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Il processo: f) il contenuto dei provvedimenti del tribunale e la loro stabilità

di Laura Baccaglini, Associato di diritto processuale civile nell’Università di Trento e Francesco De Santis, Ordinario di diritto processuale civile nell’Università di Salerno

10. Il processo: f) il contenuto dei provvedimenti del tribunale e la loro stabilità

L’art. 7, comma 4, stabilisce che tribunale provvede con ordinanza.

Nell’ipotesi di conferma delle misure protettive e/o di rilascio di provve-dimenti cautelari, l’ordinanza stabilisce la durata, non inferiore a trenta e non superiore a centoventi giorni, delle misure protettive e, se occorre, dei provvedimenti cautelari disposti.

Inoltre, come sopra si è detto, su richiesta dell’imprenditore e sentito l’esperto, le misure possono essere limitate a determinate iniziative in-traprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori.

Sempre con ordinanza, il tribunale può revocare le misure protettive e/o rigettare le domande cautelari, tenuto conto delle difese dei creditori.

Il procedimento ex art. 7 d.l. n. 118/2021 è, infatti, il terreno di elezione per apprestare tutela alle ragioni dei creditori bilanciando le loro esigenze con quelle dell’imprenditore.

Ad esempio, il creditore destinatario dell’inibitoria di una azione ese-cutiva potrebbe dimostrare il pregiudizio irreparabile che lo stay avrebbe rispetto alla stabilità della sua impresa; oppure è possibile immaginare che all’udienza i creditori dimostrino che non sussistono margini per il

ri-sanamento dell’impresa del debitore, potendo allegare in questa sede, il deposito dell’istanza ex art. 6 l. fall., che, specie se accompagnata da una misura cautelare ottenuta ex art. 15, comma 8 l. fall., potrebbe indurre il giudice a revocare le misure protettive rigettando ogni istanza cautelare.

All’opposto, quand’anche il giudice dovesse accogliere il ricorso depo-sitato dall’imprenditore, l’ordinanza è suscettibile di modifiche in virtù di quanto previsto dai commi 5 e 6 dell’art. 7.

Precisamente, il tribunale:

a. su istanza delle parti ed acquisito il parere dell’esperto28, può proro-gare la durata delle misure disposte per il tempo necessario ad assicurare il buon esito delle trattative, fermo rimanendo che la durata complessiva delle misure non può superare i duecentoquaranta giorni;

b. su istanza dell’imprenditore, di uno o più creditori o su segnalazio-ne dell’esperto29, può, in qualunque momento, sentite le parti interessate, revocare le misure protettive e cautelari, o abbreviarne la durata, quando esse non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattati-ve o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti.

Non essendo preventivabile la durata del giudizio (che in ogni caso deve essere ispirato al principio di celerità), è da ritenersi che la durata delle misure protettive fissata dal tribunale si sommi a quella già decorsa al momento del deposito nel registro delle imprese, fermo il limite tem-porale complessivo (a far data dal deposito nel registro delle imprese) di duecentoquaranta giorni, trascorsi i quali, anche se le trattative ancora pendono, le misure protettive perdono di efficacia.

Non così i provvedimenti cautelari, che – salvo diverso e successivo provvedimento del tribunale (di cui sopra si è detto) – hanno fisiologi-camente una durata coerente con quella delle trattative, essendo, per espresso dettato normativo, “necessari per condurre a termine le tratta-tive”.

La modifica o revoca delle misure protettive e/o dei provvedimenti cau-telari, intervenuta successivamente alla prima ordinanza di conferma e/o di concessione, presuppone l’avvio di un nuovo procedimento (ancorché auspicabilmente più snello): resta da stabilire se, in relazione a tale suc-cessivo procedimento, debba essere nuovamente instaurato il contrad-dittorio con tutti i destinatari della prima notifica o, come parrebbe più coerente con i provvedimenti da adottare, con l’imprenditore, l’esperto e le sole parti costituite ed interessate dal singolo provvedimento di cui è chiesta la modifica.

Tutti i provvedimenti di cui sopra sono reclamabili davanti al collegio nelle forme dell’art. 669-terdecies c.p.c. (cfr. art. 7, comma 7, in fine, d.l. n.

118/2021), senza possibilità di ricorrere in Cassazione, atteso il loro carat-tere provvisorio, comunque non idoneo alla formazione del giudicato so-stanziale.

Dovrebbe altresì essere riconosciuta all’imprenditore la facoltà di rivol-gersi al collegio nelle forme dell’art. 669-terdecies c.p.c. anche nell’ipote-si di implicito rigetto del ricorso per mancata fissazione dell’udienza nel 28. Il decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28 settembre 2021, al punto 6.4, precisa che, quando è domandata la proroga delle misure protettive, l’e-sperto rappresenti l’andamento delle trattative e si esprima sulla praticabilità del risanamento dell’impresa, anche in via indiretta, a quella data, nonché sulla concre-ta necessità di prorogare le misure protettive per salvaguardare il buon esito della trattativa.

29. Ai sensi dell’art. 9 del d.l., l’imprenditore – il quale durante le trattative conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa – è tenuto ad informare preventiva-mente l’esperto, per iscritto, del compimento di atti di straordinaria amministrazione, nonché dell’esecuzione di pagamenti che non sono coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento. L’esperto, quando ritiene che l’atto possa arrecare pregiudizio ai creditori, alle trattative o alle prospettive di risanamento, lo segnala per iscritto all’imprenditore e all’organo di controllo; se, nonostante la segnalazione, l’atto viene compiuto, l’imprenditore ne informa immediatamente l’esperto il quale, nei successivi dieci giorni, può iscrivere il proprio dissenso nel registro delle imprese.

Quando, poi, l’atto compiuto pregiudica gli interessi dei creditori, l’iscrizione è ob-bligatoria, e, allorché sono state confermate le misure protettive o concesso prov-vedimenti cautelari, l’esperto, iscritto il proprio dissenso nel registro delle imprese, procede alla segnalazione al tribunale, di cui al testo.

termine di dieci giorni dal deposito, fermo rimanendo che, nel concreto, potrebbe essere più rapido (ed utile) ripresentare l’istanza ed il ricorso, sol-lecitando nuovamente il tribunale a dare ingresso al giudizio.

11 . Il processo: g) il perimetro della delibazio-ne giudiziale

In ultimo – e qui veniamo al punto probabilmente più spinoso sotto il profilo processuale – resta da definire il perimetro della delibazione giu-diziale.

Sono possibili due approcci.

Secondo un primo modo di vedere (che potremmo definire “funzionali-sta”), muovendo dalla natura marcatamente “privatistica” della procedura di composizione negoziale della crisi, si potrebbe giungere alla conclu-sione che la valutazione del tribunale debba arrestarsi all’orto concluso della mera verifica: i) dell’attitudine delle misure protettive di cui si chiede conferma, e/o dei provvedimenti cautelari che si chiede di disporre, a per-seguire astrattamente la funzione a cui essi sono preordinati dalla legge (proteggere le trattative e presidiarne il buon esito); ii) dell’assenza di pre-giudizi ingiustificati a carico dei creditori e dei terzi, secondo una tecnica di astratto “bilanciamento” degli interessi.

Secondo un approccio opposto (che, per comodità, potremmo definire

“teleologico”), il tribunale non potrebbe altresì esimersi da una valutazione:

iii) della concreta possibilità che, nella situazione data, le misure protettive ed i provvedimenti cautelari servano allo scopo di preservare il patrimonio e favorire le trattative; iv) del concreto pregiudizio che, a seguito dell’ap-plicazione delle misure, potrebbero subìre tutti o alcuni tra i creditori ed i terzi, che ad esse si oppongono.

Il secondo approccio sembra preferibile, a meno di non voler predicare un inopinato, progressivo distacco della giurisdizione concorsuale dalla realtà della crisi d’impresa.

Ma la valutazione in concreto di cui qui si parla non può prescindere da una valutazione a carattere sommario – da condursi, ben inteso, quoad ra-tionem – circa le prospettive di successo delle trattative in corso. Diversa-mente, sarebbe come armare fino ai denti un esercito per combattere un guerriero con le armi ormai spuntate o addirittura senz’armi, che magari cerca soltanto di prolungare l’agonia che precede la sconfitta.

Quanto siffatta valutazione assomigli alla valutazione di fattibilità giu-ridica e/o economica del concordato preventivo – tema, quest’ultimo, su cui si è da tempo formata un’ampia letteratura giuridica ed una altrettanto ampia casistica pretoria, non ancora pervenuta a risultati da tutti condivi-si30 – è cosa difficile da preconizzare in questa fase.

Non può, però, escludersi a priori che la giurisprudenza sia indotta a 30. Nelle sue declinazioni più consolidate, l’orientamento della Suprema Corte pare essere nel senso che rientra nell’alveo del giudizio di fattibilità giuridica demanda-to al tribunale, la valutazione dell’effettiva realizzabilità della causa concreta della proposta concordataria “attraverso la previsione di una soddisfazione in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti; viceversa, sono rimessi all’apprezzamento dei creditori la verosimiglianza dei termini di adempimento prospettati e i rischi tem-porali connessi alla liquidazione dell’attivo, trattandosi di aspetti concernenti la mera convenienza economica” (Cass. 24 agosto 2018, n. 21175); che il tribunale “è tenuto ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, nel senso che, mentre il controllo di fattibilità giuri-dica non incontra particolari limiti, quello concernente la fattibilità economica, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obietti-vi prefissati, indiobietti-viduabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indica-te dal proponenindica-te per superare la crisi, con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale, propria della causa concreta” (Cass. 17 dicembre 2020, n. 28891; Cass. 28 aprile 2021, n. 11216) e che “anche la fattibilità economica può ben essere sindacata dal giudice del fallimento laddove il piano si riveli irrealizzabile prima facie, al punto che la stessa distinzione astratta tra verifica di fattibilità giuridica e verifica di fattibi-lità economica può dirsi nella sostanza superata dalla più recente giurisprudenza di legittimità” (Cass. 14 gennaio 2019, n. 645, in motivazione. Nello stesso senso v. già Cass. 9 aprile 2018, n. 5825).

valutare con un certo “rigore” la ricorrenza dei presupposti per attingere a misure e provvedimenti che accedono (per un breve periodo di tempo anche automaticamente) ad una procedura di composizione pattizia della crisi altrimenti sottratta ad ogni controllo giudiziale, e nondimeno suscet-tibile di incidere sui diritti dei creditori e dei terzi.

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