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Principali Convenzioni Internazionali e aree protette

Nel documento AREE PROTETTE E SVILUPPO SOSTENIBILE: (pagine 35-39)

Capitolo 2 Le aree protette nella politica internazionale

2.2 Principali Convenzioni Internazionali e aree protette

Gli accordi tra nazioni in forma di Trattati costituiscono la forma più comune per le azioni sovranazionali riguardanti l’ambiente e le forma principalmente usata per questi Trattati sono le Convenzioni ed i Protocolli91.

La procedura seguita, come sottolinea Garner riprendendo un lavoro di Susskind e Ozawa92, coinvolge diversi passaggi: prima che una Convenzione o un Protocollo siano firmati è necessario che il problema venga identificato e riconosciuto dalle Nazioni che hanno il potere di affrontarlo; per far sì che tale riconoscimento avvenga, il ruolo della comunità scientifica è di grande importanza, come è di enorme importanza il ruolo delle Organizzazioni internazionali ed in generale dei gruppi di pressione su uno specifico argomento.

Riconosciuta la rilevanza del problema, le Nazioni coinvolte accordano il loro impegno a lavorare per raggiungere gli obiettivi comuni prefissati. Il passaggio finale è rappresentato dalla firma del Trattato/Convenzione/Protocollo, il quale entra in vigore solo dopo la rartifica da parte di un definito numero di Nazioni.

Com’è noto la presa di coscienza globale sulle tematiche ambientali inizia nei primi anni settanta del secolo scorso: problemi fino ad allora considerati locali assumono carattere internazionale ed agli Stati viene chiesto da più parti di collaborare per risolverli.

91 Garner R., 1996, op.cit., p. 84.

92 Susskind L. e C. Ozawa, Negotiating more effective international environmental agreements in

Hurrell A. e B. Kingsbury (a cura di), The International Politics of Environment, Oxford, Clarendon Press, 1992; cit in Garner R., 1996, op. cit., p.84.

Il gran numero di documenti stilati, firmati e ratificati però non può essere considerato un successo per la cosiddetta ecodiplomazia. Susskind, infatti, evidenzia come la mancanza di penalità per la firma e mancata ratifica o per la ratifica ed il mancato conseguimento degli obiettivi contribuiscono al loro limitato valore pratico.

Le Convenzioni per lo sviluppo delle aree protette sono molte, ma è opportuno citare: la Convenzione sul Commercio Internazionale delle Specie in Pericolo (CITES); la Convenzione delle Nazioni Unite sulla Legge del Mare (UNCLOS); la Convenzione di Bonn sulla Conservazione delle Specie Migratorie e sulla Fauna Selvatica; la Convenzione di Ramsar sulle Zone Umide di Importanza Internazionale; la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) e la Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Naturale e Culturale Mondiale.

Le ultime due Convenzioni del precedente elenco rappresentano quelle di maggior importanza e saranno analizzate in maniera più approfondita.

La CBD fu firmata da 158 Paesi il 5 giugno 1992, durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro. Essa fu il frutto di dieci anni di ricerca e negoziato: infatti, la nascita dell’idea di un accordo globale sulla conservazione della diversità biologica nacque nel 1981 alla XV Assemblea Generale dell’IUCN. Sei anni dopo l’UNEP creò un gruppo di lavoro specifico sull’argomento e il documento finale, approvato a Rio de Janeiro, fu portato a termine nel febbraio 1991, recependo anche contributi provenienti da IUCN, UNESCO e FAO93.

In generale la procedura decisionale che governa la CBD non differisce dalla maggior parte degli accordi internazionali, infatti l’ultima autorità a cui spettano le decisioni è rappresentata dalla Conferenza delle parti (CoP). Nella CoP ciascun membro ha un voto, oppure nel caso in cui il membro sia parte di un’organizzazione economica regionale (ad esempio l’Unione Europa), il numero di voti corrisponde al numero degli Stati aderenti all’organizzazione stessa.

Come definito dall’articolo 194 gli obiettivi principali della CBD sono: la conservazione della biodiversità, l’uso sostenibile delle sue componenti e la condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche associate.

93 Scanlon J. e F. Burhenne Guilmin (a cura di), International Environmental Governance: An

International Regime for Protected Areas, Gland, Switzerland, Cambridge, UK, IUCN, 2004,

p. 19.

94 Il testo integrale della Convenzione è diponilbile tramite il portale ecolex al sito

Tali ambiziosi obiettivi hanno portato a dover considerare la diversità genetica relativa sia alle specie selvatiche sia alle specie addomesticate o coltivate, a valutarne i molteplici aspetti socio-economici e ad utilizzare misure di conservazione in ed ex situ95.

Riguardo alle aree protette, l’articolo 2 della Convenzione le definisce come un’area geograficamente definita che è designata o regolata e gestita per raggiungere specifici obiettivi di conservazione e l’articolo 8, relativamente alle misure per la conservazione in situ, dichiara:

“Le aree protette giocano un ruolo vitale nella preservazione della biodiversità. Senza aree protette sarebbe difficile mantenere la biodiversità a livello genetico, di specie o ecosistemico.”

Tale preambolo, utilizzando il termine “preservare”, presuppone il mantenimento intatto delle specie, dei patrimoni genetici o degli ecosistemi in oggetto. Ciò lo pone in contraddizione con gli obiettivi della Convenzione stessa, rivolti ad un utilizzo sostenibile ed alla divisione equa dei profitti da tale utilizzo derivanti. In altre parole l’utilizzo del termine “preservazione” appare foriero di ambiguità. Nella definizione di area protetta, la Convenzione prevede che essa sia definita, regolata e gestita per raggiungere obiettivi conservativi (e quindi di utilizzo) e non preservativi (e quindi di non utilizzo).

Le sottosezioni rilevanti per le aree protette, di cui si riportano le lettere significative ai fini del presente lavoro, richiedono inoltre alle parti contraenti di:

a) Creare un sistema di aree protette od aree dove siano prese misure speciali per conservare la diversità biologica.

b) Sviluppare, dove necessita, linee guida per la selezione, creazione e gestione di aree protette od aree dove siano prese misure speciali per conservare la diversità biologica. d) Promuovere la protezione di ecosistemi ed habitat naturali e la manutenzione di specie autosufficienti in ambienti naturali.

e) Promuovere uno sviluppo sostenibile ed ambientalmente sano in aree adiacenti a quelle protette con la visione verso un’ulteriore protezione di quelle aree.

j) Sottoporre alla propria legislazione nazionale il rispetto, la protezione ed il mantenimento delle conoscenze, delle innovazioni e delle pratiche delle comunità

95 La conservazione in situ, in breve, rappresenta i metodi di protezione di flora e fauna all’interno

del loro habitat naturale e dovrebbe essere alla base della demarcazione dei confini delle aree protette quando esse abbiano come obiettivo gestionale primario la protezione di una o più specie. La conservazione ex situ, al contrario della precedente, si concretizza nella rimozione di una o più specie dall’habitat naturale e nella loro collocazione in una nuova località, la quale può essere naturale, ad esempio una diversa area protetta, o artificiale, ad esempio uno zoo o una banca genetica.

indigene e locali che incarnano stili di vita tradizionali rilevanti per la conservazione e l’utilizzo sostenibile della biodiversità e promuovere la loro ampia applicazione con l’approvazione ed il coinvolgimento dei custodi di tali conoscenze, innovazioni e pratiche ed incoraggiare l’equa divisione dei benefici derivanti dall’utilizzo di tali conoscenze, innovazioni e pratiche.

Queste sottosezioni dell’articolo 8 della Convenzione sono esplicative di come la Convenzione, ferme restando le perplessità precedentemente espresse su questioni terminologiche, che in ogni caso potremmo limitare ad un puro esercizio accademico, abbia un approccio multiscalare alla conservazione. Le parti sono chiamate a proteggere la biodiversità sia a livello di singole specie sia a livello ecosistemico e quest’ultimo approccio è fondamentale affinché l’area protetta giochi un ruolo nello sviluppo sostenibile, inoltre, alla sottosezione “e”, si pone l’accento sulle zone circostanti le aree protette e ciò anticipa la sottosezione “j” che si rivolge al coinvolgimento diretto delle popolazioni locali in materia di conservazione.

La Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Naturale e Culturale Mondiale fu adottata dall’UNESCO in occasione della Conferenza Generale del 1972 e tre anni dopo entrò in vigore.

Esaminando il testo della Convenzione96, agli articoli 4 e 5 si esortano gli Stati ad identificare, proteggere e conservare per le generazioni future il patrimonio naturale e culturale e ad assicurare che siano adottate misure specifiche per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

L’unicità e l’importanza della Convenzione risiedono nell’introduzione del concetto di paesaggio culturale nelle linee guida operative per l’implementazione della Convenzione stessa. Il paesaggio culturale viene definito, all’articolo 1 come frutto di “combined works of nature and man”.

La Convenzione non solo include i valori materiali ed immateriali del patrimonio naturale e culturale, ma riconosce anche i sistemi di gestione ambientale tradizionali, il diritto consuetudinario e le tecniche e conoscenze consuetudinarie come mezzo per la protezione del patrimonio97.

96 Il testo integrale della Convenzione è diponilbile tramite il portale Ecolex al sito:

http://www.ecolex.org/server2.php/libcat/docs/TR2396E.txt (accesso: 19/09/2008).

97 Rössler M., World Heritage Cultural Landscapes: a global perspective, in Brown J., N.

Mitchell e M. Beresford (a cura di), The Protected Landscape Approach: Linking Nature, Culture

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