• Non ci sono risultati.

SOCIAL HOUSING E COHOUSING

2. LE COMUNITÀ CONTRATTUAL

3.4 STRUTTURA GIURIDICA DEL COHOUSING

Si sono determinati, nel panorama nazionale, alcuni indirizzi applicativi delle strutture e delle forme giuridiche del cohousing che hanno privilegiato l'utilizzo di istituti tradizionali avvalendosi di modelli regolativi di natura condominiale. Il fenomeno in esame ed i relativi modelli attuativi mantengono la loro complessità e traggono anche da differenti istituti giuridici fonti e modelli di regolazione che sono recepiti nell'unitarietà costitutiva del disegno progettuale e fondativo di ogni singolo cohousing.

Le strutture giuridiche del cohousing possono presentarsi come segue. É ipotizzabile un cohousing che abbia una struttura di tipo condominiale.

Come già osservato, i cohouser potrebbero acquistare direttamente dal venditore le singole unità abitative, nonché gli spazi di condivisione finalizzati alla

realizzazione degli obiettivi di socializzazione che connotano e caratterizzano la vita in cohousing.

Al medesimo risultato può condurre la modalità attuativa che vede costituita una

232 Il D. Lgs. 122/2005 prevede: all'art. 2 (Garanzia fideiussoria); all'art. 4 (Assicurazione

cooperativa che procede alla realizzazione dell'insediamento di cohousing. La costruzione non entrerà a far parte del patrimonio della cooperativa stessa. I soci dotano di risorse economiche la cooperativa, di regola mediante l'anticipazione di somme di denaro come corrispettivo della stipulazione di contratti preliminari di compravendita; all'esito della successiva assegnazione delle singole unità abitative ed al termine della procedura negoziale adottata per la ripartizione di tutte le abitazioni in funzione dello strumento esecutivo del

cohousing, la cooperativa si scioglie per lasciare spazio al condominio.

Nell'ambito degli edifici destinati ad alloggi popolari ed economici costruiti da una cooperativa ad hoc, la gestione relativa all'uso ed al godimento delle cose comuni può essere trasferita dall'ente proprietario degli alloggi ai soci assegnatari inquilini, i quali costituiscano, prima del formale trasferimento in loro favore della proprietà, un apposito “condominio di gestione”. Ai fini della costituzione del condominio di gestione, occorre l'accordo di tutti gli interessati, che può essere espresso senza particolari formalità233.

Nelle cooperative senza contributo statale, il trasferimento della proprietà avviene per effetto della conclusione di un atto di autonomia privata, ovvero in virtù di un << contratto sinallagmatico di scambio >>, assimilabile alla compravendita, la cui esistenza, in quanto negozio soggetto alla forma scritta ad substantiam, va

necessariamente provata mediante produzione in giudizio della relativa scrittura234.

Una ulteriore ipotesi si fonda sull'attribuzione ad un “soggetto giuridico collettivo” della gestione degli spazi comuni e dei servizi condivisi o, con una scelta più radicale, della stessa proprietà degli spazi comuni. L'ente collettivo assumerà differenti forme giuridiche, come la fondazione, l'associazione, la cooperativa o la veste di u a società di persone o di capitali.

In Francia il legislatore non ha optato per l'istituzione dell'impresa sociale ma, semplicemente, ha adattato, in modo da adeguarla alle nuove esigenze sociali, la l. 47-1775 del 10 settembre 1947 sulle società cooperative, introducendo la società

233 Cassazione civile, I, 5 luglio 2012, n. 11264, Giust. civ. Mass., 2012, 7-8, p. 885.

cooperativa di interesse collettivo (SCIC). << il legislatore francese ha deciso di non istituire l'enterprise à but social (EBS), ente “trasversale” che avrebbe consentito a qualsiasi ente con o senza scopo di lucro di svolgere attività

commerciale per scopi di utilità sociale, ma di prescegliere soltanto una tipologia di società, per consentirle di svolgere attività economiche finalizzate alla

creazione di nuova occupazione >>235.

Rispetto alle associazioni ed alle fondazioni, cui fosse attribuita degli spazi comuni, emergerebbero difficoltà legate all'incertezza, in caso di scioglimento dell'ente collettivo, riguardante la possibilità dei soci di ottenere la liquidazione della propria quota o di vantare un diritto sul patrimonio dell'ente.

Appare comunque evidente che qualora si postuli la contitolarità in capo a più soggetti di uno stesso bene e la divisione in quote dell'uso del bene da cui deriva l'affidamento di un incarico per l'amministrazione del bene stesso , il principio della indivisibilità e della immodificabilità di ciò che è destinato all'uso comune consente di configurare come comunione il complesso dei diritti sul nuovo conglomerato edilizio e, per quanto concerne le parti ed i servizi comuni, come diritto condominiale l'esercizio delle facoltà dei “coresidenti”, che hanno acquisito il diritto di vivere in cohousing accettando e condividendo le prescrizioni

fondamentali del progetto originario.

Si dubita che lo statuto di una associazione o di una fondazione possa prevedere che, in caso di scioglimento dell'ente, ovvero di recesso o morte dell'associato o del fondatore, questi ultimi abbiano diritto alla liquidazione della quota del patrimonio sociale.

Per quanto riguarda le associazioni, la devoluzione del patrimonio agli associati, nelle predette ipotesi, contrasterebbe con il disposto dell'art. 24, 4° comma c.c., laddove si precisa che gli associati che abbiano receduto o che comunque abbiano cessato di appartenere all'associazione non possono ripetere i contributi versati né hanno alcun diritto sul patrimonio dell'ente.

Sul punto summenzionato è intervenuta una recente pronuncia della Corte di

235 A. ANGIULLI, L'impresa sociale come categoria trasversale di ente non profit, in D.

legittimità236 nella quale si afferma che, rispetto a quegli enti nei quali i connotati

delle associazioni non riconosciute si coniugano con un forte profilo di realità, si impone al giudice, nell'individuare la disciplina applicabile, di avere riguardo, in primo luogo, alla volontà manifestata nello statuto e, solo ove questo non

disponga , alla normativa delle associazioni o della comunione.

In forza di tale principio la Corte di legittimità ha deciso per la non applicazione proprio dell'art. 24 c.c., bensì per la diversa regola statutaria dell'ente.

In precedenza, si era già stabilito che nei cosiddetti consorzi di urbanizzazione – consistenti in aggregazioni di persone fisiche o giuridiche preordinate alla

sistemazione od al miglior godimento di uno specifico comprensorio, mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi – la natura, affermabile di regola , di associazione non riconosciuta si coniuga con un forte profilo di realità, sicché la complessità della loro struttura, affidata all'autonomia privata, rende necessario accertare quale sia la volontà manifestata nello statuto, da cui dipende

l'applicabilità della normativa in materia di associazione ovvero di quella in tema di comunione237.

Una soluzione, al fine di garantire la devoluzione del patrimonio dell'ente agli originari associati o fondatori, sarebbe immaginabile attraverso la preventiva trasformazione dell'associazione in una società di capitali ex. Art. 2500-octies c.c. Anche in tale ipotesi. Sarebbe tuttavia ostativo lo scopo di utilità pubblica che può connotare questa tipologia di enti.

La trasformazione dei suddetti enti in società di capitali si ritiene consentita solo nei casi in cui l'ente sia costituito nell'esclusivo interesse degli associati e non quanto, in ragione delle finalità socialmente rilevanti – tipiche del cohousing – abbia ricevuto contributi pubblici.

Si osserva che quando l'associazione non riconosciuta voglia trasformarsi in una società di capitali senza fine di lucro, ponendo così in essere una trasformazione causalmente omogenea, la soluzione negativa in ordine all'ammissibilità di tale

236 Cass. civ. Sez. I, 14 maggio 2012, n. 7427, in Giust. civ. Mass. 2012, 5, p. 602.

operazione discende dal fatto che << la riforma non ha comportato una generale neutralizzazione delle forme associative e, quindi, le società di capitali, essendo tuttora vincolate al conseguimento di fini lucrativi (art. 2247) o consortili (art. 2615-ter), non possono essere utilizzate per la realizzazione di fini non economici se non nei casi in cui ciò sia consentito da leggi speciali >>238.

Vi è una distinzione tra le due ipotesi summenzionate ed una terza, nella quale la proprietà dell'intero insediamento spetta ad un unico soggetto, mentre i

“coresidenti” avranno esclusivamente un diritto personale di godimento sulle singole unità abitative, nonché sugli spazi comuni.

Quest'ultima ipotesi appare la più idonea ai fini di una regolamentazione complessiva del cohousing che avrebbe maggiori margini di autonomia, non dovendo rientrare entro i confini della disciplina codicistica (quantomeno in relazione a quelle norme sul condominio considerate inderogabili), ma anche al fine di disciplinare l'uscita dalla comunità di residenti del singolo cohouser. L'uscita del cohouser dalla comunità pone dei problemi una serie di problemi relativi alla individuazione del suo avente causa, quando la disciplina del singolo cohousing prevede la facoltà di indicare un possibile successore nella propria posizione giuridica anche a seguito di una specifica operazione negoziale e della dichiarazione di gradimento da parte del soggetto che rappresenta la comunità stretta in cohousing.

Le esigenze di mantenimento della omogeneità della comunità di residenti richiederebbero che gli aventi causa fossero soggetti che condividono i principi della comunità. Che si trattasse di un soggetto che avesse a tal fine manifestato una preventiva adesione ai principi fondanti la comunità. Ciò anche attraverso l'utilizzo dello strumento della prenotazione239.

Tutto questo porrebbe problemi di ardua soluzione se il cohouser uscente fosse

238 G. MARASÀ, Le trasformazioni eterogenee, in R. not., 2003, 3, p. 585: Cfr. S. D'AGOSTINO, La trasformazione eterogenea, in R. not., 2008, 2, p. 349.

239 In merito si vedano: V. BUONOCORE, Rapporto sociale e rapporto mutualistico: una

distinzione ineludibile, nota a Cassazione civile Sez. I, 16 aprile 2003, n. 6016, in Giur. comm.,

2004, 4, p. 384; A.A. CARABBA, Atto costitutivo, autonomia contrattuale e aspetti mutualistici

proprietario e quindi condomino, e ciò sia per i trasferimenti inter vivos (in relazione ai principi di libertà contrattuale) sia per i trasferimenti mortis causa (in relazione al divieto di patti successori).

Il primo aspetto potrebbe essere risolto attraverso la creazione di una lista di aspiranti cohouser, condizionata alla preventiva sottoscrizione da parte di questi ultimi del regolamento del cohousing, quale dichiarazione di condivisione dei suoi principi ispiratori, ed eventualmente alla manifestazione di gradimento da parte della comunità dei cohouser. Ad essi, in ordine cronologico, in base alla data di iscrizione, verrebbe attribuito un diritto di prelazione rispetto alla vendita dell'appartamento in cohousing240, anche se in realtà si tratterebbe di un

meccanismo operante nei confronti del gestore del cohousing a cui dovrebbe aggiungersi una specifica convenzione idonea a prevedere un obbligo a contrarre a carico del cohouser uscente nell'ipotesi in cui intenda dismettere la propria

partecipazione anche mediante atti di alienazione a terzi. Tale ipotesi

riguarderebbe esclusivamente i trasferimenti inter vivos a titolo oneroso, essendo inconciliabile con atti di liberalità e con la spontaneità dell'attribuzione di natura donativa.

Più probabilmente appare la soluzione per quanto riguarda i trasferimenti mortis causa.

Una pattuizione che limitasse la libertà testamentaria del cohouser al fine di favorire il mantenimento della omogeneità della comunità, limitando si

successibili all'interno di un determinato contesto, incontrerebbe la sanzione della nullità per contrasto con il divieto di patti successori. Ipotizzando anche una libera disposizione testamentaria del cohouser a favore di soggetti estranei alla famiglia , non si potrebbero escludere problematiche legate alla disciplina che regola la successione necessaria.

Ogni possibilità dipende dalla forma giuridica assunta dal cohousing, in particolare qualora si tratti di società di persone (art. 2284 c.c.) o di società di capitali (artt. 2469, 2355-bis, 3° comma, 2530 e 2534 c.c.).

240 M. ZUCCHINI, Aspetti operativi: il cohousing dal punto di vista giuridico, in Famiglie,

Nelle società di persone, le clausole di continuazione eventualmente previste non costituiscono patti con effetti immediati e ciò soprattutto per le clausole di

continuazione automatica che differiscono da quelle di continuazione obbligatoria perché l'accettazione dell'eredità comporta l'assunzione automatica della qualità di “socio”, senza necessità di un'esplicita adesione al contratto sociale che nel caso del cohousing sarebbe invece necessaria. L'art. 2284 c.c. Consente tuttavia una deroga alla disciplina legale.

Il contratto sociale può contenere la c.d. clausola di consolidazione che prevede il progressivo consolidamento delle quote dei soci deceduti in capo ai soci superstiti e l'art. 2284, consentendo la deroga convenzionale alla disciplina legale, può essere utilizzato per le finalità tipiche del cohousing.

È stata ipotizzata anche un'altra soluzione già adottata per le società di capitali e che ha ricevuto un avallo della Corte di legittimità241. Si tratta di una clausola

statutaria che attribuisce ai soci superstiti di una società di capitali, in caso di morte di uno di essi, il diritto di acquistare – entro un determinato periodo di tempo e secondo un valore da determinarsi secondo criteri prestabiliti – dagli eredi del de cuius le azioni già appartenute a quest'ultimo e pervenute iure successionis agli eredi medesimi.

Questa clausola non viola il divieto dei patti successori di cui all'art. 458 c.c., in quanto il vincolo che ne deriva a carico reciprocamente a carico dei soci è destinato a produrre effetti solo dopo il verificarsi della vicenda successoria e dopo il trasferimento delle azioni agli eredi, con la conseguenza che la morte di uno dei soci costituisce soltanto il momento dal quale può essere esercitata l'opzione di acquisto suddetto, senza che ne risulti incisa la disciplina legale della delazione ereditaria.

Per i trasferimenti inter vivos possono ipotizzarsi varie soluzioni, quali ad esempio quella del patto di opzione, ovvero quella della trattativa riservata, rimessa al rispetto di predefiniti limiti temporali, volta a consentire, mediante la preventiva determinazione di meccanismi negoziali di gradimento ed adesione, la

241 Cass. 16 aprile 1994, n. 3609, in Giur. it., 1995, I, I, p. 1334, con nota di P. REVIGLIONO e in R. d. comm., 1995, II, p. 17, con nota di A. CIAFFI.

partecipazione del nuovo cohouser. È possibile prevedere anche uno specifico divieto di alienazione ex art. 1379 c.c. nei limiti delle tipiche finalità del cohousing e dei vincoli di destinazione che ne conseguono.

La disposizione dell'art. 1379 c.c., con riguardo alle condizioni di validità del divieto condizionale di alienare si applica, essendo espressione di un rpincipio di portata generale, anche a pattuizioni che, come quelle contenenti un vincolo di destinazione, seppur non puntualmente riconducibili al paradigma del divieto di alienazione, comportano limitazioni altrettanto incisive del diritto di proprietà242.

Laddove il cohouser fosse titolare di un diritto personale di godimento le soluzione potrebbero essere più facilmente regolate dalla disciplina interna del soggetto giuridico proprietario dell'intero insediamento immobiliare.

In tal caso l'adesione del singolo alla comunità in cohousing dovrebbe prevedere particolari modalità regolative del diritto personale di godimento assegnato al cohouser.

Gli atti fondativi del cohousing dovrebbero prevedere, tramite modelli statutari e vincoli negoziali appositi, la stabilità e continuità delle attività in cohousing indipendentemente dalle forme di assegnazione della facoltà di accesso e partecipazione alla comunità per il singolo cohouser, che vedrebbe rafforzato il suo diritto mediante la previsione di specifiche e puntuali obbligazioni

correlativamente a carico del soggetto proprietario e gestore del complesso edilizio e residenziale. Quest'ultimo risulta tenuto, in via originaria, a rispettare il vincolo interno alla stessa progettazione e fondazione del cohousing.

3.5 REGOLAMENTO DI COHOUSING DI NATURA CONDOMINIALE