CSR E SRI: I VANTAGGI DELLA SOSTENIBILITA’ PER LE IMPRESE (E IL PROBLEMA DEL COD)
L A GENERAZIONE DEL SHARED VALUE : FONDAMENTO E MODALITÀ
3) costruzione e sviluppo di cluster local
3.2.1 A NALISI DI MATERIALITÀ : QUALI SONO I FATTORI ESG RILEVANT
PER L
’
IMPRESA?
Se sulla base di quanto precedentemente delineato si può concludere che le dimensioni ESG sono la concretizzazione della CSR – con quest’ultima che deve essere approcciata in modo strategico al fine di generare concretamente valore sia per l’impresa che per la società – allora la successiva domanda da porsi è: quali sono le “questioni ESG” rilevanti per l’impresa? Infatti Clark et al. (2015) – coerentemente con Porter e Kramer (2011) sull’impossibilità per il management di affrontare ogni fattispecie/richiesta degli stakeholders in tal senso – consigliano
266 Lynes, J.K. e M. Andrachuk (2008), “Motivations for corporate social and environmental responsibility: A
di focalizzarsi sulla massimizzazione del profitto nel medio-lungo termine, prendendo in con- siderazione le richieste di quei portatori d’interesse che consentano una maggiore creazione congiunta di valore finanziario e sociale. Che cosa significa?
Che esiste un trade-off tra prestazioni finanziarie e sostenibilità la cui miglior gestione, avviene sulla base di quel principio di materialità qualificato da Koehler e Hespenheide (2012) come filtro essenziale per la divulgazione di informazioni ESG utili alle decisioni economiche di un utente interessato.267
La conoscenza di tale concetto è qui a dir poco fondamentale, tant’è che esso rileva anche a livello di reportistica aziendale (Capitolo 4); ma come si applica il concetto di materialità? Innanzitutto bisogna partire dal fatto che ogni dimensione ESG è costituita da più fattispecie al suo interno, come è altresì chiaramente indicato sia dagli standard internazionali in materia che dalla letteratura; tuttavia, ai fini di una chiara comprensione di ciò (vista l’eterogeneità presente nei primi) si prende qui a riferimento lo schema elaborato da Clark et al. (2015):
Figura 3.4: Fattispecie costituenti le singole dimensioni ESG
Fonte: Clark et al. (2015), op. cit., p. 12.
Ma come fa l’impresa a comprendere quali siano le fattispecie rilevanti per essa, visto la sopra- citata necessità di contestualizzazione?
Sebbene le indicazioni fornite dalle linee guida dei diversi standard internazionali siano più o meno simili, qui si è scelto di prendere a riferimento l’importante contributo del Global Repor- ting Initiative (GRI) e i suoi “GRI Standards” pubblicati il 19 ottobre 2016 in sostituzione delle
267 Tale definizione è definibile come una specie di riassunto sostanziale delle definizioni fornite da diversi stan-
dard internazionali; si consideri per esempio il SEC.
Nel Staff Accounting Bulletin N. 99 (1999) è affermato che una questione è da ritenersi "materiale" qualora esista una sostanziale probabilità che l’opinione di una persona ragionevole muti (o ne risulti comunque influenzata) dall’inclusione/correzione dell’elemento; su falsariga si pone lo IASB, il quale però altresì afferma che la mate- rialità non è una caratteristica qualitativa primaria tale per cui l’informazione possa considerarsi utile, ma bensì rappresenta un soglia/limite come altresì affermato dal GRI, ovvero dall’AA1000 (vedasi Capitolo 4) che però afferma ciò in termini di rappresentazione errata di un’organizzazione ai suoi stakeholders che dunque ne risulte- rebbero influenzati nelle conclusioni, decisioni e azioni in un dato contesto spazio-temporale.
precedenti “G4 Guidelines”; nello specifico, le indicazioni sulla materialità – sebbene nel con- testo dei principi per la redazione del c.d. report di sostenibilità – sono contenute nel “GRI 101: Principi di rendicontazione”, ove è previsto che i temi da includere devono:
riflettere gli impatti economici, ambientali e sociali significativi dell’organizzazione; o influenzare sostanzialmente le valutazioni e le decisioni degli stakeholders.
Ma come si valuterebbe ciò?
Il GRI propone un processo a quattro stadi (tra loro propedeutici e con diverso grado d’impor- tanza) qui riportato in Figura 3.5:268
Figura 3.5: Processo di valutazione della materialità (fasi)
Fonte: GRI (2015), G4 Sustainability Reporting Guidelines – reporting principles and standard disclosures, sez. 6.9, p. 90.269
Fase 1: definizione
Si individuano i temi che dovranno essere valutati dal management (selezionandoli da un’even- tuale lista disponibile), cioè si deve:
identificare le fattispecie in forza del loro impatto economico, ambientale e sociale su atti- vità, prodotti, servizi, relazioni e decisioni dell’impresa, individuando al contempo tutto ciò che è ad essi pertinente e relativi confini;
qualificare se l’impatto è interno o esterno all’impresa.
Tale attività va condotta – a mio avviso – in modo sistematico, inserendola nell’ERM come una qualunque altra attività di controllo e gestione del rischio visto altresì la sua propedeuticità.
268 Si ricorda che queste sono linee guida per la redazione del report di sostenbilità, ma ciò non li toglie validità
perché la corretta redazione di quest’ultimo è fondata su un corretto processo di valutazione della materialità.
269 Il grafico è contenuto nelle precedenti “G4 Guidelines”, il quale può trovare integrazione esplicativa nella
proposta non ufficiale di procedimento a 8 fasi indicata nel “The Materiality Principle: A Deep Dive – Webinar 6
of the six-part GRI Standards In Practice Series” (2018), ovvero in quello a 7 fasi di KPMG nel “Sustainable Insight – The essentials of materiality assessment” che è proprio in linea con il GRI G4 (p. 5).
Fase 2: prioritizzazione
Una volta individuate le fattispecie, esse vanno gerarchicamente qualificate attraverso l’uso delle tecniche più congeniali a seconda del caso (questionari, interviste ecc).
Invero il concetto di materialità corrisponde sostanzialmente con quello di rilevanza, la quale viene qui valutata sulla base dell’impatto della singola fattispecie nel senso però più ampio dello stesso, poiché all’interno dei GRI standards è interpretato come effetto di un’organizza- zione sull’economia, sull’ambiente e/o sulla società, che a sua volta può indicarne il contributo allo sviluppo sostenibile (GRI 101) e che può essere:
positivo o negativo;
attuale, potenziale, ovvero di breve o lungo termine; diretto, indiretto, ovvero intenzionale o non.
Tale valutazione va dunque condotta considerando una combinazione di fattori interni ed esterni, tra i quali figurano:
mission e strategia competitiva generale dell’impresa; preoccupazioni espresse direttamente dagli stakeholders;
aspettative sociali e influenza dell’impresa su i soggetti agli estremi della value chain come fornitori (monte) e clienti (valle);
aspettative espresse da standard e accordi internazionali ai quali l’impresa è assoggettata; indicazioni di significatività da parte degli esperti o metodi di valutazione, ivi incluso ciò
che colpisce la capacità di far fronte ai propri bisogni correnti senza compromettere tale capacità per le future generazioni.
Ciò comporta però il coinvolgimento sia delle funzioni aziendali che degli stakeholders esterni all’impresa, nonché la definizione del livello di priorità dei singoli portatori d’interesse, il che a mio giudizio può essere fatto attraverso la stillazione di una classifica degli stessi secondo la proposta di Clarkson (1995), ovvero altre più dettagliate, e prestando comunque in ogni caso la massima attenzione. Perché?
Perché se per effettuare l’analisi di materialità è necessario collaborare con gli stakeholders, è allora funzionale saper riconoscere quali siano quelli rilevanti per l’impresa, poiché in funzione di ciò vengono calibrati anche tutta un’altra serie di aspetti come livello di copertura, quantità di dati e spiegazione descrittiva da divulgare.
Tali classificazioni (stakeholders e materialità) possono poi essere meglio rappresentate con- giuntamente in termini matriciali, come riportato in Figura 3.6:
Figura 3.6: Matrice rilevanza stakeholders – ESG impacts
Fonte: GRI e RobecoSAM (2015), op cit., p. 7.270
ove viene operata una suddivisione in quattro quadranti che è interpretabile rispetto alle diago- nali, dato che mentre la secondaria rappresenta quei casi “riportato almeno nel rapporto, se possibile con misure KPI”, la diagonale principale delinea le due situazioni estreme quali: non figurante nel report (non rilevato dall’impresa e neanche dagli esterni);
riportato in dettaglio con KPI misurabili o preferibilmente degli obiettivi, per puntare ad assicurazioni esterne ovunque siano utili.
Ciò è chiaramente reso con la Figura 3.7:
Figura 3.7: Esempio di matrice di rilevanza stakeholders – ESG impacts
Fonte: GRI (2018), op. cit., Case study: Guess, Inc. Sustainability Report – 2017 (p. 12).271
270 GRI e RobecoSAM (2015), Defining Materiality: What Matters to Reporters and Investors – Do investors and reporters agree on what’s material in the Technology Hardware & Equipment and Banks & Diverse Financials sectors?.
271 GRI (2018), The Materiality Principle: A Deep Dive – Webinar 6 of the six-part GRI Standards In Practice Series.
Fase 3: validazione
Il report così prodotto viene controllato (prima della pubblicazione e con annesso passaggio di vaglio da parte del top management) rispetto alla sua capacità di fornire una rappresentazione corretta (standard), ragionevole ed equilibrata degli impatti ai destinatari, evidenziando altresì eventuali criticità di misurazione.
Fase 4: revisione
Tenendo conto dei feedback degli stakeholders, si procede col controllo di tutte le fattispecie rilevate nel periodo antecedente, attività che è propedeutica alla fase 1 in quei contesti ove tale processo è già operativo.
Che cosa si può dunque concludere sull’analisi di materialità? Che essa consente di:
circoscrivere i temi rilevanti per l’impresa (rispetto all’insieme settoriale), fornendole così uno strumento con cui focalizzare l’azione di miglioramento della propria economicità; far emergere – implicitamente – la rilevanza delle diverse classi di stakeholders in sede di
panificazione strategica.