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ed il quadro territoriale delle A.S.L.

6. L’integrazione socio-sanitaria nel percorso dell’utente nei serviz

6.2. L’integrazione nella valutazione e presa in carico

6.3.1. Tipologia delle iniziative

La sezione del questionario rivolta ad indagare le buone prassi prevedeva la descrizione di due iniziative per ogni distretto; in alcune realtà però gli intervistati ne hanno individuata una sola – o talvolta nessuna – per un totale di 98 buone prassi analizzate.

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L’esposizionedelle singole iniziative scelte dagli intervistati chiedeva innanzi tutto di indicarne la tipologia, in riferimento alla temporalità ed alla specificità degli interventi. Il grafico F15 mostra i dati relativi, disaggregati per aree territoriali.

Grafico F15 – Tipologia delle buone prassi per area territoriale

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Roma città Roma provincia Altre province Tipologie delle BP attività a carattere continuativo

intervento su singoli casi progetto a termine

Il dato mostra un’assoluta prevalenza delle attività a carattere continuativo in tutte le aree territoriali, ed in particolare nell’area romana, dove superano il 90% delle prassi indicate, mentre nella provincia di Roma si rileva una maggiore presenza dei progetti a termine. Pur non potendo ritenere tali dati rappresentativi dell’intera realtà delle prassi integrate – trattandosi di due sole esperienze per distretto, e scelte con criteri assolutamente personali – è però presumibile che siano comunque rivelatori di una linea di tendenza, tale per cui anche quelli che nascono come progetti a termine nella grande maggioranza dei casi divengano successivamente attività “istituzionalizzate”, a carattere continuativo.

Trattandosi di iniziative anche molto diverse tra loro, per poterne cogliere la realtà operativa il questionario lasciava uno spazio aperto in cui descriverne i contenuti; quanto espresso in tale domanda aperta è stato poi successivamente ricondotto ad alcune tipologie, ed i risultati di tale operazione, disaggregati per aree territoriali, sono evidenziati nella tabella F16.

Pagina | 196 Tabella F16 – Tipologie delle buone prassi per area territoriale

Tipologie BP Roma città Roma provincia Altre province Accesso 12 2 2 Unità Valutative 1 1 1

Gruppi di lavoro integrati 3 3 2

Percorsi 3 1 3

Attività domiciliari 4 6 3

Attività semiresidenziali 4 7 6

Residenzialità 2 1 3

Attività a carattere preventivo 2 0 1

Progetti individualizzati 1 1 0

Accompagnamento al lavoro 2 2 0

Interventi a basso carico assistenziale

1 3 0

Azioni di sistema 0 3 4

Altro 1 3 4

Totali 36 33 29

Le prime due tipologie indicate in tabella non riguardano, evidentemente, attività relative al momento dell’intervento, ma sono riconducibili ai due temi analizzati in precedenza; è interessante comunque osservare come tali esperienze vengano riproposte in questa sede, a testimonianza della rilevanza ad esse attribuita. In particolare emerge il dato relativo ai servizi che, all’interno della realtà romana, si pongono come punto di accesso per i cittadini: non solo i P.U.A., previsti dalla normativa regionale (che costituiscono solamente 1/3 delle prassi segnalate), ma anche sportelli informativi, centri di ascolto, accessi integrati già esistenti prima della normativa.

Una tipologia che invece inizia ad interessare l’ambito della continuità degli interventi è quella dei gruppi di lavoro integrati; parte di essi erano stati indicati anche nelle unità valutative, perché in realtà riguardano, molto spesso, sia la valutazione e presa in carico che il successivo intervento. Si tratta di gruppi operativi nati, per la quasi totalità, o nell’ambito della collaborazione con i diversi Tribunali per la tutela dei minori, o nel settore scolastico, su sollecitazione della L. 104/92, per favorire l’inserimento degli alunni disabili; in entrambi i casi vedono la

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partecipazione di professionisti non solo della A.S.L. e dell’ente locale, ma anche delle scuole, e spesso, nella funzione di ausilio alla magistratura minorile, anche delle Forze dell’Ordine. È poi da rilevare una piccola quota di gruppi operativi, nati dalla spinta dei professionisti, e rivolti ai diversi bisogni della popolazione di riferimento. La segnalazione di tali realtà in tutte le aree territoriali sembrerebbe indicare una linea di tendenza, ovvero il rilievo attribuito alle forme di cooperazione tra servizi ed operatori, sia a quelle “storiche” e maggiormente definite, anche da accordi interistituzionali, sia a quelle ancora nella fase più iniziale e spontaneistica.

Un’altra tipologia interessante è quella indicata con la denominazione “percorsi”: si tratta di attività che si connotano per avere come proprio focus dei percorsi di intervento, o nell’ambito della continuità assistenziale (indicata dalle normative regionali più recenti come obiettivo specifico che le A.S.L. dovevano darsi), o comunque dedicati a specifiche categorie di bisogno (Alzheimer, S.L.A., ma anche vittime della tratta), prevedendo sempre una filiera di interventi, coordinati tra loro, per meglio seguire l’evoluzione delle singole problematiche.

La tabella presenta poi, in sequenza, i tre ambiti in cui si sviluppano gran parte degli interventi e servizi, rivolti a diverse tipologie di utenti e bisogni (dagli anziani ai disabili, dai minori alla salute mentale): le attività domiciliari, semiresidenziali e residenziali. Come si può notare, queste – ed in particolare le prime due – sono le tipologie globalmente più rappresentate nelle diverse aree territoriali, a testimonianza della loro diffusa presenza; differentemente dalle prassi indicate come “percorsi”, qui l’accento viene posto su uno specifico ambito di intervento piuttosto che sul collegamento tra gli stessi. Alcune prassi propongono attività consolidate, altre maggiormente innovative o originali; tra queste ultime, merita segnalare: nelle attività domiciliari, interventi specifici per persone con problemi mentali, nati dalla collaborazione tra servizi sociali municipali e centri di salute mentale; nelle attività semiresidenziali, la messa in rete dei centri diurni disabili in un distretto provinciale, per cui l’accesso ai singoli centri non è limitato ai residenti in ciascun comune in cui ogni centro è ubicato, ma tutti i centri sono a disposizione di tutti i cittadini del distretto; le iniziative denominate “Dopo di noi”, piccole strutture a carattere residenziale con diverso grado di protezione destinate ai disabili che rimangono privi di rete familiare.

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Sono inoltre da rilevare le attività a carattere preventivo, con una fisionomia prevalentemente sanitaria, ma che coinvolgono nella realizzazione anche ambiti sociali, come ad esempio l’“infermiere di prossimità”, presente nei centri sociali anziani; e, a seguire, i progetti individualizzati, previsti nelle normative regionali, ed i percorsi di accompagnamenteo al lavoro per le fasce deboli, tipologie entrambe presenti nelle aree di Roma e della relativa provincia.

Nella categoria “interventi a basso carico assistenziale” sono state inserite alcune attività che hanno una storia recente, e che si pongono in parte su un versante preventivo, in parte in una logica di sostegno, ed hanno come caratteristica comune quella del basso grado si strutturazione “istituzionale”: i gruppi di auto-mutuo aiuto, le unità di strada, la peer education; tali attività sono state segnalate in particolare nell’area della provincia di Roma.

Nell’area “azioni di sistema” sono state inserite attività – realizzate tutte in aree provinciali – non rivolte direttamente ad utenti, ma finalizzate alla programmazione o alla regolamentazione di procedure; di particolare interesse appare la creazione di un “Osservatorio sociale distrettuale”, a supporto dell’Ufficio di Piano.

Infine, nella categoria “altro” troviamo attività relative ad interventi legati alla L. 285/97, all’affido familiare, al pronto intervento sociale, ed attività a carattere socio-culturale per l’integrazione delle persone con problemi psichiatrici.