitoria competerà al conduttore qualora il suo diritto al ripristino del rapporto vada a confliggere con le posizioni di terzi che in buona fede abbiano conseguito la disponibilità dell'immobile.

Sebbene il comma 5 dell'art. 3 della l. 431/1998 non abbia espressamente fatti << salvi i diritti acquistati da terzi in buona fede >> non pare doversi dubitare che, in applicazione dell'art. 1380 c.c., il nuovo titolare del diritto di disporre

dell'immobile dovrà essere tutelato con preferenza rispetto al precedente

conduttore e ciò non in ragione della qualità di avente causa dal locatore ma per la condizione personale di buona fede e che esso sarà dunque legittimato << ad esperire l'opposizione ordinaria di terzo, ai sensi del comma 1 dell'art. 404, c.p.c., al fine di ovviare al pregiudizio che tale diritto possa subire per effetto

dell'esecuzione della sentenza che abbia stabilito il ripristino dell'originario contratto nel giudizio tra locatore e precedente conduttore >>186.

184 Cassazione civile sez. III, 5 giugno

1991, n. 6346, in Arch. locazioni, 1991, 726.

185 Cassazione civile sez. III, 23

febbraio 1994, n. 1796, Giust. civ. mass., 1994, p. 199, e Riv. giur. edilizia, 1994, I, p. 726.

186 Cassazione civile sez. III, 16