CAPITOLO 4 – LA FORESTA NEI TESTI DEL BASSO MEDIOEVO
4.2 IL MOTIVO DELLA “CACCIA INFERNALE” NELLA LETTERATURA ITALIANA MEDIEVALE
Un motivo ricorrente nella letteratura medievale è quello della “caccia infernale” o “caccia selvaggia”: esso riprende alcuni motivi macabri già diffusi nella letteratura classica (vedi gli esempi di Atteone e Penteo nelle Metamorfosi di Ovidio), nonché nel folklore nordico (dalla Scandinavia alle isole Britanniche), per descrivere una metaforica “caccia alle anime” da parte del demonio. Spesso questa caccia avviene all'interno di una foresta, sotto forma di visio che appare al travagliato protagonista del racconto; Margherita Lecco, categorizzando le tipologie di mesnie hellequin256, in
sette diversi gruppi (esercito dei morti, esercito fantasma, corteo dei morti, caccia selvaggia, cacciatore feroce o selvaggio o misterioso, troupe di diavoli, re di féerie) descrive la caccia selvaggia così:
I partecipanti sono visti come cacciatori, seguiti da animali, cavalli e cani, molto rumorosi per il costante suono di corni ed altri strumenti di caccia: tra gli animali sono però presenti anche capri, in gran numero... Talvolta la caccia si sente passare, ma senza che se ne vedano i partecipanti.257
Da notare la presenza dei capri, animali la cui figura è tipicamente associata all'immagine del diavolo. Sempre Lecco, nel descrivere il “cacciatore feroce, o selvaggio, o misterioso” (variante della caccia selvaggia il cui protagonista è, per l'appunto, solitario) aggiunge:
Un cavaliere che agisce da solo, connotato da proprietà demoniache (il cavallo nero e avvolto dalle fiamme, la furia assassina che lo pervade, l'ora notturna dell'evento, la spada sguainata), che insegue una preda fantasma, di solito una donna, ma anche un essere fantastico, o un animale.258
Nella tradizione letteraria italiana medievale troviamo vari esempi di caccia infernale: dall'exemplum del carbonaio di Niversa contenuto nel Lo Specchio di Vera Penitenza di Iacopo Passavanti (scritto attorno al 1354)259, al canto XIII dell'Inferno di Dante, dove, all'interno della “selva dei suicidi”, il poeta assiste alla caccia infernale subita come pena per analogia dai due scialacquatori Lano da Siena e Jacopo da Sant'Andrea (i quali, come distrussero le proprie sostanze,
256Uno dei molti nomi con cui nella cultura folclorica europea medieval si designa il gruppo errante dei "morti senza riposo".
257Lecco, Margherita, Il Motivo della Mesnie Hellequin nella Letteratura Medievale, Alessandria: Edizioni dell'Orso, 2001, p. 35.
258Lecco, p. 37.
259Passavanti, Iacopo, Lo Specchio della Vera Penitenza, III, 2, 35-53, a cura di G. Auzzas, Firenze: Accademia della Crusca, 2014, pp. 246-248.
vengono ora fatti a brandelli da cagne fameliche)260. L'episodio che maggiormente ritengo opportuno analizzare è contenuto nel Decameron. All'interno di una cornice storicamente attendibile (l'autore ambienta la vicenda a Firenze durante l'epidemia di peste che colpì la città nel 1349) l'autore narra di una “allegra brigata” (composta da dieci giovani, sette donne e tre uomini) che fugge dalla città colpita dal morbo, per rifugiarsi in campagna e dedicarsi all'ozio, nonché alla narrazione di novelle (dieci al giorno, per dieci giorni). Durante la quinta giornata “nella quale, sotto il reggimento di Fiammetta, si ragiona di ciò che a alcuno amante, dopo alcuni fieri o sventurati accidenti, felicemente avvenisse”261, una delle donne, Filomena, narra la novella di Nastagio degli Onesti, così riassunta dall'autore:
Nastagio degli Onesti, amando una de' Traversari, spende le sue ricchezze senza essere amato; vassene pregato da' suoi a Chiassi; quivi vede cacciare a un cavaliere una giovane e ucciderla e divorarla da due cani; invita i parenti suoi e quella donna amata da lui a un desinare, la quale vede questa medesima giovane sbranare e temendo di simile avvenimento prende per marito Nastagio.262
La scena cui assiste Nastagio all'interno della pineta di Classe263 è fortemente affine a quella narrata da Iacopo Passavanti:
Uscì fuori per vedere che fosse, e vide venire verso la fossa correndo e stridendo una femina scapigliata e gnuda, e dietro le venia uno cavaliere in su uno cavallo nero, correndo, con uno coltello ignudo in mano, e della bocca e degli occhi e dello naso del cavaliere e del cavallo uscia fiamma di fuoco ardente... correndo intorno alla fossa, fu sopragiunta dal cavaliere che dietro le correa, la quale traendo guai, presa per li svolazzanti capelli, crudelmente ferì per lo mezzo del petto col coltello che tenea in mano.264
Vide venir per un boschetto assai folto d'albuscelli e di pruni, correndo verso il luogo dove egli era, una bellissima giovane ignuda, scapigliata e tutta graffiata dalle frasche e da' pruni, piagnendo e gridando forte mercé; e oltre a questo le vide a' fianchi due grandi e fieri mastini, li quali duramente appresso correndole spesse volte crudelmente dove la gugnevano la mordevano; e dietro a lei vide venire sopra un corsier nero un cavalier bruno, forte nel viso crucciato, con uno stocco in mano, lei di morte con parole spaventevole e villane minacciando... il quale, finito il suo ragionare, a guisa d'un cane rabbioso con lo stocco in mano corse addosso alla giovane, la quale inginocchiata e da' due mastini tenuta forte gli gridava mercé, e a quella con tutta sua forza diede per mezzo il petto e passolla dall'altra parte... Né stette guari che la giovane, quasi niuna di queste cose stata fosse, subitamente si levò in piè e cominciò a fuggire verso il mare, e i cani appresso di lei sempre lacerandola: e il cavaliere, rimontato a cavallo e ripreso il suo stocco, la cominciò a seguitare, e in picciola ora si dileguarono in maniera che più Nastagio non gli poté vedere.265
In entrambi i casi si tratta di una visio del protagonista: un evento soprannaturale che appare ai suoi occhi con funzione di exemplum. Ma se in Iacopone il supplizio cui si devono sottoporre le due
260Dante, If, XIII, 109-129, pp. 55-56.
261Boccaccio, Giovanni, Decameron, V, intro, a cura di V. Branca, Milano: Meridiani Mondadori, 1985, p. 419. 262Boccaccio, V, 8, intro, p. 481.
263La stessa selva reale evocata da Dante come paragone per la "selva antica" del Paradiso Terrestre. 264Passavanti, III, 2, 37-38, p. 246.
anime ha funzione di contrappasso rispetto ai peccati terreni commessi (la donna, in vita, uccise il marito per amore del cavaliere che ora la strazia), in Boccaccio tale concezione è ribaltata: il cavaliere infatti, così come Nastagio, venne in vita rifiutato dalla donna, che ora rincorre con lo scopo di ucciderla. L'uccisione rituale e ripetuta della donna è però un supplizio anche per il cavaliere, che sconta così la pena divina per aver commesso suicidio, accecato dall'amore non corrisposto. La concezione del peccato cambia radicalmente tra i due autori, che pur essendo contemporanei concepiscono diversamente le dinamiche del rapporto tra uomo e donna: mentre in Passavanti è punito l'omicidio del marito da parte della donna, a scopo di tradimento, in Boccaccio è punito il rifiuto da parte della donna di concedersi al cavaliere (nonché il conseguente suicidio compiuto da quest'ultimo). A riguardo, Lecco scrive:
Pur ammettendo che, in questo procedere, Boccaccio abbia avuto in mente un'intenzione mirata (una critica alla severità ecclesiastica in materia sessuale, come vorrebbe Perrus 1997), il primo movente resta per lui la proposizione di un'etica d'amore, che chiede di essere riveduta secondo i propri parametri, ed alla quale non è estranea una direzione ironica e parodica. Il racconto postula dunque una normatività quale è quella imposta dal dio d'Amore, ed il castigo ad essa commisurato.266
La novella di Nastagio degli Onesti propone dunque una rivisitazione del motivo della “caccia infernale”, spostandone il baricentro da un'ideologia religiosa tradizionale (ossia rigorosamente legata al meccanismo trasgressione\punizione dei comandamenti imposti dalla religione cristiana, com'è in Passavanti) ad un nuovo codice cortese, che si imporrà nella letteratura cavalleresca.
In Boccaccio la scena della “caccia selvaggia” è esplicitamente ambientata in un bosco, oltretutto reale; come rileva Baffetti:
La modalità della visio trova del resto il suo ambiente più proprio nelle mobili ombre della foresta, regno misterioso di incanti e di allucinazioni per i solitari assorti e malinconici che l'attraversano... Le selve della letteratura possono diventare luoghi reali, tanto che al Bandello, in visita alla “Pigneta” di “Classi” sarà riferita la “commune openione (…) dei ravegnani che questo sia il luogo ove Nastagio degli Onesti, amando la Traversara, quando qui si ridusse, vide il crudele strazio che di lei fu fatto da messer Guido degli Anastagi e da' suoi fierissimi cani”.267
La trasposizione in letteratura di boschi reali non era molto comune nella letteratura medievale: che una novella come quella boccacciana ambienti in un bosco conosciuto dal lettore una vicenda dai risvolti sovrannaturali, e che poi questo bosco venga riconosciuto dagli stessi abitanti come luogo in
266Lecco, pp. 81-82. 267Baffetti, p. 206.
cui tali vicende sono effettivamente accadute, va a conferma di quanto sostiene Baffetti:
Lo stesso Boccaccio aveva già notato come la memoria letteraria sedimentasse nel paesaggio, quando, nel repertorio erudito del De Montibus, in cui un'apposita sezione è riservata alle “selve”, rilevava a proposito di Valchiusa che quel luogo remoto era apparso, dopo la partenza del Petrarca, “cosa sacra e piena di divinità” così da rappresentare ormai una tappa obbligata negli itinerari culturali dei forestieri.268
Quello della caccia selvaggia è un motivo che si afferma nella letteratura medievale europea, inizialmente come exemplum di punizione cristiana (direttamente derivato dal folklore nordico e dai precedenti latini), e successivamente come sviluppo della tematica del corteggiamento amoroso (sia nelle medesime logiche di punizione per contrappasso, sia come vera e propria esplicitazione metaforica del corteggiamento); proprio in quest'ottica è frequente anche nella letteratura cavalleresca, sia nel ciclo carolingio che in quello arturiano.