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Tornare a scuola da grandi: tra imbarazzo e desiderio di cultura

Capitolo III La Scuola popolare per adulti nel Subappennino Dauno (1947-1982)

3. La Scuola popolare nel Subappennino Dauno: analisi qualitativa

3.2. Tornare a scuola da grandi: tra imbarazzo e desiderio di cultura

130 Bisogna istruirsi più che si può, bisogna studiare e frequentare i corsi popolari. Il mondo è un libro aperto a tutti: ma l‟uomo istruito sa leggervi quello che l‟ignorante non vedrà mai184.

131 Allorché ritornano, a distanza di oltre sei mesi, tra i banchi della scuola, i giovani alunni mostrano di non trovarsi certo in ambienti ad essi più naturali e famigliari. La loro condizione culturale […]

non è certamente brillante, lascia molto a desiderare. Altrettanto si può dire in relazione alla loro morale. Certo non bisogna dimenticare che si tratta generalmente di giovani vissuti quasi sempre e quasi esclusivamente a contatto con la strada. La volontà di apprendere poi direi che è buona. Mi-gliore in quegli alunni che si attendono una licenza. Le ragioni di questo diverso interessamento sono evidenti. Si tratta quasi sempre di una spinta che si ha da interessi puramente personali o da emergenze familiari. Non è da trascurare comunque il fattore “epoca”188.

Ogni luogo è organizzato secondo regole ben precise, che tuttavia si differenziano da un contesto all‟altro e richiedono al soggetto risposte diverse. Così, per i giovani cresciuti per strada, ovvero in un contesto regolato da norme più che altro implicite e informali, è ovvio che la scuola, caratterizza-ta invece da un complesso di regole formali e piuttosto rigide, non appare come un ambiente natu-rale e familiare.

Altro punto fondamentale sottolineato dal maestro è la motivazione. «Non è possibile raggiungere nel campo dell‟alfabetizzazione risultati validi se la persona analfabeta non è spinta ad apprendere da una genuina motivazione»189. Quest‟ultima, connessa al fattore epoca, rimanda ai cambiamenti sociali che orientano in ogni periodo storico le esigenze e gli interessi degli individui, dai quali esi-gono lo sviluppo di capacità di adattamento e di trasformazione.

Molteplici anche le motivazioni per cui gli adulti si iscrissero ai corsi popolari e il bisogno di co-municazione era tra le più comuni:

Molti di questi giovani sono dei prossimi militari e perciò vengono per apprendere come leggere e poter scrivere qualche lettera in famiglia una volta lontani190.

Poetiche invece sono le parole di una maestra che nel descrivere le sue alunne sembra quasi offrirci una fotografia di classe:

Al centro, in piedi e con un quaderno tra le mani le mie alunne, quasi tutte vestite di nero!

Molte di esse hanno bianchi i capelli: strana questa mia scolaresca; è la prima volta che io mi tro-vo di fronte ad alunne della scuola popolare. Sono impressionata e disorientata perché non so co-me comportarmi con loro.

È gente che ha più esperienza di me, che della vita conosce già tutto il male e tutto il dolore; gente a cui è mancato il beneficio grande di conoscere il bello e il vero.

Il mio compito si presenta quant‟altri mai duro e difficile, perché queste donne non hanno l‟anima plasmabile dei bimbi, né l‟elasticità mentale di questi.

Tutte queste considerazioni mi hanno tenuta un po‟ di tempo ferma sotto la soglia. […]

Quelle donne, dai capelli bianchi, madri già parecchie volte, mi guardavano come una taumaturga che potesse, in quella sola sera, compiere il miracolo di rendere loro chiari i segni loro sconosciuti dei libri. […] Alcune hanno dichiarato di essere sconfortate e senza speranza191.

188 AS, Registro di classe del maestro G. S., corso A+B maschile, Lucera, anno scolastico 1958-1959, Diario delle le-zioni, p. 6.

189 A. Lorenzetto, Lineamenti storici e teorici dell‟educazione permanente, Edizioni Studium, Roma 1976, p. 140.

190 ASL, Registro di classe del maestro P. G., corso A maschile, Lucera, anno scolastico 1947-1948, Cronache di vita della scuola. Osservazione sugli alunni.

132 È l‟immagine, in questo caso, prima della parola, a divenire voce narrante di vissuti esperienziali.

Un‟immagine in cui prevalgono solo due colori, il nero dei vestiti e il bianco dei capelli, quasi ad esprimere una vita cupa, fatta di sacrifici, di fatiche, di dolore e di sconforto, sentimenti dichiarati, solo infine, dalla voce delle alunne. Eppure l‟assenza di speranza, comunicata dalle loro parole e dal loro aspetto, viene con forza contraddetta dalla loro stessa presenza in quell‟aula, dai quaderni che stringevano tra le mani e dagli occhi rivolti alla maestra, fissi su di lei in attesa di essere aperti per poter finalmente guardare ciò che fino ad allora non erano riuscite a vedere: i segni dei libri.

Il disorientamento dell‟insegnante fu tale da immobilizzarla per un po‟ di tempo sulla soglia. Sape-va bene che le sue alunne, seppure prive dell‟alfabeto, possedeSape-vano un altro tipo di cultura, che non si impara dai libri ma dalla vita. Il suo compito era quello di offrire loro il tipo di cultura che rende l‟analfabeta veramente libero. In fondo il senso dell‟educazione è proprio quello di liberare le per-sone dal sentimento di essere sole e disarmate.

Tornare a scuola da adulti spesso suscitava imbarazzo e vergogna perché significava dover ricono-scere la propria ignoranza. Molte sono a tal proposito le testimonianze dei maestri:

Nei primi giorni le alunne si sono presentate a scuola molto timide, ma poi, con il mio saper fare, sono riuscita ad affezionarmele192.

Molti operai si sono presentati spauriti, timidi e impacciati alcuni; molto più sfrontati ed imperti-nenti altri, specialmente i più giovani, quelli che da poco tempo hanno lasciato la scuola per negli-genza193.

Gli alunni hanno cominciato ad affluire un poco timidi e quasi vergognosi di trovarsi, grandi, tra i banchi di una scuola e libri in mano. In ciascuno però si può leggere una ferma volontà di voler apprendere e di riuscire194.

Le alunne […] dimostrano un profondo pudore per la propria ignoranza. Pur desiderando di esprimersi e di rivelarsi esse sono indotte dal timore di sfigurare e ne rimangono silenziose. Mi sforzerò di eliminare tale ostacolo. […] Anche la fatica dell‟apprendere deve venire coronata dalla gioia di apprendere195.

La “coscienza di non sapere”196 spesso è indispensabile in quanto permette al soggetto di accogliere positivamente anche l‟esperienza più modesta e di considerarla valida e utile197.

Talvolta, l‟imbarazzo degli studenti era causato anche dal loro lavoro come se esso simboleggiasse miseria, mancanza di cultura e inferiorità del soggetto:

191 ASL, Registro di classe della maestra R. C., corso A femminile, Lucera, anno scolastico 1950-1951, Diario delle le-zioni, pp. 6-7.

192 ASL, Registro di classe della maestra B. A., corso A femminile, Lucera, anno scolastico 1947-1948, Cronache di vita della scuola. Osservazioni sugli alunni.

193 ASL, Registro di classe del maestro F. C., corso A maschile, Lucera, anno scolastico 1947-1948, Cronache di vita della scuola. Osservazioni sugli alunni.

194 ASL, Registro di classe della maestra D. A. C., corso A+B maschile, Lucera, anno scolastico 1961-1962, Diario del-le del-lezioni, p. 6.

195 ASL, Registro di classe della maestra R. C., corso A+B femminile, Lucera, anno scolastico 1955-1956, Diario delle lezioni, pp. 6-7.

196 A. Lorenzetto, Lineamenti storici e teorici dell‟educazione permanente, cit., p. 52.

197 Ibidem.

133 Durante il periodo dell‟iscrizione, domandando la loro professione, uno di essi nel rispondermi

“contadino” ha abbassato la testa e la voce; ho capito che riteneva la sua un‟arte vile e ho parlato del lavoro umano, esaltando quello del contadino, che col suo lavoro procura il pane a tutta la na-zione. […] Quando si nomina la parola contadino nessuno arrossisce più198.

Quello del contadino veniva considerato un lavoro ignobile e disumano a causa dell‟enorme fatica, del basso compenso e della posizione subalterna. A confermare tale visione vi è l‟appellativo cafone utilizzato in passato in Puglia per contraddistinguere colui che lavorava la terra. Un termine dispre-giativo, dunque, che stava ad indicare non solo le condizioni misere in cui i contadini vivevano, ma anche la storia di individui «maltrattati dagli agrari, bastonati dai mazzieri di giolittiana memoria, trucidati dalle forze al servizio dei feudatari»199.

Commovente è scoprire la cura e l‟abilità con cui l‟insegnante, dopo aver scorto tale imbarazzo nei volti e nei silenzi dei suoi alunni, l‟ha subito trasformato in orgoglio e fierezza. «Il rispetto di sé è una condizione necessaria per migliorarsi»200.

Col termine “analfabeta”, comunemente, si intende una persona che non sa leggere e scrivere, ma solo leggendo i racconti dei maestri si comprende quanta difficoltà e quanto sforzo comporti l‟apprendimento di tali capacità:

Esse [le studentesse] sono ancora molto timide ma hanno molta volontà di imparare […]. Nessuna, dico nessuna, sapeva come si tenesse la penna in mano. Ora scrivono quasi con disinvoltura201.

Questi giovani trovandosi per la prima volta tra i banchi di scuola non erano all‟altezza di tenere la penna in mano[…]. Un alunno mi ha detto che il sole girando intorno alla terra si sposta da le-vante a ponente, ho detto loro che non è il sole che gira intorno alla terra ma è questa che gira in-torno al sole202.

Sono presenti in questa prima sera, appena 9 alunni di cui alcuni prendono per la prima volta la penna in mano203.

La maggior parte dei presenti sono di prima. Essi non hanno la minima cognizione del leggere e dello scrivere. Sono molto duri ad apprendere204.

Gli alunni di 2a non ancora riescono a leggere quello che scrivono205.

198 ASL, Registro di classe della maestra F. E., corso A maschile, Lucera, anno scolastico 1948-1949, Cronache di vita della scuola. Osservazioni sugli alunni.

199 A. Arcomano, Scuola e società nel Mezzogiorno, cit., p. 31.

200 M. Baldacci, Personalizzazione o individualizzazione?, cit., p. 65.

201 ASL, Registro di classe della maestra P. D., corso A femminile, Lucera, anno scolastico 1947-1948, Cronache di vi-ta della scuola. Osservazioni sugli alunni.

202 ASL, Registro di classe della maestra G. P., corso A maschile, Lucera, anno scolastico 1950-1951, Diario delle le-zioni, pp. 6-8.

203 ASL, Registro di classe della maestra P. L., corso A misto, Lucera, anno scolastico 1953-1954, Diario delle lezioni, p. 6.

204 ASL, Registro di classe della maestra M. R., corso A maschile, Lucera, anno scolastico 1952-1953, Diario delle le-zioni, p. 6.

205 ASL, Registro di classe della maestra V. M., corso A misto, San Giusto, anno scolastico 1954-1955, Diario delle le-zioni, p. 6.

134 Molti alunni non sanno distinguere la ha verbo dalla a preposizione206.

Grandi difficoltà si incontravano anche nel linguaggio orale, spesso caratterizzato da espressioni dialettali:

Ci siamo intrattenute sulla traduzione delle frasi dal dialetto207.

La diversa estrazione sociale orienta il soggetto verso forme di linguaggio diversificate. Massimo Baldacci, riprendendole da Bernstein, ne indica due: il codice ristretto e il codice elaborato. Il primo è composto da un lessico povero e da una sintassi rigida che impediscono l‟elaborazione del signifi-cato della frase; il secondo si caratterizza per un lessico piuttosto ricco e per una sintassi articola-ta208. Entrambi i codici linguistici generano determinate formae mentis e differenti stili apprenditivi.

La scuola generalmente utilizza il secondo codice, imponendo così all‟alunno in possesso del codice ristretto non solo di cambiare linguaggio, ma anche le norme linguistiche assimilate. Questo cam-biamento richiede tempi molto lunghi, a maggior ragione quando si tratta di adulti, e se l‟insegnante non è in grado di guidare e supportare tale passaggio e, allo stesso tempo, di rendere comprensibile al soggetto il linguaggio elaborato scolastico, l‟insuccesso sarà assicurato in quanto «il linguaggio verbale costituisce il principale medium didattico»209.

Ovviamente le difficoltà legate alla lingua italiana incidevano anche sulle altre discipline:

Aritmetica: correzioni dialettali nel contare210.

Ciò giustifica e legittima il primato che don Milani riservava alla “parola”.

«L‟italiano insegnato (imposto) nella scuola […] se poteva essere sostituit[o] dal dialetto nel discor-so orale (molto frequentemente, addirittura la norma in ambiente rurale), non poteva essere evitat[o]

nelle pratiche di scrittura»211. Eppure succedeva anche questo:

Ho notato, in genere che gli alunni scrivono male, facendo molti errori d‟ortografia, scrivendo per-sino parole dialettali212.

Essere analfabeti, talvolta, significa anche non conoscere le regole comportamentali richieste da un contesto educativo formale:

Nei primi giorni, avendo […] dimenticato cosa fosse la scuola e la sua serietà, qualcuno voleva fumare213.

206 ASL, Registro di classe della maestra C. L., corso B+C misto, Lucera, anno scolastico 1965-1966, Diario delle le-zioni, p. 8.

207 ASL, Registro di classe della maestra F. A., corso B femminile, Lucera, anno scolastico 1950-1951, Diario delle le-zioni, p. 11.

208 Cfr. M. Baldacci, Personalizzazione o individualizzazione?, cit. pp. 61-66.

209 Ivi, p. 57.

210 Ibidem.

211 D. Marrone, Scuola popolare e formazione degli adulti. L‟esperienza di San Ferdinando di Puglia, 1947-1972, cit., p. 2.

212 ASL, Registro di classe del maestro D. T. V., corso A+B maschile, Lucera, anno scolastico 1956-1957, Diario delle lezioni, p. 7.

135 Gli alunni rivelano indisciplina e insofferenza alla vita scolastica214.

Per questo motivo il corretto comportamento scolastico era frequentemente oggetto di approfondi-mento da parte dei maestri:

Cultura generale: il modo di stare in classe. Entrare ed uscire dall‟aula senza disordine e senza chiasso. Il proprio posto in fila. Salire e scendere le scale ordinatamente. […] Come si impugna la matita, uso del quaderno215.

L‟analfabetismo, inoltre, può essere causato, e causare al tempo stesso, isolamento sociale. A con-fermarlo sono le parole di un maestro che nell‟assegnare un tema chiese alla classe di descrivere un viaggio compiuto e si accorse che molti adulti non avevano mai lasciato il proprio paese:

Noto che qualcuno non ha viaggiato mai, non si è recato neanche a Foggia, che dista da noi appe-na 18 km. A questi ho letto e spiegato un riassunto che poi essi hanno scritto216.

Significativo anche il racconto di due maestre, le quali scoprirono che alcuni dei loro studenti, pur essendo cattolici, non possedevano la prima comunione o non conoscevano i dieci comandamenti:

Massima attenzione da parte degli alunni per la spiegazione di religione, e desiderio di alcuni di essi che non ancora hanno fatto la “Prima Comunione” a voler ricevere detto Sacramento217.

Dopo la preghiera ho spiegato i comandamenti, ho visto con grande stupore che non ne conosce-vano l‟esistenza218.

Tutto ciò era aggravato dall‟inconsapevolezza dell‟importanza dell‟istruzionesoprattutto da parte di coloro che consideravano «la scuola popolare solo come un piccolo svago serale»219 e mostravano

«apatia e disinteresse per le varie attività»220.

La vita difficilmente offre una seconda chance o l‟opportunità di tornare indietro per cambiare il proprio passato e di conseguenza il proprio presente e, talvolta, anche quando ci viene offerta non siamo in grado di attribuirle il giusto valore.Molti uomini e molte donne meridionali, abituati ormai

213 ASL, Registro di classe della maestra F. E., corso A maschile, Lucera, anno scolastico 1948-1949, Cronache di vita della scuola. Osservazioni sugli alunni.

214 ASL, Registro di classe della maestra M. M. G., corso C misto, San Giusto, anno scolastico 1955-1956, Diario delle lezioni, p. 10.

215 ASL, Registro di classe del maestro A. L., corso A maschile, Lucera, anno scolastico 1949-1950, Diario delle lezio-ni, p. 6.

216 ASL, Registro di classe del maestro M. E., corso B maschile, Lucera, anno scolastico 1951-1952, Diario delle lezio-ni, p. 13.

217 ASL, Registro di classe della maestra M. A., corso A maschile, Lucera, anno scolastico 1951-1952, Diario delle le-zioni, p. 6.

218 ASL, Registro di classe della maestra P. L., corso A+B misto, Centrogallo, anno scolastico 1957-1958, Diario delle lezioni, p. 15.

219 ASL, Registro di classe della maestra R. C., corso A+B femminile, Lucera, anno scolastico 1955-1956, Diario delle lezioni, p. 6.

220 ASL, Registro di classe della maestra D. S. C., corso A+B femminile, Lucera, anno scolastico 1955-1956, Diario delle lezioni, p. 6.

136 ad una vita di privazioni e sacrifici, non sentivano più il bisogno di cultura, di cui purtroppo aveva-no imparato a fare a meaveva-no:

Ho capito che bisogna convincere le famiglie, le quali pensano che sia una cosa inutile mandare i loro figli a scuola in età avanzata221.

Purtroppo gli adulti, nella nostra regione, si iscrivono con volontà minima ai corsi popolari, man mano si allontanano con futili pretesti. Io penso che essi o non sono coscienti dell‟inferiorità cultu-rale e spirituale in cui vivono, o a scuola non trovano ciò che prima li aveva spinti a iscriversi222.

Nei nostri paesi assistiamo ad un fenomeno molto strano. All‟epoca dell‟apertura della scuola grande è la massa dei giovani che accorrono ad iscriversi, man mano però essi si allontanano con pretesti tante volte futili. Ciò significa che essi o non hanno la coscienza della loro inferiorità, op-pure non hanno trovato nella scuola quell‟interesse che al principio li aveva spinti ad iscriversi223. Utilizzando parole identiche le maestre ipotizzavano due cause dell‟abbandono scolastico: una estrinseca, l‟altra intrinseca all‟allievo. Quella estrinseca era connessa alla scuola, o meglio all‟insegnamento che, se non teneva in considerazione le reali esigenze degli alunni, risultava inef-ficace e inutile, quella intrinseca era connessa alla mancata consapevolezza della propria inferiorità culturale, dovuta anche all‟assenza di capacità riflessive.

Al contrario però molti furono i maestri che constatarono un reale entusiasmo per l‟apprendimento e la gioia e la soddisfazione degli iscritti nel momento in cui imparavano qualcosa di nuovo:

I miei alunni desideravano tanto imparare a scrivere il proprio nome: oggi li ho soddisfatti facendo ripetere a ciascuno e meccanicamente il proprio nome in quanto non conoscevano tutte le letterine.

Presto hanno imparato e tutti sono rimasti contenti224.

Le alunne sono felicissime di scrivere e vogliono fare un dettato225.

La gioia degli alunni era legata soprattutto all‟apprendimento della scrittura in quanto strumento che permetteva loro, per la prima volta, di lasciare un segno di sé. Inoltre «lo scritto si avvantaggia sulla parola perché dura di più e giunge più lontano»226.

Scrive Anna Lorenzetto:

221 ASL, Registro di classe della maestra C. A., corso A femminile, Lucera, anno scolastico 1952,1953, Diario delle le-zioni, p. 6.

222 ASL, Registro di classe della maestra C. A., corso A femminile, Lucera, anno scolastico 1951-1952, Diario delle le-zioni, p. 6.

223 ASL, Registro di classe della maestra R. C., corso A femminile, Lucra, anno scolastico 1951-1952, Diario delle le-zioni, p. 6.

224 ASL, Registro di classe della maestra M. L., corso A+B misto, Lucera, anno scolastico 1961-1962, Diario delle le-zioni, p. 7.

225 ASL, Registro di classe della maestra D. G. A., corso C femminile, Lucera, anno scolastico 1964-1965, Diario delle lezioni, p. 6.

226 A. Galimberti, Il modello dello scritto come mezzo didattico, in “Rassegna di pedagogia, Trimestrale di cultura pe-dagogica”, a. XXXII nn. 2-3, p. 109.

137 Contrariamente a quanto comunemente si è portati a credere l‟analfabeta adulto impara più facilmente a scrivere che non a leggere. L‟adulto, come il bambino, ma con più ardore, con più costanza, quasi con rabbiosa passione, appena impara i segni dell‟alfabeto e poi impara a comporre le parole, è capace di riempire quaderni a non finire […]. Ama scrivere tutto. Ama il dettato, ama compiere frasi […], ama soprattutto parole lunghe e complicate.

Ama scrivere lettere vere e immaginarie a fidanzate e parenti veri o immaginari e finalmente, tra una frase copia-ta e una detcopia-tacopia-ta, comincia a scrivere quello che realmente pensa […].

Scrivere è fatica, è travaglio, e questo sforzo che il neo-alfabeta adulto fa per esprimere il proprio pensiero, per raccontare un fatto, è la fatica e il travaglio del seme che spacca la terra.

Un analfabeta può essere anche un abile parlatore nel Sud, dove l‟eloquenza sembra essere il dono naturale delle genti, può anche essere […] un narratore di frottole […], un attore pieno di fantasia e di trovate; ma appena im-para a scrivere, la sua scrittura sarà essenziale, rigorosa.

Mai verrebbe in mente ad un neo-alfabeta adulto, che ha da poco imparato a scrivere, o che da poco ha ritrovato la scrittura, mai verrebbe in mente a quest‟uomo libero e al tempo stesso assorto nella più assoluta concentrazio-ne, solitario e impenetrabile davanti alla pagina bianca del suo quaderno, di scrivere una falsità. La scrittura è sa-cra per lui.

Potranno essere fatti, pensieri, fantasie. Ma sono i suoi fatti, i suoi pensieri, le sue fantasie.

Per questo non è possibile decifrare i suoi sgorbi senza quell‟intima commozione che suscitano le cose vere, sen-tite, faticate, vissute.

Questa è la sua voce, la sua vera voce, che oggi giunge a noi attraverso il messaggio della scrittura227.

227 A. Lorenzetto, La scuola assente, Laterza, Bari 1969, pp. 16-17.

Figure 10 e 11: tema scritto da uno studente di Scuola popolare in occasione dell’esame di fine anno.

Fonte: ASL, Registro di classe della maestra O. A., anno scolastico 1957-1958.

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