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IL PAGAMENTO DELLE TASSE E DEI DAZ

Nel documento Il diritto marittimo nei paesi arabi (pagine 38-40)

Le tasse si dividevano in due categorie: le tasse canoniche, che erano espressamente previste dalla legge islamica, e quelle non canoniche, che erano dettate dalla amministrazione. Per quanto riguarda la prima categoria, ad ogni mercante veniva richiesto all’ingresso di un porto musulmano di pagare una tassa corrispondente o ad un decimo216 o ad un quinto217 della propria mercanzia. In teoria l’ammontare delle tasse imposte ai mercanti differiva a seconda della loro credenza religiosa, cittadinanza e della loro condizione politica e sociale. Per esempio l’ammontare di un dazio doganale pagato da un musulmano non era equivalente a quello prelevato da un dhimmi218. Tasse e dazi non

canonici erano uguali per tutti anche se variavano in base al tempo ed al luogo. In tale categoria rientravano i pedaggi prelevati lungo le strade [marāsid]219 o alle entrate

[qabāla] e le tasse di transazione, prelevate in caso di vendita o trasferimento di beni220. La

215 Hassan S. Khalilieh, Islamic Maritime Law: An Introduction (Brill Academic Publishers, 1998), p.78-79. 216 NāsIr-I Khosraw, Book of Travels {Safarnāma}, p. 13: "It [Tripoli, Lebanon] is also a customs station, as

ships from Byzantium, Europe, Andalusia, and the Maghrib dock there. TIhey pay ten percent to the sultan, which income provides for the soldiers' maintenance."

217 Ibn Mammātī, Q.awānīn al-Dawāwīn, p. 326; Qalqashandi, Subh al-A'shā, vol. 3, p. 463; Maqrizi, Al-

Khitat, vol. 2, p. 122; Najī, "Dirasā Muqarana," pp. 186, 194.

218 Dhimmī o Dimmī, secondo la legge mussulmana, sono gli ebrei, i cristiani, gli zorastriani e i sabeii ai quali

è concesso di vivere in un paese governato secondo i principi dell'Islamm. Il concetto deriva dal Corano, Sura IX ver. 29:

"Combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno Estremo, e che non ritengono illecito quel che Dio e

il suo messaggero han dichiarato illecito, e coloro, fra quelli cui fu data la Scrittura, che non s'attengono alla Religione della Verità. Combatteteli finché non paghino il tributo, uno per uno, umiliati." (trad di A. Bausani)

La sottomissione e il tributo all'autorità islamica permette a queste minoranze lo status di "persone protette". Le diverse scuole giuridiche mussulmane hanno nel passato elaborato la giurisprudenza a cui sarebbero sottoposti i dhimmi (abbigliamento, segni di riconoscimento, restrizioni varie, come ad esempio la proibizione di parlare a voce più alta di un islamico). Tali restrizioni sono state abolite nei paesi che hanno recepito il diritto occidentale, mentre permangono discriminazioni nei paesi più conservatori.

219 Muqaddasī, Ahsan al-Taqāsīm, pp. 104-105.

letteratura classica storica e di viaggio ci forniscono la prova del fatto che gli esattori e gli ufficiali portuali nel mare Arabo e Mediterraneo impiegavano procedure simili per riscuotere tasse dai mercanti.

Il desiderio degli amministratori locali di incrementare le entrate derivanti dalle imposte li spingeva a controllare l’ attività dei mercanti da vicino mediante l’erezione di stazioni di dazio lungo le rive dei fiumi, le rotte commerciali e i porti221.

Occasionalmente, come afferma al-Mujāwir (1204-1291d.C) da Aden, gli osservatori governativi si appostavano nelle torrette di guardia poste sulle colline della costa e seguivano i movimenti delle imbarcazioni commerciali in mare. Quando un vascello era avvistato in mare aperto, gli uomini di guardia trasmettevano il messaggio lanciando una voce da una stazione all’altra, finchè esso raggiungeva i funzionari della dogana portuale. Dopodichè, quando la nave raggiungeva il porto, il wālī (governatore della provincia) spediva ufficiali a bordo di piccole imbarcazioni perché andassero in contro alla nave e registrassero tutti i dettagli riguardanti il suo porto d’origine, il tipo, la quantità e il prezzo d’acquisto delle merci a bordo, come pure il nome e la cittadinanza di ogni passeggero. Ci è riportato che tra gli esattori vi erano donne anziane che, come facevano le loro controparti maschili con i passeggeri maschi, cacciavano le loro mani dentro le cintole delle passeggere in cerca di qualsiasi cosa potesse essere nascosto sotto i vestiti. Il carico veniva tassato una volta che era stato scaricato, sballato e pesato di fronte agli ufficiali portuali222. Al Muqaddasi (947-990) sostiene che le autorità portuali di Aden erano molto severe, che si trattasse di raccogliere tributi dai musulmani o dai non musulmani223.

Arrivando nel porto di Alessandria il 28 aprile 1183, Ibn Jubayr racconta: “Il giorno del nostro arrivo una delle prime cose che vedemmo fu l’abbordaggio da parte degli agenti del sultano che dovevano registrare ogni oggetto trasportato sulla nave. Tutti i musulmani presenti erano fatti avanzare ad uno ad uno ed i loro nomi e descrizioni, insieme con i loro paesi d’origine, venivano registrati. Ad ognuno veniva chiesto quali mercanzie o quanto denaro possedesse e se poteva pagare la zakāt 224.

Constable, Trade and Traders in Muslim Spain: The Commercia/ Realignment of the Iberian Peninsula 900-

1500 (Cambridge: Cambridge University Press, 1994), p. 129.

221 Muqaddasī, Ahsan al-Taqāsīm, pp. 104-105; Nāsīr-I Khosraw, Book of Travels {Safarnāma}, p.13. 222 Hassan S. Khalilieh, Islamic Maritime Law: An Introduction (Brill Academic Publishers, 1998), p.83. 223 Muqaddasī, Ahsan al-Taqāsīm, pp.104-105.

224 Col termine zakāt s'intende l'obbligo religioso di "purificazione" della propria ricchezza che ogni

musulmano pubere e in possesso delle normali facoltà mentali deve adempiere per potersi definire un vero credente (fa parte dei c.d. “5 pilastri dell’Islam).

Spesso tradotta con elemosina, la zakāt non ha in sé alcun elemento di volontarietà (per la vera e propria elemosina si usa il termine sadaqa) e serve appunto a rendere lecita e fruibile la propria ricchezza materiale. A ciò si provvede col pagamento di una quota-parte dei propri guadagni (calcolando un minimo esente che può variare a seconda dei luoghi e dei tempi) che andrà, in forma di solidale aiuto, alle categorie più svantaggiate della società islamica - specialmente i poveri, gli orfani e le vedove - ma che potrà essere destinata a diversi scopi pii (quali ad esempio gli aiuti per i viandanti pellegrini o per migliorare l'espressione pubblica della propria fede).

L'Islam ha per lunghi secoli provveduto a far ciò affidando la gestione della zakāt al potere califfale o ai suoi sostituti politici locali e la sua percezione avveniva per il tramite di appositi funzionari di nomina califfale (gli "agenti", o ‘umalā’) che applicavano precisi tabellari nell'esigere quanto dovuto o in numerario o in beni prodotti. Con la fine del califfato tale esazione è diventata nei fatti del tutto volontaria ma non è venuta meno. I fedeli musulmani infatti calcolano da sé quanto dovrebbero versare e provvedono a destinare l'ammontare a organizzazioni di beneficenza che offrono tutte le garanzie di buon impiego di quanto incassato.”

Molti di loro erano in procinto di adempiere ai loro obblighi religiosi e non avevano nient’altro che le provviste per il viaggio. Ma essi erano comunque obbligati a pagare la zakāt senza che gli venisse chiesto nulla su cosa avevano posseduto quell’anno e cosa no. I musulmani erano obbligati a portare i loro averi e quanto rimaneva delle loro provviste a riva, ove si trovavano degli uomini incaricati di sorvegliarli e di presentare dinnanzi ai doganieri quello che era stato portato a riva. Quindi essi erano chiamati uno ad uno per mostrare i loro beni. Tutti i loro beni, sia grandi che piccoli, erano setacciati e gettati tutti insieme alla rinfusa mentre mani li perquisivano sotto la cintola per scovare ciò che poteva essere stato occultato. Inoltre dovevano giurare di non aver nient’altro che non fosse stato scoperto. Durante tutto ciò a causa della confusione e della ressa , molti oggetti personali sparivano. Conclusa questa scena degradante e vergognosa , per cui chiediamo a Dio di ricompensarci ampiamente, ai pellegrini era concesso di andarsene”225.

Molte cronache di musulmani si lamentavano del comportamento inumano dei doganieri portuali nei confronti dei mercanti in arrivo o di passaggio e dei passeggeri nei porti islamici226. Questo severa modalità di raccolta dei tributi colpiva sia i mercanti musulmani che quelli dhimmī. Mentre ai dhimmī (“gente del libro”) era chiesto di presentare una ricevuta scritta che provasse il pagamento della imposta di capitazione [jizya], il musulmano doveva garantire il pagamento della elemosina[zakāt]. È evidente, dunque, come il maggior sforzo della amministrazione centrale e locale fosse diretto ad incrementare le entrate fiscali statali con ogni mezzo.

Al-Makhzūmī (1189 d.C.) ci fornisce ampi dettagli sulle tasse commerciali nei porti egiziani di Alessandria, Damietta, Tinnis, e Rosetta lungo il Mediterraneo come anche nei porti di Qulzum e ‘Aydhāb, sul mar Rosso227. Quando una nave commerciale bizantina od italiana arrivava in porto, il segretario registrava tutti i dettagli riguardanti il porto d’origine, il tipo e la quantità del carico a bordo, il nome dei passeggeri e la loro nazionalità, tutto ciò per valutare la tassa da applicare. Similmente quando un vascello musulmano gettava l’ancora a destinazione, il contabile di bordo doveva registrare la data di arrivo, i nomi dei passeggeri, dell’armatore e del vascello, e la quantità, qualità e prezzo d’acquisto delle merci prima di stoccarle nei magazzini. Inoltre c’è da dire che ne il capitano ne il mercante potevano scaricare la nave senza un permesso ufficiale. Oltre alle tasse canoniche, ai pedaggi ed alle autorizzazioni d’entrata e d’uscita , che non erano rimborsabili, i mercanti in arrivo ed in partenza dovevano pagare gratifiche agli ufficiali governativi ed al personale del porto228.

Nel documento Il diritto marittimo nei paesi arabi (pagine 38-40)