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La Scuola popolare e l’alfabetizzazione degli adulti dagli anni Cinquanta agli anni

Capitolo II La conquista dell’alfabeto e l’istituzione della Scuola popolare per adulti in

5. La Scuola popolare e l’alfabetizzazione degli adulti dagli anni Cinquanta agli anni

In seguito all‟inchiesta e all‟istituzione della Scuola popolare seguì, da parte del Ministro Gonella, l‟ipotesi di una riforma scolastica che si proponeva, in riferimento all‟educazione degli adulti, di sconfiggere l‟analfabetismo, di migliorare l‟istruzione professionale e di potenziare le scuole popo-lari123. Tale progetto, tuttavia, affidato all‟On. Antonio Segni, successore di Gonella, ben presto de-cadde a causa dell‟insufficienza di stanziamenti finanziari e di nuove preoccupazioni politiche124 che ridussero l‟interesse nei confronti della scuola.

Ciò nonostante, le scuole popolari continuarono a funzionare, anche grazie all‟intervento degli enti privati, e nel 1953 si registrò una diminuzione dell‟analfabetismo del 35-40% in riferimento alla popolazione avente tra i quattordici e i quarant‟anni125.

In questo periodo emerse però una nuova preoccupazione legata al «bisogno di manodopera in gra-do di adeguarsi ai nuovi modelli di produzione»126. Infatti, se nei primi anni di funzionamento le scuole popolari vennero definite per lo più “scuole di emergenza”, negli anni Cinquanta esse diven-nero uno strumento a difesa dell‟operaio, disumanizzato dall‟automatismo della macchina127.

«L‟operaio che avverte il suo lavoro come separato della sua esistenza effettiva, che non scorge nel-la cultura uno strumento atto a trasformare nel-la sua condizione sociale e nel-la posizione del nel-lavoro nelnel-la vita della comunità, si contenterà […] di surrogati di cultura e non perseguirà attività sociali fornite di autentico valore»128. Pertanto nodo centrale dell‟educazione degli adulti divenne la necessità di puntare su una formazione integrale dell‟uomo così da coinvolgere sia la dimensione professionale sia la dimensione privata.

Umanizzare il lavoro in modo che non fosse considerato come «un semplice mezzo in vista di un fine ulteriore»129 avrebbe comportato anche l‟umanizzazione del tempo libero e lo sviluppo di capa-cità critiche che avrebbero permesso all‟individuo di sottrarsi al conformismo e alle idee imposte e suggerite da altri130. Era necessario offrire un‟educazione che andasse oltre le mura scolastiche e la semplice alfabetizzazione e che stimolasse nell‟individuo quella curiosità e quella insoddisfazione attiva che «si esprimono nella continua attitudine alla ricerca»131 e che quindi avrebbero permesso al soggetto di auto-educarsi anche dopo la conclusione del percorso scolastico.

123 G. Chiosso, Cattolici e riforma scolastica. L‟Italia nel secondo dopoguerra (1949-1951), in L. Pazzaglia, R. Sani (a cura di), Scuola e società nell‟Italia unita. Dalla Legge Casati al Centro-Sinistra, cit., p. 401.

124 «Proprio nel biennio 1950-51, infatti, l‟inasprimento dello scontro ideologico e politico e la successiva concentrazio-ne della politica degasperiana sui problemi della “difesa della democrazia” e della lotta al comunismo, dovevano porre in secondo piano le aspirazioni di riforma che pure avevano caratterizzato il programma democristiano al principio della prima legislatura» (Cfr. G. Chiosso, Cattolici e riforma scolastica. L‟Italia nel secondo dopoguerra (1949-1951), cit., p.

439).

125 D. Demetrio, Le scuole dell‟alfabeto. Trent‟anni di «lotte all‟analfabetismo» (1947-1977), cit., p. 76.

126 L. Pazzaglia, Ideologie e scuola fra ricostruzione e sviluppo (1946-1958), in L. Pazzaglia, R. Sani (a cura di), Scuola e società nell‟Italia unita. Dalla Legge Casati al Centro-Sinistra, cit., p. 468.

127 D. Demetrio, Le scuole dell‟alfabeto. Trent‟anni di «lotte all‟analfabetismo» (1947-1977), cit., p. 76.

128 L. Borghi, Considerazioni introduttive ai problemi dell‟educazione popolare, cit., p. 282.

129 Ivi, p. 285.

130 Ivi, p. 288.

131 R. Farné, Alberto Manzi. L‟avventura di un maestro, cit., p. 31.

61 Il lavoro del contadino, anche se probabilmente più duro e faticoso, non estranea da sé il soggetto.

Infatti al Sud, dove maggiori erano le zone rurali e i lavori agricoli, emergevano problemi di altra natura. Tra questi la mancanza di infrastrutture scolastiche. Nei piccoli Comuni o nelle zone di campagna dove non c‟era un edificio scolastico, le aule, distanti l‟una dall‟altra, erano ubicate in lo-cali privati dove spesso mancavano la luce e il riscaldamento e dove non si potevano lasciare regi-stri e materiali perché se venivano risparmiati dall‟acqua piovana erano rosicchiati dai topi132. La mancanza di condizioni adeguate per lo svolgimento delle lezioni e l‟isolamento a cui erano costret-ti i maestri causava non poche morcostret-tificazioni. I docencostret-ti spesso abitavano in città e si recavano in campagna solo la sera per fare scuola ad un ristretto gruppo di giovani e adulti che riusciva a rag-giungere le aule. Di conseguenza non avevano modo di conoscere la cultura locale e di “entrare”

nella vita degli alunni e ciò influiva negativamente sull‟insegnamento che risultava estraneo ai pro-blemi del luogo e lontano dai bisogni reali della scolaresca133. Inoltre, la Scuola popolare spesso suppliva la carenza di scuole e delle classi quarte e quinte elementari, quindi accoglieva più ragaz-zini che adulti134. Nei primi anni Cinquanta, a differenza di ciò che accadeva al Nord, l‟analfabetismo al Sud era aumentato del 10% e in alcuni casi del 20-30% rispetto al censimento del 1931135. Gli analfabeti italiani dai sei anni in su, nel 1951, erano 5.456, di cui 1.738 nel Centro-nord e 3.718 nel Mezzogiorno136. A questi bisognava aggiungere gli alfabetizzati privi di titolo di studio:

3.906 al Centro-nord e 3.676 al Sud137.

A complicare la situazione vi era il crescente flusso emigratorio che colpiva in particolare l‟Italia meridionale. Le lotte contadine per la terra, il progresso tecnico e l‟industrializzazione, la conse-guente diminuzione del reddito aumentavano la distanza tra città e campagna e spingevano molti contadini ad abbandonare il proprio Paese causando, negli anni Cinquanta, una media di circa 150.000 emigrati all‟anno138. Dal 1946 al 1960 espatriarono 428.636 agricoltori verso molti Paesi europei, quali Francia, Belgio, Lussemburgo, Germania e Olanda, e la Svizzera accolse, per molti anni, tra 50.000 e 70.000 emigranti. Basti pensare, inoltre, che solo la Francia assorbì «615.417 emigrati italiani dal 1946 al 1958 dei quali […] la stragrande maggioranza o agricoli […] o prove-nienti dalla campagna e dediti ai lavori pesanti»139.

L‟inchiesta sulla disoccupazione e sulla miseria, guidata nel 1952 dal Ministro Roberto Tremelloni,

«sottolineava come […] il sistema economico non riuscisse ad assorbire nell‟attività produttiva il massiccio esodo di braccianti e salariati dalle campagne alle città […] e faceva, in particolare,

132 A. Arcomano, Scuola e città nel Mezzogiorno, cit., p. 35.

133 L. Borghi, Il compito dell‟educazione nel Mezzogiorno, in “Scuola e città. Rivista mensile di problemi educativi e di politica scolastica”, a. IX, n. 11, 1958, pp. 361-363.

134 D. Demetrio, Le scuole dell‟alfabeto. Trent‟anni di «lotte all‟analfabetismo» (1947-1977), cit., p. 94.

135 Cfr. Istat, VII censimento generale della popolazione, 21 aprile 1931, p. 96, cit.; censimenti Istat dal 1951 al 2001 della popolazione residente in età da sei anni in poi per livello di istruzione e ripartizione geografica, cit.; D. Demetrio, Le scuole dell‟alfabeto. Trent‟anni di «lotte all‟analfabetismo» (1947-1977), cit., p. 81; A. Arcomano, L‟analfabetismo nel Mezzogiorno. Una riflessione storico-politica, in “Riforma della scuola. Rivista mensile”, a. 22, n. 10, ottobre 1976, p. 14.

136 Cfr. censimenti Istat dal 1951 al 2001 della popolazione residente in età da sei anni in poi per livello di istruzione e ripartizione geografica, cit.

137 Ibidem.

138 Cfr. L. Ferrari Bravo, A. Serafini, Stato e sottosviluppo, Feltrinelli, Milano 1972.

139 U. Cassinis (a cura di), L‟emigrazione agricola nel secondo dopoguerra e la sua incidenza sul movimento generale emigratorio dal 1946 al 1960. Atti della Conferenza nazionale del mondo rurale e dell‟agricoltura, Roma 8 giugno 1961, p. 6.

62 re come l‟analfabetismo giocasse un ruolo di primo piano nell‟emarginazione del mercato del lavo-ro»140. Tuttavia si limitava soltanto a suggerire corsi di qualificazione professionale.

La Suola popolare, dunque, fu chiamata a risolvere il problema della preparazione culturale dei cit-tadini emigranti e, allo stesso tempo, a limitare l‟emigrazione, fungendo da centro attorno al quale le comunità rurali, in particolar modo, potevano riorganizzarsi e restare così nei luoghi natii141. Sconfiggere l‟analfabetismo rappresentava «una seria ipoteca per ogni possibilità di sviluppo futu-ro»142 e una responsabilità che pesava interamente sulla scuola, poiché nemmeno i provvedimenti politici che in quegli anni vennero attuati per il Sud, come la Riforma Agraria e la Cassa per il Mez-zogiorno, riuscirono ad arginare il problema educativo.

Infatti, l‟opera di bonifica attuata dalla Riforma Agraria aveva tralasciato il problema primario della

“bonifica umana”143. In un articolo pubblicato sulla rivista Scuola e città del 1958 Evelina Tarroni scrive:

sarebbe inutile creare le premesse per una radicale trasformazione dell‟ambiente fisico senza tentar di modificare non solo le capacità e le attitudini ma in sostanza l‟atteggiamento stesso dei gruppi umani di fronte alle nuove esigenze tecniche e culturali della nuova struttura economica […]. In tal modo si determinerebbero delle stridenti contraddizioni tra l‟ambiente e la capacità del gruppo umano di sfruttarne le possibilità e a lungo andare queste stesse possibilità finirebbero con l‟ostacolare invece che accrescere e arricchire il tenore di vita degli abitanti144.

E rinforza tale riflessione riportando l‟esempio dell‟educazione femminile nelle zone rurali bonifi-cate, in quanto a differenza delle giovani donne più inclini all‟adattamento della nuova situazione, le anziane restavano ancorate a modi di vivere tradizionali che stridevano con i cambiamenti attua-ti145.

Né la Riforma Agraria, il cui obiettivo politico era sostanzialmente quello di «frenare la carica ever-siva delle lotte contadine e insieme dare un nuovo slancio produttivo al settore agricolo, liberandolo in parte dal peso morto della rendita fondiaria»146, né la Cassa del Mezzogiorno, volta a limitare il flusso migratorio che pesava sull‟Europa e ad assicurare al Sud forza lavoro147, si erano poste «isti-tuzionalmente il problema della diffusione dell‟istruzione e di un collegamento […] con la lotta contro l‟analfabetismo»148. Problema, questo, che ritornò alla fine degli anni Cinquanta, quando si registrò un calo di frequenza delle scuole popolari149 e che, tuttavia, secondo Arturo Arcomano150, venne affrontato con “leggerezza” e infondato “ottimismo” dai Ministri della P. I. del periodo in esame. Ad esempio, nel 1957 il Ministro Aldo Moro, in occasione del decennale della Scuola popo-lare ne difese l‟operato sostenendo che la lotta contro l‟analfabetismo stava per essere vinta, senza considerare però che il censimento del 1951 registrava ancora il 12,9 % di analfabeti e il 17,9% di alfabetizzati privi di titoli di studio151.

140 L. Pazzaglia, Ideologie e scuola fra ricostruzione e sviluppo (1946-1958), cit., p. 467.

141 Cfr. M. Rossi-Doria, La scuola e lo sviluppo del Mezzogiorno, Opere Nuove, Roma 1960, p. 20.

142 G. Mammarella, L‟Italia dopo il fascismo: 1943-1973, cit., p. 240.

143 E. Tarroni, Cinema ed educazione popolare, cit., p. 44.

144 Ibidem.

145 Ibidem.

146 A. Mangano, Le cause della questione meridionale, ISEDI, Milano 1976, p. 57.

147 Cfr. ivi, p. 60-61.

148 A. Arcomano, L‟analfabetismo nel Mezzogiorno. Una riflessione storico-politica, cit., p. 13.

149 Ibidem.

150 Ivi, p. 13.

151 Cfr. censimenti Istat dal 1951 al 2001 della popolazione residente in età da sei anni in poi per livello di istruzione e ripartizione geografica, cit.

63 L‟anno 1958 segnò una ripresa dell‟iniziativa scolastica governativa e contemporaneamente si assi-stette in Italia all‟inizio di quello che fu definito il “miracolo economico”. La nuova situazione im-pose dei cambiamenti anche a livello educativo soprattutto in riferimento alla formazione professio-nale, individuale e civile delle persone152.

Non a caso, in quello stesso anno l‟On. Moro avviò l‟insegnamento dell‟educazione civica nelle scuole raccomandando un costante riferimento alla Costituzione. Andava così aumentando la con-sapevolezza del ruolo educativo della scuola nei confronti della coscienza sociale dei cittadini e nel-lo stesso tempo cresceva la domanda d‟istruzione da parte delle classi lavoratrici. Non bisogna di-menticare, inoltre, che l‟insegnamento dell‟educazione civica era fondamentale anche e soprattutto presso la Scuola popolare, volta tra l‟altro a formare un cittadino consapevole dei propri doveri e dei propri diritti.

L‟iniziativa più importante proposta nel 1958, con l‟avvento di Amintore Fanfani alla guida del Governo, fu il Piano decennale di riforma scolastica. Alcuni dei punti del programma riguardavano il finanziamento per la costruzione di edifici scolastici, l‟istituzione delle classi quarta e quinta ele-mentare nelle sedi in cui queste mancavano, nonché una serie di interventi destinati all‟educazione degli adulti e alla lotta contro l‟analfabetismo153. Tuttavia, con la caduta del Governo Fanfani l‟anno successivo, il Piano decennale passò nelle mani del nuovo Ministro della Pubblica Istruzione, on.

Giuseppe Medici e, nonostante fosse stato approvato dallo Stato alla fine del 1959, dovette attende-re due anni prima di esseattende-re discusso alla Camera. I finanziamenti pattende-revisti per un piano di così ampio respiro risultarono inadeguati, a maggior ragione circa la lotta contro l‟analfabetismo, considerando che, secondo i calcoli di Medici, occorrevano 20.000 lire per il recupero di ogni analfabeta154. Per questo, e anche a causa del disappunto manifestato dalle forze politiche di sinistra, contrarie al coinvolgimento delle scuole non statali nel piano dei finanziamenti previsti per l‟edilizia scolastica, il Piano decennale venne ridotto ad un stralcio per il triennio 1962-1965, ma vennero comunque previsti stanziamenti aggiuntivi per la Scuola popolare e per l‟educazione degli adulti.

Con l‟approvazione della successiva legge del 31 dicembre 1962 n. 1859, venne istituita la scuola media unica, ma l‟elevazione dell‟obbligo scolastico a quattordici anni fece aumentare il numero degli italiani senza titolo di studio della scuola dell‟obbligo155. Per risolvere tale problema il Mini-stero della P. I. istituì i Corsi CRACIS (Corsi di Richiamo e di Aggiornamento Culturale di Istru-zione Secondaria), realizzati, tuttavia, «secondo gli schemi tradizionali della scuola media rivolta ai ragazzi»156. Essi, invece, avrebbero dovuto tener conto delle esigenze di vita e di lavoro degli adulti, adattando all‟utenza non solo i programmi, ma anche le metodologie.

Se il problema dell‟analfabetismo fu affrontato dalla politica per lo più in termini quantitativi e fi-nanziari, ciò non accadde in altri contesti. Negli anni Sessanta, infatti, i mezzi di comunicazione di massa contribuirono non poco alla lotta contro l‟analfabetismo. «Uno straordinario caleidoscopio di trasmissioni radiofoniche, scolastiche e parascolastiche, è stato messo su dal 1955: formazione pro-fessionale e lingue moderne, insegnamento elementare e secondario»157.

152 Cfr. M. Rossi-Doria, La scuola e lo sviluppo del Mezzogiorno, cit., p. 24-25.

153 Cfr. R. Sani, Le associazioni cattoliche degli insegnanti nel secondo dopoguerra, in L. Pazzaglia, R. Sani (a cura di), Scuola e società nell‟Italia unita. Dalla Legge Casati al Centro-Sinistra, cit., p. 444.

154 A. Arcomano, L‟analfabetismo nel Mezzogiorno. Una riflessione storico-politica, cit., p. 15.

155 Cfr. A. Lorenzetto, Lineamenti storici e teorici dell‟educazione permanente, cit., p. 355.

156 Ibidem.

157 R. de Montvalon, Un miliardo di analfabeti, cit., p. 87.

64 Un posto di rilievo, tuttavia, venne occupato dalla televisione e il programma più noto che offrì un notevole supporto all‟alfabetizzazione di massa fu senza dubbio Non è mai troppo tardi, condotto da Alberto Manzi, maestro di scuola elementare e pedagogista esperto. Egli, in un intervista di Ro-berto Farné, racconta come nacque la trasmissione, come fu organizzata e il metodo utilizzato:

Chi aveva pensato di usare la televisione come mezzo per vincere l‟analfabetismo […] era stato il direttore gene-rale della Pubblica Istruzione Nazareno Padellaro […]. Anni prima lui si era molto impegnato nella lotta contro l‟analfabetismo, ma con scarsi risultati, sia perché gli insegnanti coinvolti in queste esperienze itineranti doveva-no andare a fare scuola direttamente nelle famiglie, eradoveva-no giovanissimi e inesperti in un compito quale trovavadoveva-no molte resistenze; sia perché gli adulti analfabeti non erano disponibili ad andare a scuola, in molti casi si vergo-gnavano…

Padellaro ebbe quindi l‟idea di usare un mezzo nuovo come la televisione, e per questo fece un accordo con Rondinò per un progetto comune fra ministero della Pubblica Istruzione e Rai.

Vennero organizzati 2.000 posti d‟ascolto; in ognuno c‟era un insegnante e un apparecchio televisivo. Gli adulti analfabeti non erano obbligati a frequentare, ma c‟era la televisione, che allora rappresentava un‟attrattiva molto forte, e si poteva restare anche con la famiglia a vedere altri programmi. In quei luoghi, la gente andava soprat-tutto col proposito di vedere la Tv non di andare a scuola, poi, chi voleva, poteva fermarsi anche per imparare.

Ma il fenomeno più interessante fu la nascita di moltissimi punti d‟ascolto volontari; venivano allestiti nelle par-rocchie, nelle sede dei partiti, nel bar del paese ed erano frequentati da persone che chiamavano altre persone:

“Tu non sai scrivere? Vieni qui, facciamolo insieme, vedrai che è facile…”. Nessuno ha mai saputo calcolare quante fossero queste iniziative.

Ancora oggi, nel 1997, mi capita di ricevere messaggi o di incontrare qualcuno […] che mi dice di aver imparato a leggere e scrivere con la televisione […].

Il trucco era nel metodo con cui il programma veniva realizzato: da una parte c‟era il disegno che attirava indub-biamente l‟attenzione; io preparavo i disegni a casa la mattina, perché se volevo disegnare un pupazzetto, dovevo fare in modo di non partire dalla testa, altrimenti la gente avrebbe capito subito. Per mantenere viva l‟attenzione […] era necessario che non si capisse subito che cosa sarebbe apparso nel disegno su quel foglio di carta.

Dall‟altra c‟era ogni tanto l‟intervento di un attore popolare che raccontava una piccola storia o faceva una sce-netta […]. Devo dire che mote volte questi attori venivano gratuitamente, perché l‟analfabetismo era sentito co-me un problema nazionale e ognuno dava volentieri un piccolo contributo […].

Ogni tanto, a seconda degli argomenti, presentavo qualche pezzetto filmato o delle fotografie, materiali che sce-glievo io e che alternavo nel corso del programma cercando di non avere mai una caduta di attenzione.

[…]

È importante dire che il programma, per tutti gli otto anni in cui è andato in onda, era in diretta. Il primo corso andò in onda il lunedì, il mercoledì e il venerdì dalle 19 alle 19.30 oppure dalle 18,45 alle 19,15 durante il perio-do invernale perché la gente, soprattutto i contadini e gli operai, rientravano a casa un po‟ prima.

[…]

Oltre al primo e al secondo corso, io avevo fatto anche il terzo, che non era più alfabetizzazione in senso stretto, ma serviva per allargare un po‟ la cultura di chi era già alfabetizzato: se c‟era un terremoto o un‟eruzione vulca-nica in qualche parte del mondo, io parlavo di terremoti e vulcani, facevo un po‟ di storia, di geografia per dare a quelle persone il gusto di voler scoprire e imparare anche al di fuori dell‟insegnamento scolastico. Era inutile ormai fare l‟ABC: il passaggio doveva essere verso un corso di educazione permanente.

[…]

Ricordo che dopo i primi due anni, in sala regia c‟erano spesso dirigenti o funzionari di reti televisive o di mini-steri dell‟educazione di altri Paesi, non solo europei, che venivano a conoscere il nostro programma per la lotta contro l‟analfabetismo […].

Nel 1965 Non è mai troppo tardi vinse il premio internazionale a Tokio come migliore trasmissione che aveva contribuito alla lotta contro l‟analfabetismo, dopo che l‟Unesco nel 1961 lo aveva considerato uno dei program-mi meglio riusciti per diffondere l‟alfabetizzazione. Vari Paesi lo acquistarono prendendone lo stile, il metodo e adattandoli alla loro realtà158.

158 Intervista ad Alberto Manzi, in R. Farné, Alberto Manzi. L‟avventura di un maestro, cit., pp.146-149.

65 La scuola per il popolo divenne così una «scuola nel popolo»159 e a fungere da maestro era lo schermo.

Nel 1960, grazie a Non è mai troppo tardi, circa 35.000 persone non solo ebbero la possibilità di imparare a leggere e a scrivere, ma perfino di conseguire la licenza elementare160. Risultato reso possibile anche grazie ai corsi speciali televisivi realizzati nell‟ambito della Scuola popolare, dove gli insegnanti affiancarono gli adulti nella visione della trasmissione e nella corretta esecuzione de-gli esercizi suggeriti dal maestro Manzi. Il programma andò in onda fino al 1968 ed ebbe il merito di recuperare circa un milione e mezzo di analfabeti161.

Nel frattempo nelle linee direttive degli interventi di politica scolastica, operati dal Ministro della P.

I. Luigi Gui nel piano del quinquennio 1966-1970, si sottolineò la necessità di trasformare l‟educazione degli adulti che, se da un parte doveva continuare ad eliminare l‟analfabetismo resi-duo, dall‟altra parte, doveva elevare il livello culturale di base e la Scuola popolare doveva rispon-dere in maniera più adeguata alle esigenze degli adulti. Ma anche tali progetti ben presto decaddero.

Solo nel 1968 il Ministro della Pubblica Istruzione «con decreto ministeriale 6 marzo 1968, modifi-cava la premessa ai programmi della Scuola popolare»162, chiamata a divenire una scuola di “for-mazione umana” e ad andare oltre la semplice alfabetizzazione. Infatti la circolare ministeriale n.

6826/23 del 23 maggio 1969 istituiva il C.S.E.P. (Centro Sociale di Educazione Permanente), chiamato a sostituire il Centro di lettura. Quest‟ultimo non doveva più essere considerato come una

«scuola del leggere»163, ma come un Centro in cui si concentravano e si coordinavano tutte le ini-ziative di educazione degli adulti.

In questo periodo anche le forme di protesta e le contestazioni studentesche contribuirono ad au-mentare le critiche nei confronti delle metodologie didattiche e dei contenuti culturali tradizionali e

«la questione centrale divenne per molti quella di dar vita ad una scuola che servisse alla promozio-ne della partecipaziopromozio-ne popolare e alla democratizzaziopromozio-ne delle strutture»164. Inoltre la crisi econo-mica portò ad una svalorizzazione dei titoli, per cui anche la licenza elementare non bastava più a garantire un posto di lavoro e il basso livello di scolarizzazione (ovvero il possesso di semplici ca-pacità alfabetiche e matematiche) non assicurava un‟adeguata preparazione del lavoratore, chiamato ad affrontare la rigidità del mercato del lavoro165.

Soprattutto in riferimento all‟educazione degli adulti, infatti, tornavano ad essere sottolineati molte-plici problemi insoluti, quali la formazione del personale docente, la validità dei titoli di studio, l‟inquadramento di tutte le iniziative educative per adulti nella più ampia categoria dell‟educazione permanente166. L‟attenzione, dunque, non si concentrava più sull‟operaio come lavoratore, ma sull‟operaio come persona: «questi doveva ritrovare la sua liberazione nella partecipazione alla vita comunitaria non tanto attraverso l‟alfabeto, ma con l‟esperienza di vita comune in città. Si comincia

159 R. de Montvalon, Un miliardo di analfabeti, cit., p. 89.

160 Non è mai troppo tardi, in:

http://www.raistoria.rai.it/articoli/non-%C3%A8-mai-troppo-tardi/11411/default.aspx consultato il 30-08-2015.

161 Intervista ad Alberto Manzi, in R. Farné, Alberto Manzi. L‟avventura di un maestro, cit., p. 145.

162 L. Mazzocchi, D. Rubinacci, L‟istruzione popolare in Italia dal secolo XVIII ai nostri giorni, cit., p. 68.

163 Ivi, p. 70.

164 L. Pazzaglia, La politica scolastica del centro-sinistra, in L. Pazzaglia, R. Sani (a cura di), Scuola e società nell‟Italia unita. Dalla Legge Casati al Centro-Sinistra, cit., p. 492.

165 Cfr. D. Demetrio, Le scuole dell‟alfabeto. Trent‟anni di «lotte all‟analfabetismo» (1947-1977), cit., pp. 138-139.

166 A. Arcomano, L‟analfabetismo nel Mezzogiorno. Una riflessione storico-politica, cit., p. 17.