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NASCITA E SVILUPPO DEL CICLO ARTURIANO

CAPITOLO 4 – LA FORESTA NEI TESTI DEL BASSO MEDIOEVO

4.3 NASCITA E SVILUPPO DEL CICLO ARTURIANO

Quando, attorno alla metà del XII secolo dopo Cristo, l'arcidiacono di Monmouth Galfridus Monemutensis (più noto come Geoffrey of Monmouth) completò la sua Historia Regum Britanniae, traducendo a suo dire un antico manoscritto messo a sua disposizione dall'arcidiacono di Oxford Walter269, non poteva certo sapere quale successo la sua opera avrebbe ottenuto nel corso dei secoli successivi, e quale ruolo avrebbe giocato nell'ispirare la letteratura del ciclo bretone. Da parte sua, l'autore dell'Historia cita esplicitamente alcune delle fonti da lui utilizzate prima della traduzione di questo testo, il quale ripercorre la storia dei re britanni dai tempi di Bruto (leggendario discendente di Enea) sino alla venuta degli Anglo-Sassoni nel VII secolo: Geoffrey nomina Gildas e Beda270, autori da lui consultati prima che l'arcidiacono Walter gli consegnasse il fantomatico manoscritto. Helen Fulton sostiene tuttavia che tale manoscritto non sarebbe mai esistito:

Of the “very old book in the British tongue” there is, however, no trace whatsoever. Geoffrey claims that his Historia is simply his own humble translation of that book, though this is almost certainly a conventional way 268Baffetti, p. 206.

269Geoffrey of Monmouth, Historia Regum Britanniae, prologus 2, a cura di G. Agati e M.L. Magnini, Parma: Ugo Guanda Editore, 1989, p. 3.

of conferring authority and historical authenticity on work that is largely his own.271

Tra le fonti probabilmente utilizzate da Geoffrey, sarebbero da annoverare invece la Historia

Brittonum, compilata nel IX secolo dal monaco gallese Nennio, e gli Annales Cambriae, cronaca

degli eventi più significativi accaduti tra il 447 e il 954 nel Galles e nelle regioni limitrofe272. Il forte interesse per le fonti utilizzate da Geoffrey di Monmouth è legato alla necessità di stabilire l'effettiva attendibilità storiografica della sua Historia, e quindi l'eventuale storicità dei personaggi di cui lo storico britannico narra: secondo la grandissima parte degli studi effettuati sull'argomento, tuttavia, la figura di un sovrano dei britanni, o dei romano-britanni, chiamato “Arturus” non avrebbe alcuna realtà storica, almeno non nella forma narrata nelle fonti storiografiche a cavallo tra primo e secondo millennio273; a riguardo, Fulton scrive:

In literature, history and iconography there are plural Arthurs, constructed in many different forms and identities. Even when a “real” Arthur has been detected in the historical or archaelogical evidence (as a Romano-Bitish chieftain, for example), this version has no greater claim to authenticity or “reality” than any other of the textual versions.274

Nella Historia Regum Britanniae troviamo un primo resoconto delle vicende di re Artù e Merlino, nonché di alcuni dei personaggi gravitanti attorno a Camelot, che tanto successo ebbero nel romanzo cavalleresco. L'importanza dell'opera di Geoffrey di Monmouth è data dalla sua enorme diffusione in epoca medievale: si contano ben 217 manoscritti tuttora esistenti. L'opera di Geoffrey si pone quindi come fonte pseudo-storica per tutti gli autori medievali che si dedicarono al ciclo arturiano; la coronazione di Artù da parte dei nobili britanni viene narrata in apertura del libro IX:

Defuncto igitur Uther Pendragon, convenerunt ex diversis provinciis proceres Britonum in civitatem Silcestriae, Dubricio Urbis Legionum archiepiscopo suggerentes ut Arturum filium eius in regem consecraret. Urgebat enim eos necessitas, quia audito praedicti regis obitu Saxones concives suos ex Germania invitaverant et duce Colgrimo ipsos exterminare nitebantur.... Erat autem Arturus quindecim annorum iuvenis inauditae virtutis atque largitatis, in quo tantam gratiam innata bonitas praestiterat ut a cunctis fere populis amaretur.275

271Fulton, Helen, "History and Myth: Geoffrey of Monmouth's Historia Regum Britanniae", in Helen Fulton (a cura di), A Companion to Arthurian Literature, Oxford: Wiley-Blackwell, 2012, p. 50.

272Fulton, "History and Mith", pp. 50-51.

273Parins, Marylin Jackson, "Looking for Arthur", in King Arthur – A Casebook, a cura di E.D. Kennedy, New York – Londra: Garland Publishing, 1996, pp. 3-28.

274Fulton, Helen, "Introduction: Theories and Debate", in Helen Fulton (a cura di), A Companion to Arthurian

Literature, Oxford: Wiley-Blackwell, 2012, pp. 2-3.

275Geoffrey of Monmouth, IX, 143, p. 155. "Dopo la morte di Utherpendragon i nobili delle diverse province di Britannia si riunirono a Silchester e suggerirono all'arcivescovo della Città delle Legioni, Dubricio, di consacrare re il figlio di Uther, Artù. La loro decisione era dettata da uno stato di necessità, perché i Sassoni, non appena venuti a conoscenza della morte del sovrano, avevano invitato altri connazionali germanici a raggiungerli in Britannia e poi,

Dal passaggio riportato traspaiono alcune caratteristiche che verranno poi universalmente attribuite ad Artù: sovrano buono e giusto, incoronato come erede del padre in giovane età dai nobili di Britannia, si cimenta da subito con imprese in battaglia degne di sovrani ben più esperti; tuttavia, per l'assenza di molti caratteri che verranno introdotti nelle successive rielaborazioni del suo mito, e soprattutto a causa del carattere storiografico dell'opera di Geoffrey, le foreste nelle quali Artù combatte le sue battaglie non assumono connotazioni particolarmente significative, e quindi non è possibile utilizzare la sua opera ai fini di questa tesi. All'interno dell'Historia vengono comunque narrate molte delle vicende, aventi come protagonista Artù, che andranno a ispirare gli autori che si occuperanno successivamente della materia bretone: dalla sua incoronazione alla conquista della Gallia, dallo scontro con l'imperatore romano Lucius Hiberius alla battaglia finale col nipote impostore Mordred. Geoffrey di Monmouth si era già precedentemente dedicato alla scrittura delle

Prophetiae Merlini, una raccolta di profezie sul futuro del regno d'Inghilterra attribuite a Merlino, le

quali vennero poi incluse nella Historia: la figura di Merlino, che poi diverrà ricorrente e fondamentale in tutto il ciclo arturiano, venne creata proprio da Geoffrey di Monmouth, che, secondo alcuni studiosi, fuse assieme i personaggi di Myrddin Willt (diffuso nella tradizione gallese, un bardo che si diede alla vita selvaggia) e di Ambrosio Aureliano (di cui si narra nella

Historia Brittonum, leggendario capo romano-britannico che combatté contro gli anglo-sassoni nel

V secolo, figura che sarebbe anche alla base del personaggio di Artù)276. Helen Fulton scrive nel suo saggio:

Relatively unconcerned about questions of historicity, literary scholars have tradionally focused on the kinds of texts in which Arthur appears as a literary character. These can be grouped together under the generic headings of chronicle, romance, and fantasy, which can be regarded as types of discourse rather than as separate genres.277

Se l'opera di Geoffrey di Monmouth si pone come capostipite arturiano per il genere delle

al comando di Colgrino, avevano cominciato ad aggedire i nobili dell'isola... Allora Artù era un giovane di quindici anni, eccezionalmente valoroso e magnanimo, al quale l'innata generosità conferiva una grazia che lo faceva amare dalla maggior parte delle popolazioni del paese".

276Alvar, Carlos, Dizionario del Ciclo di Re Artù, traduzione a cura di G. Di Stefano, Milano: Rizzoli, 1998, sub voce Merlino, pp. 219-222.

“chronicle”, il “romance” bretone prende spunto dall'opera più celebre del poeta normanno Robert Wace, il Roman de Brut: scritto nel 1155, si presenta come una rielaborazione in quasi 15000 versi della materia già narrata da Geoffrey. Tuttavia, Wace, rispetto a Geoffrey, scrive non in latino ma in anglo-normanno, e non in prosa ma in versi (distici di octosyllabe in rima baciata); secondo Maria Luisa Meneghetti:

Quel che può distinguere il genere storiografico dal genere romanzesco è la produttività tematica del secondo: mentre i materiali che confluiscono nel discorso storico esauriscono in se stessi il potenziale informativo, i materiali romanzeschi sono in grado di produrre, per derivazione o per analogia, ulteriori materiali, per cui ogni testo può essere il punto di partenza per altri infiniti testi. Questa diversa potenzialità comunicativa si vede proprio nel Roman de Brut, che da questo punto di vista può essere considerato un ibrido dei due generi.278

Il Roman de Brut si pone dunque come modello originale per il genere romanzesco che tanta fortuna avrà nel corso dell'età medievale (e non solo). Con la rielaborazione delle vicende arturiane fatta da Robert Wace la figura del mitico sovrano comincia ad assumere caratteristiche più dettagliate; l'autore introduce un elemento nuovo, quello della tavola rotonda, che si legherà alle figure di Artù e dei suoi cavalieri per tutto il corso del ciclo bretone:

Pur les nobles baruns qu'il out, Dunt chescuns mieldre estre quidout, Chescuns se teneit al meillur, Ne nuls n'en saveit le peiur, Fist Artur la Runde Table Dunt Bretun dient mainte fable. Illuc seeient li vassal

Tuit chevalment e tuit egal; A la table egalment seeient E egalment servi esteient.279

Proprio attorno alla tavola rotonda si raccoglieranno i cavalieri che diverranno protagonisti delle avventure narrate dai romanzi cavallereschi dell'età medievale. L'opera di Wace non presenta ancora in toto le caratteristiche del romanzo cavalleresco, e le gesta dei cavalieri che risultano più interessanti ai fini di questa tesi verranno narrate solo da Chrétien de Troyes in poi, per i motivi che evidenzia Véronique Zara:

278Meneghetti, Maria Luisa, "Il Romanzo", in La Letteratura Romanza Medievale, a cura di C. di Girolamo, Bologna: Il Mulino, 1994, pp. 145-146.

279Wace, Robert, Roman de Brut, 9747-9756, a cura di J. Weiss, Exeter: University of Exeter Press, 2002, p. 245.“On account of his noble barons, each of whom felt he was superior, each considered himself the best, and no one could say who was the worst, Arthur had the Round Table made, about which the British tell many a tale. There sat the vassals, all equal, all leaders; they were placed equally round the table and equally served.”

The historical framework creates a diachronic environment in which Arthur evolves throughout time, where one at once anticipates his presence, marvels at his achievements, and hopes for his return. In this context, Arthur the mythical figure is held in check by the external reality of history, albeit a history that is able to stretch the facts for purpose of the story. By removing the historical framework altogether and exploring the twelve years of peace in Arthur's reign, a relatively static moment in Wace, Chrétien would fundamentally change the contours of Arthur's existence. Once the focus of the narrative is shifted from the linear, genealogical, and truthful account present in Wace and Geoffrey, the text requires other principles for coherence. In Chrétien, Arthur seems to be suspended in time, the very antithesis of Wace's view.280

Quindi è con le opere di Chrétien de Troyes (e, all'incirca nello stesso periodo, la seconda metà del XII secolo, coi lais di Marie de France281) che la foresta assume un ruolo centrale nelle avventure del ciclo arturiano282. Questo avviene perché Chrétien, rispetto a Wace e a Geoffrey di Monmouth, elabora la tradizione cronachistica di re Artù focalizzando la propria attenzione sulle gesta dei cavalieri che ne componevano la corte; conseguentemente, come rileva Saunders:

Chrétien's knights actively seek adventure through their wanderings, pursuing the potentiality of the forest. The figure of the knight errant, the pattern of the quest, and the notion of aventure come to define the chivalric romance form.283

Ciò ha fondamentalmente due risvolti: da una parte l'autore francese si riallaccia alla tradizione classica dell'eroe che intraprende un viaggio al di fuori delle mura della propria città per ottenere gloria personale, o per il bene della società civile (Gilgamesh, Beowulf, ma anche l'Odissea e l'Eneide si rifanno a questo schema), con i cavalieri che escono dalla corte di Artù per inoltrarsi nella foresta dell'aventure; dall'altra parte, Chrétien introduce come codice di comportamento alla base dell'agire dei suoi personaggi il codice cavalleresco, o codice cortese, diffusosi nella cultura europea a partire dalle corti provenzali e dalle liriche dei troubadours che vi operarono sin dalla fine dell'undicesimo secolo284.

È quindi nei romanzi dell'autore francese che troviamo per la prima volta alcuni topoi legati

280Zara, Véronique, "The Historical Figure of Arthur in Wace's Roman de Brut", Arthuriana, 18 (2008), p. 29.

281Per un'analisi dei lais di Marie de France, dodici brevi racconti in ottosillabi a rima baciata composti tra il 1160 e il 1175, in cui la foresta diviene un motivo importante della narrazione, fare riferimento a: Saunders, pp. 46-57. 282Va sottolineata anche l'influenza della tradizione letteraria celtica, alla quale gli autori dei romanzi arturiani,

Chrétien in primis, attinsero a piene mani; sull'argomento è molto interessante l'articolo di Tom Peete Cross, "The Celtic Elements in the Lays of Lanval and Graelent", Modern Philology, 12 (1915), pp. 585-644. Anche Richard Barber analizza l'argomento delle affinità tra i romanzi antico francesi e la tradizione celtica, nello specifico gallese, arrivando a indicare i personaggi in comune tra le due tradizioni (Guinevere. Merlino, Kay, Bedivere, Gawain, Ywain, e Mordred, oltre ai protagonisti delle vicende di Tristan ed Iseult) e quelli introdotti dai testi francesi (Perceval, Galahad, Gareth e Bors); vedi Barber, Richard, King Arthur – Hero and Legend, Woodbridge: Boydell Press, 1986, p. 47.

283Saunders, p. 58.

284Per un'analisi approfondita della lirica trobadorica si consiglia: Akehurst, F.R.P., e Davis, Judith M., (a cura di), A

alla foresta, che diverranno ricorrenti nelle successive rielaborazioni del mito arturiano: delle cinque opere di Chrétien a noi pervenute (Erec et Enide, Cligès, Lancelot – Le Chevalier de la Charrette,

Yvain – Le Chevalier au Lion e Perceval – Le Conte du Graal), quattro vedono la foresta come

focus della narrazione (l'unica delle cinque a differire è Cligès, che è anche l'unica ambientata al di fuori del dominio di Artù, tra la Germania e Costantinopoli285). Dalla caccia al “blanc cerf” (il cervo bianco) che nell'Erec et Enide funge da fulcro delle avventure del cavaliere protagonista Erec (il quale, alla ricerca del trofeo di caccia da esibire di fronte a re Artù e all'amata Enide, si addentra nella foresta dell'aventure), alla tematica del viaggio al di fuori della corte di Artù, intrapreso dai cavalieri narrati da Chrétien per provare il proprio valore attraverso la realizzazione della “queste” (vedi gli esempi dello stesso Erec, di Yvain e soprattutto di Lancelot, che compie mirabolanti imprese per ottenere l'approvazione e l'amore della sua regina, Guenevere); dal motivo dell'inselvatichimento del cavaliere (è il caso di Yvain, che impazzisce per amore e si riduce ad un

hon forsené et sauvage286), al concetto di “Gaste Forest” come luogo della non-civilizzazione e del caos (è il luogo dal quale emerge Perceval, nella sua queste per il Sacro Graal, per la cui comprensione è fondamentale l'interpretazione dei simboli mistico-religiosi): le tematiche connesse alla forest, che ricorreranno in tutta la letteratura arturiana, hanno una prima espressione in Chrétien. Come scrive Krueger:

Chrétien's rhetorical art and his subtle irony established Arthurian fiction as a sophisticated medium for reflection about social identity an chivalric ethics. In five remarkably diverse, distinctive romances, Chrétien created a vast imaginative space encompassing history and fiction, the marvelous and the real, love casuistry and violent combat, hidden pasts and ominous or glorious futures, Celtic legends and Christian teachings, proverbs and wordplay, comedy and wisdom, East and West, enterprising women and callous or courageous knights, adulterers and wise men, the bleeding lance, the broken sword, and the Grail. Chrétien's Old French romances constitute a major cornerstone (or, perhaps, more appropriately, a marvelously regenerating fountain) for future Arthurian fictions.287

Almeno sino alla redazione, nella seconda metà del XV secolo, dell'onnicomprensivo Le Morte

Darthur da parte di sir Thomas Malory, le cinque opere di Chrétien de Troyes furono la principale

fonte a cui attingere per tutti gli autori, e ovviamente per tutti i numerosi lettori, interessati a quella

285Krueger, Roberta L., "Chrétien de Troyes and the Invention of Arthurian Courtly Fiction", in Helen Fulton (a cura di), A Companion to Arthurian Literature, Oxford: Wiley-Blackwell, 2012, p. 164.

286Chrétien de Troyes, Yvain ou Le Chevalier au Lion, a cura di M. Rousse, Parigi: Flammarion, 1990, v. 2828. 287Krueger, p. 173.