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L'era moderna: la grande diffusione, ciarlatani e teatro popolare

Il Basso medioevo dunque, in particolare con l'espansione delle fiere, aveva finalmente dato modo a questi artisti e prodigi della natura di proliferare e di interagire, anche se lentamente,

40 Ibid., cap. 3. Si veda anche A. CERVELLATI, Storia del circo, Bologna, 1956 e J. BUZANCAIS, Le cirque des merveilles, Parigi, 1953.

41 Si veda in proposito il paragrafo 3.2.2 I.

42 AA.VV., Enciclopedia dello spettacolo, op. cit., pag. 1433 43 Ibid.

con le regole sociali urbane. I vari tentativi di repressione da parte dei governanti non erano riusciti ad arginare il fenomeno della loro espansione, e la cultura popolare cittadina li aveva pienamente accolti in sé.

Non va trascurato infatti il mutamento che tali artisti contribuivano a produrre all'interno del tessuto sociale di una città. Le piazze erano diventate un brulichio di esperienze, attrazioni e, in generale, di vite. Questo processo, che si era inizialmente accompagnato al commercio ambulante, non si arrestò affatto nei secoli successivi, quando la maggior parte dei mercanti divennero stanziali e iniziarono ad aprire negozi fissi.

Ciò che avvenne, però, fu sicuramente una modifica della tipologia di spettacoli offerti al pubblico dagli artisti. Lo Jocularem antico, accolto dalla nobiltà e trasformatosi in raffinato giullare di corte fra XIII e XV sec., perse il contatto con la realtà popolare e andò a inserirsi nelle folte schiere di poeti e musicisti che animavano la vita culturale e mondana di palazzo delle signorie Rinascimentali. Infatti, verso la fine del XVI sec., “la buffoneria è salita sì in pregio che le tavole signorili son più ingombrate di buffoni che di alcuna specie di virtuosi”44.

Sulla piazza cittadina, invece, rimasero costantemente quelle attività in grado di suscitare meraviglia, d'imbonire e divertire il pubblico, di smuovere la fantasia. L'ambiente popolare ha sempre richiesto solo un certo tipo d'intrattenimento, che non prevede sontuosità formali, artifici retorici e significati nascosti. Cosa che, in verità, è rimasta quasi invariata fino ad oggi. Tutto, in uno spettacolo di strada, è e deve essere, da sempre, immediato e chiaro, perchè il pubblico esige una stimolazione continua. Sia ben chiaro che non potremmo essere più lontani dall'attribuire a questa semplicità formale, a questi caratteri essenziali, un valore negativo o degradante. Anzi, ben consapevoli che da sempre cultura popolare “bassa” e cultura nobile “alta” si accompagnano e sono l'una all'altra essenziali45, troviamo nella loro presenza un

significativo fenomeno di espressione culturale.

Durante il Rinascimento, ma ancora più nel periodo a cavallo fra XVI e XVII sec., troviamo una grande quantità di testimonianze dell'attività di questi artisti nelle città italiane e straniere. Una delle più notevoli voci in capitolo è sicuramente quella di Tommaso Garzoni da

44 T. Garzoni, La piazza universale... op. cit., pag. 1305

Bagnacavallo (1549 – 1589) che, nella sua voluminosa opera La piazza universale di tutte e

professioni del mondo (1585), si occupa di catalogare tutti mestieri che animavano il tessuto

sociale del suo periodo. Il suo lavoro è una vera e propria miniera di informazioni ed è imprescindibile per chiunque voglia farsi un'idea completa sulla vita economica popolare del Cinquecento. Il resoconto del Garzoni permette infatti di sondare nei minimi dettagli la vitalità che animava le piazze tardo-rinascimentali. Una prima descrizione di come doveva apparire una piazza in un giorno ordinario è dato dal suo Discorso CXVII, Degli oziosi di

piazza, overo del mestiero di Michelazzo, che descrive le cattive abitudini delle persone che

spendevano la propria giornata bighellonando per la città. Costoro “spendono il tempo di lor vita in passeggiar per piazza, e andar dall'ostaria in pescaria e dal palazzo alla loggia, non facendo altro tutto il giorno che girar di qua e di là, ora sentendo canta in banchi46, ora

guardando il toro che passa, e ora mirado i bicchieri, i specchi e sonagli che in piazza son distesi47; ora vagando pel mercato in mezo de' villani vanamente, ora posando in qualche

barberia a contar frottole e fanfalucche, ora leggendo le nove di banco, che son proprio per l'orecchie di gente ociosa e negligente”48. Come si può facilmente intuire, però, ciò che ci

interessa del lavoro del Garzoni sta nel fatto che, fra le centinaia di professioni elencate, molte riguardano gli artisti di strada.

Il Discorso CIV di quest'opera, titolante Dè formatori di spettacoli in genere, e de' ceretani o

ciurmatori di massime, è probabilmente il più prodigo di preziose informazioni. Il Garzoni,

membro della congregazione lateranense ravennate e uomo dal forte senso morale, non esita a bollare queste attività come spregevoli e di bassa lega: “Ma 'a tempi nostri, il numero e le specie di costoro sono cresciute a guisa della mal'erba, in modo che per ogni città, per ogni terra, per ogni piazza non si vede altro che ceretani o cantimbanchi, che più presto mangiaguadagno puon dimandarsi che altramente”.

Per meglio comprendere il significato di questo e altri testi si rende subito necessaria un'importante osservazione. Il Garzoni, come molti altri commentatori della sua epoca (e

46 Cioè i saltimbanchi, i cantastorie e i teatranti di piazza. Vedi infra.

47 Il riferimento qui è alle varie mercanzie che venivano esposte anche occasionalmente direttamente per terra, fuori dai mercati ordinari.

come spesso accadeva fino a meno di un secolo fa), riunisce in un solo gruppo diversi tipi di attività spettacolari che avvenivano sulle piazze. A causa delle intenzioni poco corrette di alcuni di questi mestieri, ma forse anche della natura caotica delle rappresentazioni, tali personaggi erano visti con discredito. Fra di loro, però era possibile distinguere due categorie principali: i cosiddetti ciarlatani49, veri e propri artefici dell'inganno, e i più onesti giocolieri,

cantastorie, acrobati e saltatori (che oggi rientrano a pieno titolo fra gli artisti di strada). Il fenomeno della ciarlataneria è molto complesso: professione che nasce dal duro bisogno, consisteva nell'accaparrarsi la benevolenza del pubblico con grandi messinscene che servivano, sostanzialmente, a truffarlo ed a vendere prodotti inutili. Per fare questo, il ciarlatano doveva essere uno straordinario imbonitore. Tanto il Garzanti quanto il gesuita seicentesco Ottonelli riportano descrizioni accurate di come avvenivano gli spettacoli di questi furbi declamatori50, che spesso si servivano di un saraffo (compare) con cui

comunicavano in un gergo particolare51. Per attirare a sé il pubblico, però, non era raro che i

ciarlatani si servissero anche dell'abilità di qualche saltatore o giocoliere. Il fatto che entrambe le categorie fossero poi di natura errabonda ha sempre spinto sia i commentatori che i legislatori a considerarli sostanzialmente sotto lo stesso profilo. Bisogna poi sottolineare che molto spesso alcuni di questi ciarlatani erano dei veri e propri maestri della giocoleria, dell'illusionismo e dell'acrobatica: tutte doti di cui si servivano per stupire il pubblico. Ci sia concesso un salto avanti nel tempo per dimostrare che questa confusione di ruoli, nata nel Rinascimento, è perdurata fino a tempi molto più recenti. È il franceseRobert-Houdin

49 Il mestiere del ciarlatano è antico quasi quanto tutti gli altri fin qui descritti. Sulle piazze cittadine sono sempre esistiti, infatti, spacciatori di farmaci miracolosi e di unguenti, lozioni, filtri, pomate e balsami stupefacenti, così come di attrezzi privi di alcuna reale utilità. Il termine che li identifica sicuramente deriva dal più antico cerretano, la cui etimologia è però incerta. Alcuni, fra cui i commentatori più antichi come Flavio Biondo e Bruno Migliorini, ne hanno giustificato l'origine identificando la provenienza di queste genti dal paese umbro di Cerreto Guidi, che sembra fosse rinomato per le attività truffaldine dei suoi abitanti. Altri, invece, in tempi recenti, lo collegano al latino gerrae (ciarle) che diede poi gerrones (ciarloni) e da lì il successivo gerratànus.

50 G. D. OTTONELLI, Della christiana moderatione del theatro, libro detto l'ammonimento a' recitanti, Firenze, Alle Scale di Badia, 1652

51 Si tratta di quel gergo che A. MENARINI, nel suo saggio Il gergo della piazza, identiica come “furbesco” o “lingua zerga”. Questi termini riprendono peraltro quelli dei documenti più antichi, risalenti ai secoli XVI e XVII, fra cui il Nuovo modo di intendere la Lingua Zerga. Menarini identificava in questo linguaggio in codice “un particolare vocabolario in uso dai vagabondi di ogni sorta, dai bari, dai mendicanti, dai girovaghi, da tutti coloro che vivono di espedienti e di raggiri, e che comunque hanno necessità di comunicare tra di loro senza che altri comprendano”

(1805-1871), vero padre dell'illusionismo moderno, a darcene una conferma. Nella sua biografia, il celebre mago ricorda un episodio che lo coinvolse quando aveva circa diciotto anni. Si trattava dello spettacolo di un artista di strada che, dopo aver creato un cerchio di curiosi attorno a sé – fra cui il giovane mago – prese a eseguire una serie di numeri di illusionismo e prestidigitazione. La qualità dello spettacolo è espressa dalle osservazioni dello stesso Robert-Houdin: “L'addresse avec laquelle ces tours furent faits, la bonhomie apperente de l'opèrateur dans l'éxecution de ces ingénieux artifices, me produiserent la plus complète illusion”52. Lo scopo della dimostrazione, però, era quello di vendere un vermifugo e, a chi ne

avesse fatto domanda, dei testi che avrebbero spiegato come ricreare i prodigi meravigliosi da lui eseguiti. Nè l'una né l'altra mercanzia, ci dice Robert-Houdin che si era evidentemente lasciato irretire, assolveva realmente allo scopo declamato53.

La linea di confine fra le due categorie è sempre stata quindi molto labile e, ci sembra, sia dettata semplicemente dalla buona o cattiva fede degli artisti. È da ritenersi dunque verosimile che quando il Garzoni definisce le modalità con cui questi personaggi formavano il treppo (il cerchio del pubblico), egli intendesse tanto l'una quanto l'altra categoria, senza distinzione fra artisti benevoli e furboni malintenzionati.

“Chi vuol raccontare minutamente tutti i modi e tutte le maniere che adoprano i ceretani per far bezzi, avrà preso da fare assai”. L'onomastica e le situazioni descritte nelle pagine del Discorso CIV della Piazza Universale...sono un importantissimo documento per l'origine del teatro popolare e d'improvvisazione. “Basta che da un canto della piazza tu vedi il nostro galante Fortunato insieme con Fritata54 cacciar carotte55, e trattener la brigata ogni sera dalle

vintidue fino alle vintiquattro ore di giorno, finger novelle, trovare istorie, formar dialoghi, far caleselle56, cantare all'improvviso, corrucciarsi insieme, far la pace, morir dalle risa, alterarsi

di nuovo, urtarsi in sul banco, far questione insieme, e finalemente buttar fuora i bussoli, e venire al quamquam delle gazette57”. Nelle poche righe di questo esempio e dei molti che

52 J. E. ROBERT-HOUDIN, Confidences et révélations. Comment on devient sorcier, Parigi, 1868, pag. 18. 53 Ibid. pag. 21.

54 Nomi d'arte dei saltimbanchi. Fortunato era, in particolare, il nome d'arte di Maffeo Taietti, cfr T. GARZONI, op. cit., pag 1192, nota 17.

55 L'espressione, secondo P. Cerchi e B. Collina, sta per “dire straordinarie bugie”. 56 Salti acrobatici

seguono nello stesso Discorso, il Garzoni ci dà la possibilità di ricostruire la natura degli spettacoli di strada del Cinquecento. Si trattava innanzitutto di rappresentazioni piuttosto lunghe, che spesso avvenivano di sera, ed erano quasi sempre a sfondo comico. Venivano raccontate storie con pretesti assurdi allo scopo di divertire il pubblico. Nel mezzo di queste narrazioni, probabilmente, si inframezzavano delle gag umoristiche fra i personaggi. Oltre a compiere giochi di abilità e destrezza (le caleselle), essi simulavano dei battibecchi forse non lontani da quelli che oggi possono intercorrere fra il clown augusto e il clown bianco. Venivano spesso usati anche degli animali all'interno degli spettacoli: “Ma Settecervelli fra questo mezzo prende occasione di far circolo, e con la cappa distesa per terra, con la cagnola appresso, con la bacchetta in mano, la fa cantare ut, re, mi, sol, fa, la, le fa far tombole per galanteria; la fa abbaiare contra il più mal vestito; la fa latrare al nome del Gran Turco; la fa saltare per amor della sua dive e, in ultimo, la fa cercar, con la beretta, la buona mano da tutta quella bella compagnia”58. Non ci è possibile, per ragioni di spazio, analizzare l'intera gamma

di artisti descritti dal Garzoni, che meriterebbero invero una trattazione a sé stante. Sembra però evidente che costituivano una delle più diffuse forme di intrattenimento popolare, accanto ai ciarlatani: “Or da ogni parte si vede la piazza piena di questi ciurmatori”59.

L'ostilità dei cronisti di questo periodo, fra cui annoveriamo anche il Perrucci, andava di pari passo con quella delle istituzioni ecclesiastiche e pubbliche, per i motivi più disparati. Non si contano infatti le ordinanze contro questo fenomeno, a segno che il potere ha da sempre cercato di arginare e porre un freno all'espansione del teatro popolare e dei ciarlatani. In alcuni casi, l'ostilità si tramutò in violenta persecuzione: è nota per esempio la vicenda di un inglese, Banks, che presentava un numero accompagnato da un cavallo parlante, Morocco. Entrambi furono messi al rogo perchè ritenuti esseri diabolici60.

Uno dei motivi di ostilità da parte della chiesa fu forse anche il fatto che, con la disfatta dell'islam e dopo le crociate, moltissimi saltimbanchi arricchirono le loro fila con giocolieri, acrobati e prestigiatori saraceni, che non erano certamente visti di buon grado61. La

58 T. Garzoni, La piazza universale... op. cit., pag. 1196 59 Ibid. pag. 1197

60 AA.VV., Enciclopedia dello spettacolo, op. cit., pag. 1433 61 Ibid.

compenetrazione del mondo islamico con quello occidentale fu infatti, anche su questo piano, molto vasta. Nell'Italia settentrionale e in Provenza era attestata e documentata la presenza fin dal XV secolo di acrobati che praticavano le cosiddette Forze d'ercole. Si trattava di piramidi umane che, probabilmente, erano di origini arabe62, e che venivano praticate da una trentina di

atleti che creando una base geometrica, montavano l'uno sull'altro fino a raggiungere altezze molto elevate. In cima saliva solitamente un bambino, detto cimiereto che, compiuta qualche prodezza (tombolo o impalo), si lasciava cadere su un materasso o in braccio ad altri artisti63.

Ne abbiamo tracce soprattutto in Emilia Romagna e a Venezia, i cui artisti avevano la nomea di essere fra i migliori acrobati in circolazione.

Una voce importantissima per la nostra ricostruzione è quella del saltimbanco Angelo Tuccaro, di origini abruzzesi, che nel 1599, alla corte di Carlo IX di Francia, scrisse i “Tre

dialoghi de li esercizi di saltare et di volteggiare nell'aria con le figure che servono alla perfetta dimostrazione et intelligentia di questa arte”. Si tratta del primo testo che spieghi

come eseguire i più diffusi esercizi acrobatici dell'epoca, la cui complessità era notevole. Lo stesso Tuccaro, peraltro, in una delle 80 xilografie che corredano la sua opera, rappresenta anche una scena delle Forze d'ercole64.

Fra le discipline più in voga vi era sicuramente il funambolismo. Malgrado l'ostilità proveniente da molte voci altolocate, questi artisti rimasero sempre fra i più beneamati dal pubblico, tanto che in caso di esibizioni particolarmente spettacolari prendevano parte anche personaggi molto in vista65. La cronaca delle prodezze dei funamboli del Cinquecento e del

Seicento ha quasi dell'incredibile: l'esercizio più tipico era quello prevedeva di fissare una fune con un capo alla cima di una torre e con l'altro sul terreno, generalmente in mezzo alla piazza. L'acrobata eseguiva varie destrezze salendo e scendendo sul filo. Nel 1543, a Bologna, in Piazza Maggiore, un funambolo fissò una fune dalla torre dell'orologio fino alla scalinata di

62 E. Vita, “Il teatro delle meraviglie”, op. cit. pag. 76

63 AA.VV., La fiera delle meraviglie, F. MASTROPASQUA (a cura di), Reggio Emilia, 1981.

64 Il testo del Tuccaro è rarissimo e ne esistono poche copie. La xilografia e una descrizione sommaria è però riportata dal Pretini nel suo testo Dalla fiera al luna park, Udine, Trapezio, 1984. Allo stesso modo si veda E. VITA, “Il teatro delle meraviglie”, op. cit. pag. 64.

65 A. CERVELLATI, Questa sera grande spettacolo: storia del circo italiano, Edizioni Avanti! 1961, pagg. 140-143

S. Petronio e si esibì con grande maestria66. Un antesignano dei moderni spettacoli di strada fu

un tale Alea, di origini turche, che compì una grande serie di acrobazie nel Palazzo del Podestà l'11 aprile 1547. L'artista ed i suoi collaboratori fecero ottimi affari, perchè per assistere allo spettacolo, si doveva pagare dodici quattrini e vi presenziarono più di mille persone67. Sempre a Bologna, anche se stentiamo a crederlo, si esibì sotto (anzi, sopra) gli

occhi del famoso naturalista Ulisse Aldrovandi un funambolo che riuscì a scendere lungo un filo teso fra la sommità della torre Asinelli al centro della Piazza Maggiore68. Non è l'unica

testimonianza di una prodezza simile: nel 1645, la cosa si sarebbe ripetuta da parte di “Giovan Battista Ruino e Padron Palombari, napoletani, ballerini e saltatori di corda”.

A Venezia, invece, oltre alle già citate Forze d'Ercole, si affermò una particolare tradizione funambolica, inaugurata da uno spettacolo passato agli annali come “Svolo del turco”. Un artista turco, infatti, attraversò la piazza di S. Marco sotto una folla stupefatta di persone salendo fino all'apice del campanile e ridiscendendo poi fino al balcone di Palazzo Ducale, omaggiando il Doge di un mazzo di fiori69. Lo spettacolo fu tale da venire richiesto lungo tutti

gli anni successivi, ed è effettivamente all'origine del “volo dell'angelo” che ancora oggi viene eseguito – anche se in una versione molto più edulcorata – durante il carnevale.

Più tardi, è il seicentesco Ottonelli a darci una prospettiva sulla varietà degli spettacoli che venivano offerti sulle pubbliche piazze: “il camminare o ballare sulle corde,il far le forze d'Ercole, l'usare salti mortali, il volare da un luogo ad un altro con una fune, il giocar d'arme in vari modi, il camminar con le mani a piedi alzati, il far ballare e saltare una bestia ovvero una donna vestita da uomo, l'ingannare gli occhi altrui con varie destrezze di mano, il sollevare un peso grandissimo con i soli capelli, il ferirsi qualche parte del corpo e presto risanarsi”70. Ottanelli rappresenta, forse più di ogni altro, la reazione dell'ambiente

ecclesiastico al dilagare degli spettacoli popolari. Il suo testo Della christiana moderatione

del theatro, libro detto l'ammonimento a' recitanti, appare per molti tratti omologo ad altre 66 J. RANIERI, Diario di cose seguite in Bologna dal 20 settembre 1535 fino lì 25 dicembre 1549, nella

ristampa di O. GUERRINI e C. RICCI, Bologna, 1888, pag. 101 67 E. VITA, Il teatro delle meraviglie, op. cit., pag. 71.

68 Ibid. 69

70 G. D. OTTONELLI, Della christiana moderatione del theatro, libro detto l'ammonimento a' recitanti, op. cit. Vol. IV, pag. 439.

opere con cui esponenti della chiesa influenzavano la qualità delle espressioni artistiche del loro periodo. Un esempio celebre, nel campo delle arti visive, è il più antico Discorso intorno

alle immagini sacre e profane (1582) del cardinale Gabriele Paleotti, che conteneva i principi

a cui dovevano attenersi i pittori nel clima della controriforma.

Vista la quantità di commenti e riferimenti disponibili nel secolo successivo al Concilio di Trento, abbiamo ragione di credere che queste attività spettacolari proseguirono sempre, adeguandosi ai vari contesti in cui si trovavano, tanto in Italia quanto all'estero. La presenza di artisti come il Tuccaro in Francia ne è la riprova. Le testimonianze, comunque, crescono via via che ci si avvicina al XVIII ed al XIX secolo. Sarà però proprio l'Ottocento e, soprattutto, il primo Novecento, a vedere la scomparsa di artisti e saltimbanchi di piazza.

Tuttavia, prima di affrontare questo argomento, è necessario spendere qualche parola per identificare il ruolo che, nella nostra vicenda, assume la Commedia dell'Arte.

È indubbio che i primi creatori della Commedia dell'Arte provenissero dallo stesso colorito mondo degli spettacoli di fiera e di piazza descritti nelle pagine precedenti e che, anche nella sua fase matura, essa metteva in scena tematiche di natura popolare. Diversi autori, fra cui il Cervellati, hanno infatti già tracciato un collegamento fra i primi attori della Commedia e i saltimbanchi del tardo Medioevo e del Rinascimento71. È però sicuramente il Barba a segnare

una connessione molto marcata fra questi attori e quelli che lavoravano sulle piazze e nelle