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PARTE I: LA COLOMBIA

4. Sicurezza nazionale e droghe: le relazioni “monotematiche” tra Colombia e Stat

4.3 Relazioni “monotematiche”?

Sin dalla metà degli anni ’70, quando la questione della droga cominciò ad assumere un ruolo sempre maggiore nelle relazioni bilaterali, i governi colombiani e statunitensi svilupparono due diagnosi diametralmente diverse circa il fenomeno, inclusa: la sua natura e portata, il come combatterlo, fino a quale sia la questione più importante da sollevare. Le preoccupazioni saranno anche state le stesse, ma non gli interessi. Anche le loro definizioni di sicurezza nazionale, per quando influenzate entrambe dal problema, differivano.

Nonostante queste differenze, però, la Colombia cooperò attivamente con gli Stati Uniti, anche se si dovette assumere la maggior parte dei costi. Retoriche a parte, secondo Tokatlian, questa era la realtà176. Era evidente che le droghe non fossero semplicemente un

“Colombian problem”. Inoltre, seguendo innanzitutto una logica commerciale e finanziaria, il traffico ed il consumo di droghe, a partire dalla fine degli anni ’80 si mosse verso una più vasta diversificazione.

Questo sia nella qualità che nei mercati di riferimento – raggiungendo ancor più clienti negli Stati Uniti – ma soprattutto invadendo l’allora nuova frontiera del mercato, l’Europa Occidentale e l’interno dell’America Latina. E’ importante ricordare un punto riportato da Raul Benitez Manaut in una lezione davanti ai membri del centro RIAL (Relaciones Internacionales de America Latina) a Brasilia nel Dicembre 1987: del traffico mondiale di droghe, esistevano profitti per più di 300 miliardi di dollari, metà dei quali rimanevano negli Stati Uniti177. Questa cifra equivaleva a circa il 75% dell’intero debito straniero dell’America Latina e l’intero budget militare allora impiegato dagli Stati Uniti. Andrebbe notato che, nel caso colombiano, il cartello di Medellin controllava il 75% del business della cocaina, in una cifra stimata 70 miliardi di dollari. Inoltre la stima dei “drug money” portati nel paese si aggirava tra i 600 milioni e 1 miliardo di dollari – equivalenti al 2-3% dell’allora PIL colombiano.

Allo stesso tempo, per quanto riguarda la Colombia, il ricorso al trattato di estradizione con gli Stati Uniti, nel 1988, non aveva ancora raggiunto alcun obiettivo prefissato: non aveva ridotto l’ingresso di droghe in nel territorio americano, non aveva avuto alcun effetto deterrente sui gruppi collegati al business illecito, non aveva rafforzato alcuna relazione bilaterale e non era servito a rafforzare gli strumenti legali con cui confrontarsi col problema – infatti, il ramo giudiziario era stato letteralmente devastato dagli omicidi, dalle minacce, dalla scarsità di risorse e dalla corruzione.

176 Tokatlian, Juan Gabriel, “National Security and Drugs: Their Impact on Colombian-

US Relations”, Journal of Interamerican Studies and World Affairs, Vol. 30, No. 1, 1988, pp. 133-160.

177 Benitez Manaut, Raul, “Narcotrafico y Terrorismo en la Relaciones Interamericanas

(1981-1987), lezione davanti al padiglione “International Order and Politica Violence” al IX meeting annuale dei membri del centro RIAL (Relaciones Internacionales de America Latina), Brasilia, Dicembre 1987.

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A ben guardare, secondo Tokatlian, il trattato non provocò altro che l’innalzamento del livello del conflitto, piuttosto che assicurarne un esito positivo178. Ricorrere al trattato poneva l’esecutivo di Bogota in un dilemma che non aveva facili risposte e avrebbe portato costi inaccettabili.

Dare tutta questa attenzione al trattato di estradizione e porlo al centro delle relazioni tra i due paesi non significava confinare il problema della droga solo nelle preoccupazioni politiche specifiche. Come una successiva analisi della Comision Nacional Contra Uso Ilicito de las Drogas (CONACUID) chiarì, la droga rappresentava un fenomeno globale che richiedeva una strategia coerente e multidimensionale, dal momento che la sicurezza, la difesa regionale e persino la democrazia ne erano afflitte; si trattava, dunque, di un problema per tutta l’America Latina179.

Infine, due altri aspetti essenziali vanno considerati. Innanzitutto il fattore della prevenzione. Non determinare una strategia di prevenzione significò correre il rischio di ripetere i medesimi errori che erano stati fatti col debito stranieri. Allora, furono pubblicate una pletora di analisi, documentazioni, diagnosi ed ipotesi, senza raggiungere una strategia concreta che non portasse soltanto risultati a breve termini o semplici palliativi. Rispetto al traffico di droga, fino al 1988, la situazione mostrava alcune, drammatiche, somiglianze, con tensioni regionali che gettavano benzina sul fuoco degli endemici problemi sociali del paese, fino a minacciarne seriamente la stabilità istituzionale e democratica.

Il secondo fattore era l’azione. A meno che non fosse stato stabilito che il problema della droga sarebbe stato un gioco a somma zero (come effettivamente per un periodo fu), allora elaborare una soluzione per cui i costi non fossero esclusivamente a carico dei paesi in via di sviluppo era una necessità. L’unico modo in cui la somma avrebbe potuto essere positiva per i paesi latinoamericani, sarebbe stato attraverso una strategia condivisa e a lungo termine; ciò non avrebbe significato mettere da parte gli Stati Uniti, cosa peraltro impossibile, ma avrebbe significato prendere coscienza che il coinvolgimento americano avrebbe dovuto essere immesso in una strategia concertata e proporzionata.

178 Tokatlian, Juan Gabriel, “National Security and Drugs: Their Impact on Colombian-

US Relations”, Journal of Interamerican Studies and World Affairs, Vol. 30, No. 1, 1988, pp. 133-160.

179Comision Nacional Contra Uso Ilicito de las Drogas (CONACUID), “Discurso

sociologico de la droga” in "Reflexiones para el Analisis del Problema del Trafico y Consumo de Drogas en las Americas”, edito in F. Santacruz Caicedo, “Hacia una

Concepcion Latinoamericana sobre el Trafico Ilicito de Drogas”, Fondo de Publicaciones del Senado/Editorial Elocuencia, Bogota, Colombia, 1987.

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