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LA “SELVA OSCURA” E LA “SELVA ANTICA” NELLA DIVINA COMMEDIA

CAPITOLO 4 – LA FORESTA NEI TESTI DEL BASSO MEDIOEVO

4.1 LA “SELVA OSCURA” E LA “SELVA ANTICA” NELLA DIVINA COMMEDIA

La Divina Commedia, scritta da Dante Alighieri tra il 1304 e il 1321, si apre con un paesaggio silvestre: il primo canto dell'Inferno vede infatti il poeta smarrito nel mezzo di un bosco oscuro:

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura!240

La selva nella quale il poeta si ritrova può essere interpretata su due diversi livelli: letterale e allegorico241. A livello letterale la selva oscura è luogo già codificato dalla letteratura latina, e quindi riconducibile al topos del locus horridus. Nel testo dantesco troviamo inoltre ulteriore conferma dello schema proposto da Vladimir Propp nel suo Le Radici Storiche dei Racconti di Fate. A proposito della “foresta misteriosa”, egli scrive:

I materiali mostrano che la foresta circonda l'altro mondo, che la strada per l'altro mondo passa attraverso la foresta... Questo fatto appare chiaramente anche nell'antichità classica, e da molto tempo è stato osservato. La maggior parte degli ingressi al mondo sotterraneo erano circondati da un'impenetrabile foresta vergine. Questa foresta era un elemento costante nella rappresentazione ideale dell'ingresso all'Ade.242

Propp analizza inoltre un passaggio tratto dal libro VI dell'Eneide di Virgilio (uno dei testi che influenzarono maggiormente Dante e la letteratura medievale): sarà proprio l'anima dell'autore latino (la cui descrizione dell'Averno funse da modello per l'autore fiorentino) a porsi come guida di Dante a partire dalla selva, attraverso i vari gironi dell'Inferno. L'intuizione di Propp è significativa perché attribuisce alla selva la funzione di luogo dell'errore irto di ostacoli da superare, traducendo nella forma fiabesco-mitologica il motivo narrativo della discesa agli inferi, collocandolo all'interno di uno scenario simbolico243. E proprio questo accostamento rilevato nella tradizione letteraria

240Alighieri, Dante, La Divina Commedia, Inf. I, 1-6, a cura di G. Petrocchi, Torino: Einaudi, 1975, p. 5.

241È Dante stesso, nell'Epistola XIII a Cangrande della Scala, a fornire la chiave di lettura della sua Commedia: egli parla di quattro possibili interpretazioni (letterale, allegorica, morale e anagogica), ma ne fornisce poi solamente due, quella letterale e quella allegorica. Tra l'altro, va ricordato che l'autenticità di questa epistola è tuttora in discussione. Alighieri, Dante, Epistola a Cangrande, a cura di E. Cecchini, Firenze: Giunti, 1995, pp. 8-11.

242Propp, Vladimir Jakovlevič, Le Radici Storiche dei Racconti di Fate, traduzione di C. Coisson, Torino: Boringhieri, 1972, p. 92.

europea da Propp ci aiuta a ricostruire il valore anche allegorico della selva oscura dantesca. L'interpretazione della selva oscura a livello allegorico vede infatti una discussione molto aperta. Scrive Harrison:

Colpa, errore, sviamento, allontanamento da Dio: sono queste le allegorie associate alla “selva oscura” di Dante. La foresta rappresenta l'intero mondo secolare privato della luce di Dio, o meglio, rappresenta la perdizione di un'anima esclusa dall'azione salvifica della grazia di Dio.244

Va inoltre considerata la valenza di materia prima informe attribuita alla selva, come suggerito da Tambling nel suo collegamento tra hyle aristotelico e selva dantesca:

Since the Commedia begins in the 'selva oscura' (Inf. I,2), could this be considered as prime matter, and was this what Dante was trapped in? If so, the dualistic implications of this need examination... Thierry of Chartres included 'inferno', 'chaos' and 'silva' as all names of primordial matter.245

La selva nella quale Dante si ritrova all'inizio della Commedia può assumere molteplici significati: allegoria della colpa cristiana, si pone come tappa iniziale di un cammino di redenzione che porterà Dante a salire faticosamente verso l'alto, verso il divino che, unico, gli può permettere di redimere la propria colpa originaria, passando però per i luoghi più bassi del creato, i gironi infernali.

La selva si presenta come un luogo angoscioso, nel mezzo del quale Dante si ritrova senza sapere “com' i' v'intrai”246; egli ha infatti perduto la “diritta via”, che evidentemente non prevede il passaggio per questo luogo. Va anche sottolineato come questa “selva selvaggia” non sia che un luogo astratto, non descritto nei particolari: essa si caratterizza come paesaggio tendenzialmente onirico, se non addirittura allucinato, in cui il silenzio e le tenebre la fanno da padrone. La selva è quindi un luogo estraneo alla vita retta, è luogo della perdizione, in cui il viandante si smarrisce e dal quale rischia di non riuscire a riemergere. Questa interpretazione tradizionale del passaggio iniziale della Divina Commeda, viene messa in dubbio da Harrison, il quale scrive:

Una delle questioni mai sollevate riguarda proprio lo status della linea diritta. I versi iniziali alludono sia a un “cammin di nostra vita” sia a una “diritta via”. Naturalmente, noi presupponiamo che la vita mortale sia paragonata a un sentiero diritto che si perde nella foresta. Ma forse non è affatto così. Il “mezzo del cammin di nostra vita” non è il punto intermedio di una traiettoria lineare; piuttosto, è un momento critico che richiede una conversione, un mutamento di direzione, nel senso cristiano. Dopo aver raggiunto questo punto intermedio non è più possibile camminare diritti, altrimenti ci si smarrisce. È proprio perché Dante cammina diritto che si 2003, pp. 201-212.

244Harrison, p. 99. 245Tambling, p. 71. 246Dante, If, I, 10, p. 5.

smarrisce nella “selva oscura”.247

Harrison continua rilevando come Dante passi improvvisamente dalla selva al deserto:

Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso, ripresi via per la piaggia diserta,

sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.248

Harrison sostiene che il paesaggio si trasforma in deserto, pur rimanendo concettualmente una foresta, cosicché Dante personaggio può dirigersi verso la sommità del monte camminando diritto, senza ostacoli; in tale modo, Dante autore dipinge la “diritta via” come quella erronea, ponendo davanti al protagonista le tre fiere (lonza, leone e lupa) che fungono da allegorie dei tre peccati più gravi (incontinenza, violenza e cupidigia)249. Ecco che il tentativo di Dante di scalare il monte attraverso un percorso lineare viene a rappresentare il tentativo di “un diretto superamento intellettuale del mondo materiale, sulla scia della tradizione neoplatonica”250. Harrison spiega molto chiaramente questo passaggio:

L'ascesa in linea retta dell'anima verso la propria origine spirituale si trasforma per Dante in una falsa promessa, perché non riesce a congiungere la volontà con l'intelletto. Nella dottrina cristiana la volontà porta il fardello del peccato, perché porta il peso del corpo stesso... Essa ha bisogno di una conversione morale, di volgersi a Dio con fede e umiltà, oltre che della comprensione intellettuale. Nel prologo Dante vede la luce della trascendenza sulla sommità del monte, eppure non può raggiungerla a causa degli ostacoli che incontra sul suo cammino. La “selva oscura”, dunque, è qui lo scenario in cui si palesa l'impotenza, o la rinuncia, della volontà.251

Per riuscire a scalare il monte, Dante deve scendere agli inferi, incamminandosi quindi verso il basso, seguendo un percorso di umiltà guidato dal suo maestro Virgilio: solo dopo aver compiuto questo cammino, egli può nuovamente rivolgersi al monte (che si rivelerà essere il monte del Purgatorio) al quale gli era negato l'accesso dalle tre fiere. Considerando l'interpretazione di Harrison, la selva oscura assume un ruolo differente rispetto a quello tradizionalmente attribuitole: anch'essa diviene parte del processo di redenzione. La selva non è infatti attorno a Dante, ma dentro di lui: è l'incapacità iniziale da parte del pellegrino di raggiungere la salvezza attraverso la propria volontà, senza l'intercessione divina; solo grazie all'intervento divino Dante può iniziare il proprio

247Harrison, p. 100. 248Dante, If, I, 28-30, p. 6. 249Harrison, pp. 100-101. 250Harrison, p. 101. 251Harrison, p. 101.

cammino di salvezza, e con lui la selva stessa viene sottoposta ad un processo di redenzione.

Ciò viene confermato da un'altra selva che Dante incontra sul proprio cammino, non casualmente proprio al termine della scalata al monte del Purgatorio (luogo dove i peccatori scontano le proprie pene prima di poter accedere al Paradiso):

Vago già di cercar dentro e dintorno la divina foresta spessa e viva, ch'a li occhi temperava il novo giorno, sanza più aspettar, lasciai la riva, prendendo la campagna lento lento su per lo suol che d'ogne parte auliva.

Già m'avean trasportato i lenti passi dentro a la selva antica tanto, ch'io non potea rivedere ond'io mi 'ntrassi.252

La “selva antica” di cui parla Dante è il Paradiso Terrestre, posto sulla sommità del monte del Purgatorio; essa si presenta in netta contrapposizione con la “selva oscura” dell'Inferno, dove il poeta era bloccato e perduto: qui egli può vagare senza meta, esplorando senza timore il magnifico luogo in cui si ritrova. La “selva antica” non è popolata da fiere, perché il processo di redenzione cui si è sottoposto Dante attraversando i nove cerchi dell'Inferno e le sette cornici del Purgatorio ha permesso alla sua volontà di affrontare la propria incapacità di raggiungere da sola la salvezza, accettando e comprendendo la necessità del divino. La redenzione di Dante, ormai compiuta, permette anche alla selva di trasformarsi da luogo ostile a luogo accogliente, nel quale il pellegrino può vagare liberamente (letteralmente e metaforicamente, dato che nel suo vagare per la “selva antica” Dante riflette e comprende l'essenza luogo in cui si ritrova, guidato dalle parole di Matelda, donna-guida che prefigura Beatrice). Se la selva oscura del Canto I dell'Inferno si delinea come

locus horridus onirico e astratto, non ben definito dalla descrizione dell'autore, questa selva antica

si inserisce nella tradizione del locus amoenus, con una descrizione approfondita del luogo con rimandi a foreste reali (la Foresta di Classe, vicino a Ravenna253).

Harrison, nell'analizzare il passaggio dalla selva oscura alla selva antica, giunge ad una

252Purgatorio, XXVIII, 1-6, 22-24, p. 253.

253"Tal qual di ramo in ramo si raccoglie per la pineta in su 'l lito di Chiassi, quand' Eolo scilocco fuor discioglie." Purgatorio XXVIII, 19-21.

conclusione atta a giustificare la posizione fortemente ambientalista sostenuta nel suo saggio, per cui vi andrebbe riscontrata “la volontà del mondo civile di sopraffare il mondo selvaggio, e di instaurare il dominio incondizionato dell'uomo sulla terra, nel nome della legge divina”254. A mio avviso è più sensato tener conto del doppio livello di interpretazione da attribuire alle selve dantesche: se un'analisi del significato letterale di queste selve può portare alle conclusioni ottenute da Harrison, va anche considerato il forte significato allegorico che esse assumono, il quale non può non rimandare al mondo interiore del pellegrino-peccatore, la cui volontà (come lo stesso Harrison sostiene in alcuni passaggi della sua analisi) viene rappresentata come una selva che, senza l'aiuto divino, è limitata dal peccato intrinseco nella natura umana (rappresentato, sempre allegoricamente, dalle tre fiere). La selva oscura e la selva antica sono, dal mio punto di vista, rappresentazioni concrete di uno stato interiore all'anima del poeta, una raffigurazione fisica di sentimenti astratti tramite meccanismi allegorici. Il pellegrinaggio di Dante, non a caso, si conclude nella “candida rosa” dell'empireo255, trasformazione definitiva e finale della selva oscura, luogo etereo e divino: l'anima del poeta, completamente redenta, si identifica con questo luogo di superiore serenità e di perfezione cristiana: il lungo cammino di redenzione è completo solo quando la volontà individuale del pellegrino si dissolve nella volontà divina, e con essa si identifica. Se la “selva oscura” iniziale, per il richiamo ad hyle fatto anche da Tambling, è la materia prima, sembra ragionevole sostenere che essa va prendendo forma nel corso del cammino di Dante, per ripresentarsi nella massima espressione della creazione, la “candida rosa” dell'empireo, proprio al termine di questo cammino. Ed è la volontà divina a dare forma concreta a questa materia, in quanto la volontà singola di Dante non riesce a farlo, limitata dal peccato e dalla incommensurabile distanza rispetto alla perfezione di Dio.

254Harrison, p.105. 255Paradiso, XXX.

4.2 IL MOTIVO DELLA “CACCIA INFERNALE” NELLA LETTERATURA ITALIANA