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Persona, individuo, soggetto nello sviluppo del pensiero umano

2. Alcune possibili prospettive attraverso le quali analizzare la normativa sull’integrazione socio-sanitaria

2.3. Da una molteplicità di termini ad una prospettiva personalistica Nelle prospettive precedentemente analizzate si è volutamente evitato d

2.3.1. Persona, individuo, soggetto nello sviluppo del pensiero umano

Le riflessioni ed i dibattiti nel corso della storia del pensiero umano hanno visto intrecciarsi l’utilizzo dei termini, con il prevalere, a seconda delle epoche, di uno di essi – in particolare tra persona ed individuo – spesso in una logica di vera e propria contrapposizione. In queste brevi note di richiamo del dibattito si tratteranno separatamente i diversi termini, cercando di mettere in luce le peculiarità di ciascuno. Come evidenziato in una rivista di un po’ di tempo fa, dedicata espressamente a tale tema, “«persona» è stato per lungo tempo il termine prevalente per riferirsi al singolo essere umano” (Ferrara, 1996a, 10). Il termine viene ad indicare inizialmente, nel mondo greco e romano,82 il ruolo pubblico del singolo; funzione peraltro ritenuta più rilevante rispetto a quella privata, se è vero che quest’ultima dimensione “nella Grecia classica era definita da idiotes e nella Roma repubblicana da privatus, ambedue termini indicanti una connotazione negativa di menomazione, di incapacità e di esclusione” (AA.VV., 1996a, 14). E dunque, il termine persona presenta sin dall’inizio dei connotati relazionali, e legati in certo modo all’esteriorità; su tale nodo si incentrano, nel corso dei secoli, le riflessioni ed i dibattiti sull’utilizzo di questa voce.

      

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L’origine etimologica viene usualmente rintracciata per la lingua greca nella “maschera” (prosopon), che nel teatro antico doveva sostituire l’espressione dell’attore, mentre per la lingua latina viene solitamente associata alla capacità, della maschera stessa, di amplificare il suono della voce (personare) per farla giungere più chiaramente agli spettatori. Sulla problematicità in particolare di quest’ultima attribuzione e sulla complessità, in generale, della definizione del concetto, cfr. Chiereghin (1996).

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Troviamo quindi diversi autori che evidenziano, in positivo, il carattere relazionale del termine persona, che ha “i connotati tipicamente umani del «soggetto come relazione», inteso contemporaneamente come soggetto della relazione e come soggetto dentro la relazione” (AA.VV., 1996a, 13), tanto da giungere a dire che la persona

è essenzialmente costituita dai rapporti sociali. Essa non è riducibile a tali rapporti, in quanto è la loro possibilità, cioè in quanto possiede, nei loro stessi confronti, una capacità di decisione e di scelta. Tuttavia, al di fuori di questi rapporti essa non può costituirsi né vivere. Perciò l’indebolimento o la rottura dei rapporti stessi coincide con l’indebolimento e la rottura della personalità.83

In tale ottica la persona non solo è, da un punto di vista giuridico, titolare di diritti e doveri; ma diventa il fondamento di quel particolare tipo di società che è la comunità: “la società di persone o comunità è … un’unione intima e fattiva di anime, a differenza della società di individui, o società semplicemente, che è puramente un incrociarsi di interessi”.84 Si intravede già, in questa espressione, un’altra caratteristica peculiare attribuita al termine persona: quell’istanza etica che fa dire allo stesso Bobbio che la identifica come “individuo elevato a valore”.85 Istanza etica che aveva trovato, pressoché nello stesso periodo in cui scrive il suddetto autore, ampio risalto nella dottrina che ha posto il termine stesso a proprio fondamento: la corrente filosofica del personalismo, che raccoglie ed elabora non solo gli aspetti relativi al ruolo che la persona svolge nella società, ma anche quella dimensione verticale, spirituale, della persona umana in rapporto con Dio, che a partire da S. Tommaso aveva attraversato il pensiero di matrice cristiana.

Sin qui, i principali aspetti evidenziati dai diversi autori in un’accezione positiva dell’utilizzo del termine. Non mancano peraltro gli autori che, proprio a

      

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Abbagnano N., Problemi di sociologia, Taylor, Torino, 1959 (riportato in Pianciola, 1996, 279- 280). L’ultima osservazione appare di particolare rilevanza nella riflessione sui servizi socio-sanitari anche solo pensando alla rivoluzione operata dalla L. 180/78 attraverso la chiusura dei manicomi.

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Bobbio N., La persona nella sociologia contemporanea, Baravale e Falconieri, Torino, 1938 (riportato in Andrini, 2004, 28).

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partire dall’origine etimologica del termine, leggono in chiave critica l’utilizzo del vocabolo persona – legando per lo più questa posizione ad una scelta preferenziale per quello di individuo.

Tali autori evidenziano quindi, in negativo, quel collegamento del concetto di persona all’esteriorità cui si faceva poco fa riferimento; e questo viene letto come sinonimo di non autenticità: la maschera imposta dall’esterno (il ruolo sociale, le convenzioni, le tradizioni), che ciascuno indossa come potrebbe fare con un abito, ma che certo non definisce la vera essenza, costituita invece dall’individuo. Tale posizione potrebbe essere rappresentata, in forma certamente semplificante, dalla frase di C. G. Jung: “Con una certa esagerazione si potrebbe dire che la Persona è non ciò che uno è realmente, bensì ciò che egli e gli altri credono che sia”.86

Il termine individuo – che originariamente indica la singolarità ma anche l’unitarietà del soggetto – diventa quindi l’emblema dell’uomo singolo ed autonomo, che afferma la propria capacità di pensare ed agire; l’uomo che è naturalmente libero, pur se oppresso dalla «maschera» dell’ipocrisia della società; colui che trova la sua identità nella propria individualità, al di sotto della molteplicità dei ruoli che impersona. L’aspirazione dell’individuo sarà dunque, in questa prospettiva, di riappropriarsi di tale libertà, e nel contesto tipico della società moderna avrà “la possibilità di essere incomparabilmente più individuo, cioè più autonomo, più unico o più se stesso di quanto gli esseri umani del passato, nella grande maggioranza, abbiano avuto modo di essere” (Ferrara, 1996b, 47).

Il dibattito sui pro e contro l’utilizzo dei concetti di persona e di individuo è certamente molto più complesso dei brevi cenni qui riportati; in esso si intrecciano anche, solo per citare degli esempi, tematiche ideal/ideologiche di appartenenza religiosa o laica, dato che il concetto di persona è stato utilizzato prevalentemente in ambito cattolico (anche se, come si è visto precedentemente nel caso di N. Bobbio, con autorevoli eccezioni) e quello di individuo prevalentemente in ambito di pensiero laico; o anche, nell’analisi del rapporto tra il singolo e la società, l’aspetto della relazionalità tipico del concetto di persona è stato visto dai detrattori come un

      

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ingabbiamento in norme, istituzioni, convenzioni, rispetto alle quali il termine individuo garantirebbe un maggiore spazio di libertà.87

L’approfondimento di tali tematiche ci porterebbe troppo lontano dal tema in oggetto, e dunque è necessario rinviarlo ad altre sedi. Appare invece utile dedicare l’attenzione ad un altro concetto che, seppur meno utilizzato dei due precedenti, ha comunque una sua collocazione negli ambiti di cui ci stiamo occupando: la nozione di soggetto.

L’origine etimologica del termine qui, a dire il vero, mette un po’ in imbarazzo: l’aggettivo subjectum indica qualcosa o qualcuno “che sta sotto”, sottoposto a qualcun altro; e se questo trova ancora oggi un utilizzo,88 è sostanzialmente nel significato opposto a quello che, invece, acquista quando viene adoperato come sostantivo; ed è in riferimento a quest’ultima accezione che si ritiene utile occuparsene in questa sede.

Il concetto è ampiamente usato in ambito giuridico, dove il cittadino (ed in certi casi anche il non-cittadino) è soggetto titolare di diritti; dove ad esempio parlare di “diritto soggettivo” presuppone una caratteristica di esigibilità (di ciò a cui si ha diritto), che non è invece presente nel concetto di “interesse legittimo”.

Nello sviluppo del pensiero tale concetto potremmo dire che – nella querelle precedentemente richiamata – si colloca più vicino alla dimensione dell’individuo; esso infatti, a partire da Kant (per il quale il soggetto è l’io penso) indica la coscienza o autocoscienza che determina e condiziona l’attività conoscitiva; più in generale, è la “capacità autonoma di rapporti o di iniziative, capacità che viene contrapposta all’esser semplice «oggetto» o parte passiva di tali rapporti” (Abbagnano, 1971, 812). Una lettura in parte diversa, certamente più ampia della nozione di soggetto, e che lo sovrappone parzialmente al concetto di persona come richiamato in precedenza è invece quella psicosociologica, per la quale il soggetto,

      

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A tal proposito risulta invece particolarmente interessante, sulla lettura in chiave cattolica del rapporto persona/Stato, l’intervento di Dossetti all’Assemblea Costituente, nel quale si chiede tra l’altro che l’elaboranda Costituzione “riconosca la precedenza sostanziale della persona umana (…) rispetto allo Stato e la destinazione di questo a servizio di quella …” (AA.VV. 1996b, 305).

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L’espressione “sentirsi in soggezione” verso qualcuno, tanto per fare un esempio, rende in maniera forte l’idea di sottomissione; ma anche “essere soggetto a ” (malattie, soprusi, …) indica una posizione di passività.

Pagina | 80 l’ “Io” che enuncia, soggetto di desiderio che si esprime e parla di ciò che prova e di ciò che vuole (…) si costituisce nella relazione con l’altro. Diventa realtà attraverso ciò che gli rimanda l’altro, il suo sguardo, la sua parola … (Ardoino, Barus-Michel, 2005, 276).

Potremmo dunque sinteticamente indicare il concetto di soggetto come un ambito semantico che, seppur dotato di propria autonomia rispetto ad individuo e persona, si sovrappone in parte all’uno in parte all’altro.