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La forte diversità socioculturale delle varie realtà d’Italia si riflette anche sui modelli di implementazione di programmi ed attività di microcredito che, per funzionare, devono proporre un’offerta di credito consona alle caratteristiche della domanda da servire (Andreoni, Sassatelli, Vichi, 2013).

Ad esempio, potenzialmente la richiesta di microcredito da soddisfare è più elevata nel Sud Italia, dove sono più diffusi sia i fenomeni di esclusione creditizia a danno di microimprese e piccole attività produttive, sia le situazioni di difficoltà e disagio sociale. D’altro canto, le opportunità e la propensione ad investire sono in generale minori nel Meridione, rispetto che nel Centro-Nord d’Italia. Anche la proporzione tra Mc all’impresa e Mc di solidarietà cambia da territorio a territorio, a seconda della situazione sociale e del tessuto produttivo in esso presente (Andreoni, Sassatelli, Vichi, 2013) .

Tre sono i principali modelli di microcredito in cui si possono far rientrare le principali esperienze di microcredito concretizzatesi nelle differenti realtà territoriali italiane (Andreoni, Sassatelli, Vichi, 2013) :

 modello orizzontale diffuso: il tessuto bancario in esso presente è costituito da molteplici istituti di solito ben radicati sul territorio e vi è una rete di confidi sviluppata e ben funzionante ; l’offerta di Mc riveste un ruolo complementare ed è portata avanti da società civile, Terzo settore e privati non bancari, al fine di permettere l’accesso al credito da parte di target marginali. In questa governance diffusa non vi è un soggetto dominante: i vari player mantengono ognuno forte autonomia e le rispettive metodologie operative, benché diverse, risultano fra loro integrate e coerenti. In particolare, i metodi di valutazione del rischio e le garanzie relazionali proprie della microfinanza si integrano bene nel sistema creditizio

tradizionale, attraverso i confidi ed un multiforme sistema bancario, capillare ed attento allo sviluppo locale. Tuttavia, si potrebbero effettuare miglioramenti ri guardo ai processi di controllo, monitoraggio e supervisione dei clienti, spesso troppo rigidi e non adatti al core target proprio del microcredito; inoltre, andrebbe rafforzata l’offerta sia di microcredito sociale, sia di Mc all’impresa per quanto concerne il supporto ai business in fase di start-up. Il modello ora descritto è tipico ad esempio dell’Emilia-Romagna;

 modello centralizzato locale: è il modello applicabile ad esempio alla regione Lazio, ove gli attori coinvolti in ambito microcreditizio sono pochi e di dimensioni medio-grandi: generalmente, essi sono enti pubblici o istituti creditiz i tradizionali. La loro autonomia è ampia ed hanno un ambito d’azione piuttosto vasto , anche se il loro centro operativo rimane di solito localizzato dentro il territorio di riferimento. Il legame di questi player con gli stakeholder e le realtà locali cui potenzialmente il Mc si rivolgerebbe è spesso piuttosto tenue: i programmi di microcredito implementati sono partoriti all’interno delle strutture di questi grandi enti, sfruttando le loro vaste risorse, ma mancano di approfondire i legami con il territorio. Il risultato sono una serie di iniziative di microcredito “a macchia di leopardo”, di volta in volta centrate su determinate aree geografiche e/o su specifiche categorie di destinatari: manca una regia capace di coordinare i vari programmi di Mc, che scorrono il più delle volte paralleli tra loro e senza creare sinergie positive. Oltre ad essere necessario rafforzare la coordinazione a livello di

governance fra le varie iniziative, andrebbe consolidata la presenza sul territorio dei predetti attori, implementando una rete più fitta di centri e punti d’ascolto utile a far incontrare l’offerta di Mc con la domanda di piccoli finanziamenti espressa dalle singole comunità. Inoltre, si dovrebbe porre maggior attenzione ai microfinanziamenti diretti a piccoli business e microimprese già avviati, che soffrono

particolarmente il mancato accesso al credito e rischiano in molti casi di essere potenziali vittime dell’usura;

 modello centralizzato nazionale: è il modello tipico di regioni come la Calabria, dove l’esclusione finanziaria è elevatissima, gli attori territoriali non bancari (enti locali, organizzazioni della società civile e Terzo settore in primis) appaiono molto deboli ed il sistema creditizio tradizionale (banche, intermediari finanziari e confidi) è scarsamente sviluppato e poco innovativo. Quest’ultimo si mostra particolarmente chiuso alle novità e gli stessi confidi sono restii a concedere garanzie ad attività imprenditoriali e piccoli business, preferendo focalizzarsi con una logica classica su aziende più solide e ben patrimonializzate e favorendo, di conseguenza, appunto l’esclusione finanziaria di vasti strati di popolazione e di tessuto produttivo. In un tale contesto le possibilità che nascano spontaneamente iniziative di microfinanza e microcredito sul territorio sono scarse e gli enti pubblici nazionali si incaricano di sviluppare in loco dei programmi “esogeni”, pianificati in centri decisionali lontani dai luoghi dove tali programmi effettivamente esplicheranno la loro azione. I margini di miglioramento presenti nel modello centralizzato nazionale sono molto elevati sotto tutti i punti di vista: se questo tipo di governance rappresenta in contesti arretrati un buon modo per dar inizio a pratiche microfinanziarie e microcreditizie, in tal caso è necessario porsi l’obiettivo prioritario di favorire lo sviluppo di realtà endogene, nate in loco. Le strategie possibili per giungere a tale obiettivo sono varie: ad esempio si possono stringere partnership con i pochi istituti creditizi locali e spingerli, anche erogando loro sussidi di sostegno, ad attuare processi di downscaling743 per offrire finanziamenti e servizi pure in ambito microfinanziario. In alternativa o in aggiunta si potrebbe

743 Si ricorda che i processi di downscaling sono strategie commerciali che portano tradizionali

istituti bancari e finanziari ad entrare nel settore microfinanziario e microcreditizio (Westley, 2006; Anderloni, Bellotti, Cimato, Demaria, Stefanini, Vitali, 2007).

finanziare, almeno all’inizio con fondi pubblici, l’apertura di un apposito istituto/ente che eroghi microcredito sul territorio e vada a riempire un’ampia nicchia lasciata vuota dagli operatori locati ; in seguito tale istituto/ente, raggiunta una propria sostenibilità economico-finanziaria, dovrebbe essere privatizzato in modo totale o parziale. Questo processo potrebbe essere utile per spingere nuovi operatori ad entrare nel settore microcreditizio su un dato territorio.