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Il percorso normativo descritto, unitamente alla parallela riflessione concettuale che ne ha spesso anticipato i tempi, pur non mostrando sempre caratteristiche di coerenza interna e di linearità presenta alcuni elementi che possono configurarsi come dimensioni del concetto di integrazione socio-sanitaria.

      

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Come osserva Balduzzi (2002, 18), “la lettera m) dell’art. 117, 2° c. rappresenta la costituzionalizzazione di una nozione già presente nella legislazione ordinaria, proprio nella materie sanitaria e sociale”.

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Oltre alle già citate osservazioni di Ferioli (2002, 2) si esprime in tal senso anche Ranci Ortigosa (2007, 58-59).

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In primo luogo, l’integrazione è fortemente connessa con l’idea di salute globale, non solo perché intesa come uno “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”, secondo la definizione dell’O.M.S.; ma anche per la stretta interdipendenza degli aspetti sanitari e sociali in una stessa persona, ed il conseguente, significativo ruolo dei determinanti sociali di salute quali la presenza di reti sociali e di comunità, le condizioni di vita e di lavoro, e più in generale le condizioni socio-economiche, culturali, ambientali.49

Tale connessione presenta però un elemento di criticità nel momento in cui l’evoluzione legislativa privilegia, lungo tutto il suo corso, la componente sanitaria, maggiormente normata rispetto a quella sociale e più di essa “attenta” ai temi dell’integrazione; sembrerebbe cioè che l’integrazione stessa sia un problema peculiare dell’ambito sanitario, e non un punto di congiunzione tra questo ed il sociale.

Una simile prospettiva, non sempre chiaramente delineata nella riflessione concettuale50 ma costantemente presente nelle norme, di fatto propone una relazione tra sanitario e sociale di tipo asimmetrico, in cui il primo sembrerebbe configurarsi come il “tutto” in cui la “parte” sociale deve integrarsi; nella seconda parte del lavoro si cercherà di vedere se e come ciò abbia potuto avere conseguenze nella realtà operativa.

Un secondo elemento che emerge sin dagli anni ’70 è la connessione dell’integrazione con il territorio, luogo in cui può realizzarsi e da cui prende, in certo modo, senso e significato; territorio che si sostanzia nella centralità del distretto:

      

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Un’interessante disamina sui determinanti della salute si trova in Geddes da Filicaia, Maciocco (2007), articolo che sintetizza il più ampio documento “Levelling up”, prodotto da M. Whitehead e G. Dahlegren, e pubblicato nel 2006 dall’O.M.S. Sul tema si veda anche Maciocco, Scopetani (2010).

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La prevalenza del sanitario sul sociale è peraltro implicitamente conseguente alla definizione dell’O.M.S. – là dove il concetto di salute comprende i diversi aspetti del benessere – dal momento che depositario della tutela della salute risulta essere l’ambito sanitario. In tal senso si muovono criticamente Casale, Di Santo, Toniolo Piva (2006); una diversa lettura viene invece proposta da Ingrosso (2000).

Pagina | 50 È bene (…) rivedere la nostra concezione del distretto di base ricentrandolo nel sistema Unità locale dei servizi. Questo significa superare la concezione del distretto come «periferia di» o come «terminale di» in un sistema ospedalecentrico e specialista-centrico. Il distretto deve avere un ruolo centrale nel sistema e tutti gli altri soggetti specialistici o meno devono fare da supporto alle attività di base (…) Solo nel distretto è possibile infatti una ricomposizione di conoscenze sulla persona e sui gruppi e quindi una ricomposizione degli interventi. (Alesini, 1994, 139-140)

Il distretto nella riflessione teorica viene quindi identificato, almeno inizialmente, come l’ambito organizzativo-territoriale adeguato a:

9 garantire la partecipazione dei cittadini;

9 permettere la contemporanea presenza, in un’unica sede, di operatori di diverse professionalità;

9 fondarsi su nuove metodologie, sviluppando il lavoro di équipe.

Nella definizione normativa però, se inizialmente con la L. 833 i distretti potevano costituire una dimensione territoriale abbastanza coerente con tali idee- cardine, nei successivi sviluppi di tipo aziendalistico ha finito per assumere una portata territoriale e demografica troppo ampia, almeno per alcune di esse;51 senza contare che, almeno a livello nazionale, i distretti sono stati definiti unicamente a livello sanitario.

Ciò nonostante la dimensione distrettuale resta a tutt’oggi l’ambito in cui è possibile implementare l’integrazione socio-sanitaria, grazie anche alla nuova attenzione al territorio “vicino al cittadino” postulata dalle logiche della sussidiarietà, sia in senso verticale che orizzontale, prima promosse dalle normative a carattere amministrativo e successivamente costituzionalizzate dalla riforma del Titolo V.

La centralità dell’elemento distrettuale per l’integrazione socio-sanitaria è all’origine della scelta di individuare, come unità di indagine della ricerca sul campo, i distretti sanitari52 della regione Lazio.

      

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In tal senso può essere esemplificativa l’attuale configurazione dei distretti nella regione Lazio, che verrà presentata più avanti nel cap. 4.

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La scelta dei distretti sanitari, lungi dal voler essere un’opzione a carattere asimmetrico, è dettata da ragioni di opportunità, legate alla particolare configurazione istituzionale della regione.

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Il terzo elemento che può considerarsi ormai acclarato, sia da un punto di vista concettuale che normativo, concerne le modalità di attuazione dell’integrazione stessa, secondo quanto previsto dal P.S.N. 1998/2000: perché possa realizzarsi compiutamente, è necessario che venga posta in atto sinergicamente ai tre livelli istituzionale, gestionale e professionale; attori e strumenti dei diversi livelli, in particolare dei primi due, sono talvolta parzialmente sovrapponibili, e non sempre indicati in maniera univoca dai diversi autori. Si proporrà dunque, in questa sede, la lettura ritenuta più adeguata.

Il livello istituzionale si articola su più piani: innanzi tutto quello normativo, nazionale e regionale, che sono chiamati a predisporre le condizioni di base; a livello territoriale concerne i rapporti tra le diverse amministrazioni interessate (A.S.L. e comuni), che si accordano per conseguire obiettivi condivisi. I principali strumenti di coordinamento si possono ravvisare sostanzialmente negli istituti giuridici previsti inizialmente dalla L. 142/90 ed ora ricompresi nel D. Lgs. 267/2000: consorzi, accordi di programma, convenzioni.

Il livello gestionale dell’integrazione è connesso direttamente al distretto, ed alle strutture operative che in esso insistono; prende forme diverse nelle varie realtà regionali, dalla delega di funzioni socio-assistenziali dai comuni all’Azienda Sanitaria (utilizzata più frequentemente negli anni ’70 e ’80, poi gradualmente abbandonata), alla gestione coordinata tramite accordi tra amministrazioni, a forme innovative di esercizio congiunto quali le Società della Salute, in Toscana (Burgalassi, 2006). A questo livello si collocano i processi programmatori, il coordinamento di procedure operative anche attraverso i protocolli d’intesa, e tutto ciò che concerne la collaborazione tra servizi .

L’integrazione professionale è strettamente correlata alla condivisione delle attività tra operatori diversi, e “si realizza nel momento in cui i singoli operatori/professionisti coinvolti mettono in gioco le rispettive risorse per affrontare i bisogni nelle loro molteplici dimensioni” (Vecchiato, Canali, Innocenti, 2009, 45). Viene costruita tra figure professionali diverse, sia appartenenti allo stesso servizio sia soprattutto a servizi differenti, avvalendosi di strumenti quali le équipes multidisciplinari, le unità valutative integrate, la gestione unitaria della documentazione.

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La necessità della compresenza e della sinergia tra i tre livelli considerati costituisce l’ipotesi-base a partire dalla quale si è articolata la ricerca sul campo; prima però di esplorarne i risultati è utile approfondire maggiormente l’analisi delle normative sopra presentate.

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2. Alcune possibili prospettive attraverso le quali analizzare