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Organizzazioni in relazione con l’ambiente interno ed esterno

2. Alcune possibili prospettive attraverso le quali analizzare la normativa sull’integrazione socio-sanitaria

2.2. Dagli studi sull’organizzazione ad una prospettiva organizzativa Lo studio dell’organizzazione è stato nel tempo affrontato da discipline

2.2.3. Organizzazioni in relazione con l’ambiente interno ed esterno

Nei contributi che adesso verranno richiamati emerge un tratto caratteristico nuovo, che non era stato messo in evidenza negli apporti precedenti: all’analisi delle influenze interne (tra lavoratori e struttura) viene infatti affiancato l’esame delle influenze esterne.

Si è ritenuto quindi interessante, alla luce di questo nuovo apporto, raggruppare insieme contributi teorici che non necessariamente presentano tra loro forti affinità, ma che evidenziano al loro interno questa particolare chiave di lettura.

Il primo contributo in tal senso viene dall’approccio sistemico ai fenomeni organizzativi, che, richiamandosi alla teoria generale dei sistemi fondata da L. von Bertalanffy, interpreta appunto l’organizzazione come un sistema. In tale ottica sono importanti le relazioni di connessione all’interno del sistema stesso, tra il sistema ed i diversi sottosistemi di cui è composto, secondo una logica di tipo olistico in cui si possono intravedere influenze anche delle teorie psicologiche della Gestalt: il tutto (il sistema) è qualcosa di più e di diverso dalla somma delle sue parti.79 L’elemento di novità emerge però nel momento in cui questi teorici considerano le organizzazioni come sistemi aperti, e quindi non solo inseriti in uno specifico ambiente, ma da esso influenzati ed influenzabili. Esistono dunque, secondo questo approccio, una serie di variabili (dai fattori demografici e di mercato alle regolamentazioni normative, dal

      

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È interessante notare come su questo aspetto, pur trovando diversi punti di contatto con i contributi richiamati nel paragrafo precedente, venga introdotta una prospettiva di biunivocità nei rapporti: le influenze sono dunque reciproche, avvengono in entrambi i sensi. 

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mercato del lavoro alla cultura organizzativa alle tecnologie) che hanno sul sistema- organizzazione un’influenza rilevante.

Un altro approccio che pone forte attenzione alle influenze esterne sulle organizzazioni è quello istituzionalista: secondo le riflessioni di P. Selznick scaturite dalla ricerca sulla Tennesse Valley Authority ad esempio, “l’organizzazione si trova inserita in un ambiente che non è neutro ma che esercita su di essa delle pressioni costringendola a continui adattamenti” (Bonazzi, 2002, 96). In particolare, per questo autore, le strutture formali di un’organizzazione possono essere influenzate sia dalle “cricche interne” che dai “centri di potere esterno”; e tali influenze possono portare i responsabili dell’organismo anche a discostarsi dagli scopi originari per cui la stessa è nato, pur di garantirne la sopravvivenza.80 Particolarmente interessanti, per l’analisi che ci si propone in questa sede, appaiono anche le riflessioni di J. Meyer e B. Rowan che, innestandosi su quelle di Selznick, approfondiscono il fenomeno dell’isomorfismo tra le organizzazioni: quelle dello stesso tipo sono simili tra loro perché operano in contesti fortemente istituzionalizzati “che stabiliscono i criteri di razionalità che le organizzazioni stesse sono tenute a rispettare per essere giudicate efficienti” (Bonazzi, 2002, 112). In tali contesti l’isomorfismo viene governato da regole istituzionali che secondo gli autori assumono il ruolo di miti razionalizzati, ovvero regole non basate su evidenze empiriche ma che vengono percepite come razionalmente efficaci, o comunque conformi ad un mandato normativo.

Nei contributi qui richiamati c’è, in certo modo, un ritorno del focus di analisi all’organizzazione osservata nel suo complesso, ma certamente con uno sguardo più attento alle interrelazioni: interne e soprattutto esterne, dell’organizzazione in rapporto con l’ambiente che la circonda. Ne emerge un’organizzazione non più monolitica, chiusa in se stessa, ma inserita in una fitta rete di relazioni – talvolta positive, talvolta molto “imbriglianti”, tali da far pensare, più che ad una rete, ad una nassa.

      

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Non si può non evidenziare quanto si sia distanti, con queste riflessioni, dai principi di razionalità e dal primato dello scopo portati avanti dai primi approcci.

Pagina | 73 2.2.4. Organizzazione tra soggettività, culture organizzative e produzione di senso

In quest’ultimo paragrafo si richiameranno alcuni approcci definiti da Bonazzi, nel suo studio, “morbidi”, in cui gli aspetti soggettivi, riflessivi e culturali all’interno delle organizzazioni assumono non semplicemente un ruolo importante – come negli approcci richiamati nel par. 2 – ma quello di vera e propria chiave interpretativa delle organizzazioni stesse. In questi contributi teorici, pur nella diversità tra gli stessi, si può cioè rintracciare un vero e proprio primato del fattore psicologico sull’organizzazione.

Il primo contributo in tal senso è costituito dal cosiddetto approccio culturalista, il cui fondatore può essere individuato in E. Schein; secondo questo autore, per conoscere un’organizzazione occorre studiarne la cultura organizzativa, che lui definisce come

l’insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna, e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere considerati validi, e perciò tali da poter essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare, e sentire in relazione a quei problemi.81

Gli assunti fondamentali si collocano, secondo Schein, a vari livelli di profondità: da quelli più superficiali come il modo di comportarsi, ai valori espliciti dell’organizzazione, alle convinzioni profonde ed inespresse, che vengono date per scontate e sono spesso almeno in parte inconsce. Un aspetto rilevante, per questo autore, è che la cultura organizzativa si forma all’interno di un gruppo, costituito da persone che abbiano lavorato insieme per un certo tempo, sì da incontrare problemi e sviluppare strategie condivise per la loro soluzione; e questo porta come corollario che una cultura non è mai data una volta per tutte, ma è in continua formazione e trasformazione.

      

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L’altro apporto teorico – che porta per certi versi all’estremo l’ambito della soggettività – è quello di K. Weick. Per questo autore l’oggetto di studio non è, come per Schein, la cultura dell’organizzazione, bensì i processi cognitivi attraverso i quali i diversi soggetti attribuiscono un senso ad ogni realtà della loro esperienza. È attraverso tali processi che ogni realtà acquista significato: come dire, la realtà, ogni realtà (compresa quindi anche l’organizzazione) esiste, ma non ha un senso di per sé, da un punto di vista oggettivo, bensì solo in quanto ciascuno di noi glielo attribuisce. Per Weick organizzare equivale perciò a creare senso, ed in tale ottica assume maggiore importanza l’attività dell’organizzare rispetto alla statica delle organizzazioni; là dove si vada comunque ad indagare la struttura degli organismi si potrà scoprire, secondo questo autore, una struttura da lui definita loose coupling: a legami sciolti, allentati, in cui le varie parti sono sì collegate, ma in maniera debole e variabile.

Con questi due ultimi contributi si può considerare compiuto il cammino di allontanamento dai contributi “classici”: tanto là era per così dire invisibile il fattore umano, quanto qui è sostanzialmente invisibile l’aspetto strutturale dell’organizzazione; tanto là avevamo una realtà rigida e monolitica, quanto qui una lettura fluida ed in continua trasformazione. Ma su questo si tornerà fra un attimo.