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Il petitum della domanda di riduzione che non necessita d

2. Nella vigenza del codice Pisanelli l’elaborazione dottrinale

2.8. Il petitum della domanda di riduzione che non necessita d

formule sacramentali, è la richiesta rivolta al giudice di ottenere la quota di legittima assicurata dal diritto sostanziale che, nel caso concreto, non può essere soddisfatta, in tutto o in parte, a causa della presenza di disposizioni testamentarie o donazioni “eccedenti” la quota disponibile del de cuius che vanno perciò ridotte521.

La causa petendi e cioè le ragioni che giustificano il petitum, è costituita dalla lesione della quota legittima attraverso disposizioni testamentarie o donazioni e presuppone, perciò, la qualità di legittimario e l’asserita lesione della quota di riserva522.

Qualora manchi la lesione alla quota spettante per legge, il legittimario non ha diritto all’accoglimento dell’azione di riduzione e, neppure, se pretermesso, potrebbe utilizzare l’azione di riduzione per sentir dichiarare la sua qualità di erede523.

E’ stato difatti osservato524 che il diritto del legittimario alla qualità di erede non significa, come nel sistema giustinianeo, diritto del legittimario ad essere istituito erede e che la riduzione può disporsi soltanto in presenza di una effettiva lesione in senso economico (art. 554 e 555 cod. civ.) in mancanza della quale il giudice non potrebbe incidere sull’efficacia del testamento.

L’azione di riduzione, come anticipato, verte essenzialmente sul calcolo della disponibile da cui ricavare la quota riservata.

Per tale ragione, la giurisprudenza è estremamente rigorosa nel richiedere al legittimario l’esatta determinazione del valore della massa ereditaria e del valore della quota di legittima violata dal

                                                                                                                         

521 Per MENGONI, Successione necessaria cit., pag. 230, la quota di eredità coincide con il diritto sostanziale. Appare innegabile che se il legittimario ha diritto a proporre un’azione che gli consente di ottenere una “quota di eredità”, è naturale concludere che egli abbia, ancor prima, il diritto sostanziale di conseguirla.  

522 Cass. 3 settembre 2013, n. 20143 cit., in Diritto & Giustizia 2013.; Cass. 16 novembre

2000, n. 14864 in Giust. Civ. Mass. 2000, fasc. 11, pag. 2348.  

523 Si pensi al caso in cui il legittimario escluso dalla successione abbia ricevuto, in vita dell’ereditando, donazioni di valore sufficiente ad assicurargli il valore della quota.   524 MENGONI, Successione necessaria cit., pag. 82.  

testatore525.

Nella citazione introduttiva del giudizio, il legittimario che agisce in riduzione dovrà in primo luogo dedurre che il de cuius, attraverso atti

inter vivos (donazioni dirette o indirette) o mortis causa (disposizioni

testamentarie) ha leso la sua quota legittima; dovrà indicare e dimostrare l’effettiva lesione e a tal fine dovrà specificare la consistenza ed il valore dell’asse ereditario, comprensivo dei beni relitti (al netto dei debiti) e di quelli donati in vita dal de cuius; individuare la disposizione testamentaria o la donazione di cui chiede la riduzione (totale o parziale) per ottenere la quota che la legge gli riserva (petitum).

In diverse occasioni la giurisprudenza si è occupata del problema della continenza dell’azione di riduzione rispetto a quella di divisione e di collazione al fine di stabilire se il giudice, adito in divisione o collazione, possa o meno, pur in difetto di una formale domanda, disporre la riduzione di disposizioni testamentarie o di donazioni. Divisione e riduzione, ad avviso della Suprema Corte526 costituiscono due rimedi processuali nettamente distinti, ognuno dei quali aventi una propria identità e configurazione autonoma.

Ciò non impedisce, tuttavia, alle parti di richiedere cumulativamente nello stesso giudizio, tanto la divisione quanto la riduzione, purchè sia rispettata la sostanziale diversità e autonomia dei due meccanismi processuali527.

Ne consegue che qualora le parti propongano soltanto una delle diverse domande, non è possibile che d’ufficio vengano prodotti anche gli effetti dell’altra non richiesta.

                                                                                                                         

525Cass., 12 settembre 2002, n. 13310 in Riv. notariato 2003, pag. 234; Cass., 30 giugno 2011, n. 14473 in Riv. notariato 2012, fasc. 2, pag. 458 con nota di MUSOLINO afferma che “il legittimario che propone l'azione di riduzione ha l'onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la legittima determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonché il valore della quota di legittima violata dal testatore. L'azione di riduzione, indipendentemente dall'uso di formule sacramentali, richiede, poi, oltre la deduzione della lesione della quota di riserva, l'espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione di essa mediante il calcolo della disponibilità e la susseguente riduzione della donazione posta in essere in vita dal de cuius”. Cass. 24 luglio 2012, n. 12919 cit., in Giust. Civ. Mass. 2012, fasc. 7-8, che, si ribadisce, ha definitivo gravemente carente la sentenza di merito che aveva statuito in ordine alla lesione di legittima, senza aver prima censito il patrimonio ereditario.  

526 Cass. 21 gennaio 2007, n. 1408 in Giur. It. 2007, fasc. 8-9, pag. 1916 con nota di BARTOLUCCI; Cass. 29 marzo 2000, n. 3821 in Giust. Civ. Mass. 2000, pag. 656.  

527 Così Cass. n. 1408/2007 cit., in Giur. It. 2007, fasc. 8-9, pag. 1916 Per Cass. 10 ottobre

2010, n. 22885 in Giust. civ. Mass. 2010, fasc. 11, pag. 1436, nel regime anteriore alla L. n. 353 del 1990, la domanda di riduzione è proponibile durante tutto il corso del giudizio di divisione di primo grado purchè la controparte accetti il contraddittorio (nella fattispecie esaminata, era stato rifiutato il contraddittorio e la relativa domanda considerata nuova).  

La divisione ereditaria è lo strumento fornito dal legislatore per far cessare la situazione di comunione ereditaria determinandone lo scioglimento; in quella giudiziale è richiesto al giudice di attribuire a ciascun coerede situazioni proprietarie esclusive, previo accertamento dei diritti di ciascun coerede528.

La domanda di divisione si propone quando, costituitasi la comunione ereditaria in seguito alla apertura della successione legittima o testamentaria, gli eredi chiedono lo scioglimento e le conseguenti assegnazione delle porzioni o attribuzione dei beni.

Poiché anche la divisione comporta la collazione e la imputazione (art. 724 cod. civ.)529, carattere precipuo della domanda di divisione è che, con questa, nessun erede deduce di aver subito una lesione della quota di riserva: in altre parole, gli eredi tenuti alla collazione ed alla

                                                                                                                         

528 Cass. 6 luglio 1977, n. 2893 in Rep. Giur. It. 1977, voce “divisione”, n. 12; Cass. n. 1408/2007 cit., in Giur. It. 2007, fasc. 8-9, pag. 1916  

529 Si segnala che Cass. S.U. 20 giugno 2006 n. 14109 in Riv. notariato 2007, fasc. 4, pag.

948, ha così deciso: “In tema di giudizio di divisione ereditaria, le caratteristiche del relativo procedimento - rappresentate dalla finalità che esso persegue, di porre fine alla comunione con riferimento all'intero patrimonio del de cuius, e dalla possibilità che esso si concluda, in luogo che con sentenza, con ordinanza che, sull'accordo delle parti, dichiari esecutivo il progetto divisionale - non sono di per sé sufficienti a giustificare deroghe alle preclusioni tipiche stabilite dalla legge per il normale giudizio contenzioso; pertanto, vanno dichiarate inammissibili, ai sensi dell'art. 167, comma 2, c.p.c., le domande di nullità o di simulazione dirette a far rientrare determinati beni nell'asse ereditario proposte, per la prima volta, in sede di discussione del progetto divisionale”.

Le Sezioni Unite chiariscono che il carattere universale del giudizio di divisione (deve cioè comprendere tutti i beni relitti), non è assoluto ben potendo le parti, successivamente, chiedere un supplemento di divisione con riferimento ad altri beni oggetto di atti simulati o nulli posti in essere dal de cuius. La tendenziale finalità del giudizio di divisione di porre fine allo stato di comunione con riferimento all'intero patrimonio relitto del de cuius non può prescindere dalla disciplina del processo che vieta al giudice di decidere le domande tardivamente proposte o di ricercare beni da ritenere inclusi nel patrimonio relitto dal de cuius non indicati dalle parti come elementi della massa ereditaria da dividere.

Cass. 28 dicembre 2011, n. 29372 in Giust. Civ. Mass. 2011, fasc. 12 ha esteso il principio predicato dalle Sezioni Unite all’ipotesi di collazione. Ha osservato che la ratio sottesa alla decisione delle Sezioni Unite è quella di impedire che nel giudizio di divisione, dopo la costituzione dei convenuti, possa essere richiesta la formazione di quote diverse con riferimento al patrimonio ereditario che le parti hanno individuato nei loro scritti difensivi iniziali. Ne consegue che, sebbene enunciato specificamente per le domande di nullità o simulazione dirette a far rientrare nel patrimonio da dividere i beni oggetto delle relative disposizioni, in presenza della medesima ratio, il principio individuato va esteso anche alla collazione che persegue la finalità di far rientrare alla comunione determinati beni. In motivazione ha chiarito che non può ritenersi ammissibile una richiesta formulata dal convenuto successivamente alla sua costituzione (art. 167, secondo comma cod. civ.) (o dall’attore nella citazione introduttiva) volta a richiedere la collazione di specifici beni argomentando dal fatto che, essendo la domanda diretta all’esatta ricostruzione sia del relictum che del donatum, costituisce una operazione connaturale al giudizio di divisione cui il giudice sarebbe tenuto d’ufficio. Così ragionando, sostiene la Corte, si ammette “un potere del giudice di andare alla ricerca di beni da ritenere inclusi nel patrimonio relitto dal de cuius e non indicati dalle parti ….”.

Pertanto, le istanze di collazione sono soggette alla preclusione della loro deduzione negli atti introduttivi.  

imputazione non affermano che quanto dal defunto, direttamente o indirettamente, sia stato donato abbia ecceduto la disponibile.

Il giudizio di divisione ha struttura unitaria pur articolandosi in due fasi: la prima, logicamente antecedente, volta ad accertare il diritto di ciascuno dei coeredi (attraverso la ricostruzione dell’asse ereditario, la collazione e le imputazioni) e, la seconda, volta a determinare le quote spettanti a ciascuno.

Il petitum dell’azione di divisione che delimita i poteri del giudice è lo scioglimento della comunione e perciò la richiesta di attribuzione in proprietà esclusiva a ciascun coerede di una frazione dei beni comuni; la causa petendi, è data dalla semplice qualità di erede legittimo o testamentario e dallo stato di comunione530.

Nel giudizio di divisione, pertanto, il giudice non può accertare, se non in violazione del principio della domanda e perciò con ultrapetizione, ciò che non gli è stato richiesto e cioè che una o più disposizioni abbiano ecceduto la porzione di cui il testatore poteva disporre e, a causa di esse, l’assenza di una comunione degli eredi su una quantità di beni idonea ad assicurare il soddisfacimento delle quote dei legittimari.

Tale è invece il contenuto della domanda di riduzione che si propone nel caso in cui le disposizioni testamentarie o le donazioni siano eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre e che ha come scopo, anzitutto, la determinazione dell'ammontare concreto della quota di legittima: vale a dire, della quota di cui il defunto poteva disporre e di stabilire come ed in quale misura le singole disposizioni testamentarie o le donazioni debbano ridursi per integrare la legittima531.

Causa petendi del giudizio di riduzione è la qualità di legittimario leso

nella sua quota se non addirittura pretermesso, diversamente da quella dell’azione di divisione che è invece la qualità di erede in comunione. Anche il petitum della riduzione è diverso e più ampio di quello della divisione perché consiste nella richiesta di recuperare alla comunione ed indipendentemente dalla divisione, beni oggetto di disposizione lesiva.

La domanda di riduzione non può perciò considerarsi “implicitamente” contenuta in quella di divisione, stante la diversità

                                                                                                                         

530 Così Cass. 16 novembre 2000, n. 14864 cit., in Giust. Civ. Mass. 2000, fasc. 11, pag. 2348.  

531 Così, in motivazione, Cass. 16 novembre 2000, n. 14864 cit., in Giust. Civ. Mass. 2000, fasc. 11, pag. 2348.  

di causa petendi (qualità di legittimario la prima e di erede la seconda) e di petitum532.

Lo stesso legittimario che agisce in riduzione, qualora pretermesso, ancorchè proponga domanda con petitum più ampio, non può richiedere, se non in via successiva, la divisione che presuppone quella qualità di erede che il legittimario acquista, nell’ipotesi prospettata, soltanto a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di riduzione.

In conclusione, le domande di riduzione e di divisione possono essere proposte congiuntamente nel medesimo processo ma debbono essere formulate individuando compiutamente i relativi tratti distintivi (causa

petendi e petitum); in mancanza, l’azione di riduzione non può

ritenersi “implicitamente” contenuta in quella di divisione e, qualora proposta nel corso del processo, si considera nuova domanda533, perciò inammissibile.

Ulteriore questione attiene ai rapporti tra richiesta di collazione534 delle donazioni ricevute in vita, formulata nel processo di divisione tra coeredi discendenti, e l’azione di riduzione.

Secondo una recente sentenza535 le domande di hanno natura di semplici difese, proponibili in ogni fase della causa, poichè sia l'individuazione del relictum, da computare detraendone i pesi e debiti ereditari, sia quella del donatum, sia l'imputazione alla quota dell'attore di ciò che egli abbia ricevuto a titolo gratuito dal de cuius, sono operazione connaturali ai giudizi di reintegrazione nella legittima che possono essere valutate indipendentemente dalla formale proposizione di domande riconvenzionali in tal senso da parte del convenuto.

L’indicata pronuncia, non in linea con le regole processuali enunciate dalle Sezioni Unite del 2006536, è stata oggetto di critica da parte di

                                                                                                                         

532 Cass. 10 novembre 2010, n. 22885 cit., in Giust. civ. Mass. 2010, fasc. 11, pag. 1436.   533 Cass. 27 aprile 1993, n. 4923 in Giust. civ. Mass. 1993, fasc. 4, pag. 759, ha ritenuto inammissibile la domanda di riduzione di una donazione non proposta con l'atto introduttivo del giudizio di divisione, ma soltanto nel corso del giudizio di secondo grado.   534 Cfr. supra, § 11, pag. 153 e ss.  

535 Cass. 17 giugno 2011 n. 13385 in Giust. civ. Mass. 2011, fasc. 6, pag. 922; precedentemente, nello stesso senso, Cass. 12 maggio 1999, n. 4698 in Notariato 2000, pag. 138 con nota di SARTORE.  

536 Cass. S.U. 20 giugno 2006, n. 14109 in Riv. Notariato 2007, fasc. 4, pag. 948 secondo cui vanno dichiarate inammissibili le domande di nullità o di simulazione dirette a far rientrare determinati beni nell’asse ereditario proposte, per la prima volta, in sede di discussione del progetto divisionale.

un successivo intervento della giurisprudenza di legittimità 537 secondo la quale: “non può pertanto condividersi quanto affermato da

una più recente sentenza di questa S.C. e cioè che nel giudizio di reintegrazione della quota di riserva, non costituiscono domande nuove e sono conseguentemente ammissibili, anche se formulate per la prima volta in appello, le richieste volte all'esatta ricostruzione sia del relictum che del donatum, mediante l'inserimento di beni, liberalità o l'indicazione di pesi o debiti del de cuius, trattandosi di operazioni connaturali al giudizio medesimo cui il giudice è tenuto d'ufficio ed al le quali si può dare corso nei limiti in cui gli elementi acquisiti lo consentono, indipendentemente dalla formale proposizione di domande riconvenzionali in tal senso da parte del convenuto (sent. 17 giugno 2011 n. 13385). In tal modo si ipotizza, infatti, a tacer d'altro, addirittura un potere del giudice di andare alla ricerca di beni da ritenere inclusi nel patrimonio relitto dal de cuius e non indicati dalle parti come elementi della massa ereditaria da dividere di cui non vi è traccia nella legge e che è stato espressamente escluso dalla citata sentenza dello Sezioni Unite”.

In realtà, tra la domanda di collazione e di riduzione esistono sostanziali differenze che escludono che la riduzione possa ritenersi implicitamente contenuta nell’altra per cui, in difetto di puntuale proposizione, la richiesta di collazione non include la domanda di riduzione.

Difatti, nella prima, il petitum ha per oggetto la ricomposizione, in modo reale, dell'asse ereditario mentre, nella riduzione, ha ad oggetto l’attribuzione della quota di legittima intaccata dalle impugnate disposizioni lesive; la causa petendi della collazione trova fondamento nel diritto dei coeredi discendenti di conseguire nella divisione proporzioni eguali mentre nell’azione di riduzione il fondamento è la lesione della quota di legittima538.

Le differenze tra azione di riduzione e di collazione sono rimarcate in una recente pronuncia che ha escluso che i legittimari pretermessi, non eredi, potessero agire in collazione nei confronti di altro legittimario senza aver previamente esperito l’azione di riduzione539.

                                                                                                                         

537 Cass. 28 dicembre 2011, n. 29372 in Giust. Civ. Mass. 2011, fasc. 12. 538 Cass. 29 luglio 1994, n. 7142 in Giust. civ. Mass. 1994, pag. 1036.  

539 Cass. 13 gennaio 2010, n. 368 in Giust. Civ. 2011, 1, pag. 217 con nota di PARDI, si è occupata di una fattispecie nella quale era stata istituita unica erede la moglie superstite del de cuius e pretermessi tutti i figli, tra cui uno beneficiato di donazioni indirette dal comune genitore. Rilevato che i figli (non donatari) non avevano agito in riduzione nei confronti del

Difatti, ad avviso della Suprema Corte, “considerato che il

legittimario totalmente pretermesso dall'eredità acquista la qualità di erede solo in conseguenza del positivo esercizio dell'azione di riduzione540, è evidente che i figli [pretermessi dal donante nella

fattispecie esaminata] non avevano acquisito la qualità di eredi di

quest'ultimo; pertanto è insussistente nella specie il presupposto oggettivo per l'operatività della collazione, ovvero la comunione ereditaria sui beni relitti dal "de cuius", considerato che il diritto dei coeredi di chiedere la divisione ed il connesso diritto alla collazione postulano l'assunzione della qualità di erede”541.