• Non ci sono risultati.

4. NEUROPSICOLOGIA DELLA NARRAZIONE E INTERAZIONE CON LE FUNZIONI ESECUTIVE 1 Introduzione

4.3 Specificazioni per l'età evolutiva

Anche in età evolutiva sono numerosi gli studi che hanno indagato il vasto dominio cognitivo delle abilità narrative, sebbene quelli specificatamente indirizzati ad esplorare le interazioni con le Funzioni Esecutive siano ancora piuttosto rari.

Mentre i compiti narrativi hanno dimostrato di essere misure valide per rilevare disturbi del linguaggio e di varie abilità comunicative, predicendo, in bambini con sviluppo tipico e atipico, anche il rendimento scolastico e varie abilità di apprendimento - incluse quelle di lettura, di comprensione e di scrittura - la ricerca sulla comparabilità dei diversi compiti narrativi ha dimostrato che i risultati dipendono molto dal tipo di prove e di attività utilizzate. A livello

nazionale e internazionale si stanno, comunque, raccogliendo sempre più riscontri sperimentali, anche per l'età evolutiva, che evidenziano come le abilità narrative non possono essere considerate dominio-specifiche, dato che coinvolgono molte abilità cognitive, come attenzione, memoria, pianificazione (Duinmeijer et al., 2012; Szaflarsrki et al., 2012; Whitely e Colozzo, 2013). Questo coinvolgimento è particolarmente significativo in bambini con disturbo del linguaggio specifico (SLI), che sono caratterizzati da problemi di lingua, ma che spesso hanno problemi in altri domini cognitivi (Duinmeijer et al., ib.) e anche in bambini con compromissioni nello sviluppo: Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (Norbury et al., 2013); ADHD (Lorch et al., 1998; Yqual et al., 2010); Disturbi di Apprendimento (Schneider et al., 1997; Wright e Newhoff, 2001); Sindrome di Down e di William (Bird et al., 2008; Marini et al., 2010) o disabilità acquisite, inclusi i danni cerebrali (Chapman et al., 2004; Demir et al., 2010; Holck et al., 2011; Mozeiko et al., 2011). Per comprendere e produrre storie, oltre ad abilità linguistiche di tipo fonologico, morfologico, sintattico e pragmatico, i bambini hanno, infatti, bisogno di sviluppare abilità cognitive come la memoria, l'attenzione, la pianificazione, poiché nelle narrative sono implicati molteplici elementi riferiti ad azioni seriali e orientate a un meta, eventi temporali, principi causali, inferenze, prospettive diverse che riguardano gli eventi, i personaggi presenti in una trama e che necessitano l'adozione di vari punti di vista, quindi elementi di tipo macro-strutturale narrativo (Berman e Slobin 1994; Trabasso e Rodkin 1994; Norbury e Bishop, 2003; Epstein e Philips 2009).

In bambini con disturbi legati alla sfera del linguaggio, sembrano diversi gli esiti di sviluppo tra abilità linguistiche comunicative di tipo quotidiano, ad esempio conversazioni di routine, che generalmente si presentano, poi, adeguate in età adulta, e abilità narrative, che, invece risultano più compromesse nel prosieguo della crescita (Wetherell et al., 2007).

Come è possibile vedere nel capitolo relativo ai test e alle prove utilizzate per il nostro studio, i problemi maggiori, relativi ai diversi esiti di rilevazione delle abilità narrative, che non sempre permettono una comparabilità e una piena generalizzazione dei risultati, sono direttamente dipendenti dalla diversità di prove utilizzate: è ben diverso, infatti impiegare, ad esempio, prove di tipo 'generativo' (produzione senza partire da immagini o senza rievocazione di una storia già ben strutturata), o prove che richiedono di ripetere, 'rievocare', una storia appena ascoltata, magari di diversa lunghezza e diverso grado di complessità. Uno dei problemi più dibattuti in questo settore è l'influenza delle immagini sulla comprensione o produzione narrativa, su cui non emerge ancora una convergenza (Bishop e Donlan, 1987; Merritt e Liles, 1989; Pearce, 2003; Botting 2002; Epstein e Philips, ib.; Dodwell e Bavin 2008; Gillam et al . 2009).

Questo impasse metodologico, a nostro avviso, è particolarmente rilevante per gli studi che stanno cercano di indagare le componenti esecutive implicate, infatti, si può ipotizzare che nella rievocazione di una storia, senza o con supporto visivo, potrebbero essere coinvolte funzioni cognitive differenti, analoga disparità potrebbe accadere in storie generate senza utilizzare rievocazioni, il che implicherebbe abilità specifiche.

Lo studio recente di Duinmeijer e colleghi (ib.), ha confrontato le capacità cognitive e narrative in bambini con Disturbo del Linguaggio Specifico (SLI), rispetto a loro coetanei con sviluppo tipico, utilizzando sia un compito di rievocazione di una storia, sia un compito di generazione di storie. Elementi rilevanti sembrano risultare il plot narrativo e la grammatica, infatti i bambini con SLI hanno prodotto un minor numero di elementi relativi alla trama, espressioni più brevi e più errori grammaticali; non sembrano esserci differenze tra i due tipi di compiti rispetto a queste dimensioni, ma, nel compito di generazione di storie, risultano peggiori la fluenza e la gestione della complessità strutturale. Avendo riscontrato correlazioni tra bassi punteggi del gruppo con SLI in queste prove e punteggi bassi in prove di attenzione uditiva e di memoria, gli autori ipotizzano che queste funzioni possano influenzare significativamente le prestazioni in compiti narrativi,

soprattutto di tipo generativo, infatti, una differenza emerge dalle prestazioni nei due tipi di prove: elementi di rievocazione della trama sembrano più correlati con la memoria di lavoro, mentre la generazione di elementi della trama, sembra invece più correlata con l'attenzione sostenuta. Tali risultati confermano l'ipotesi che i bambini con SLI hanno problemi a livello di organizzazione macro-strutturale narrativa (Bishop e Edmundson, 1987; Merritt e Liles, 1987, 1989; Reilly et al., 2004), ma hanno anche difficoltà nell'attenzione focalizzata, nella rappresentazione, memorizzazione e mantenimento in memoria delle informazioni (Gillam et al. 2009), quindi il dominio narrativo può essere meno specificatamente legato al linguaggio di quel che generalmente ancora si pensa, coinvolgendo in modo significativo domini rilevanti, come quello delle FE.

Lo studio offre prospettive sia sulla rilevanza delle abilità di rielaborazione in memoria delle narrazioni ascoltate, sia sulla rilevanza delle storie auto-generate, che potrebbero essere rappresentate in memoria più fortemente rispetto a storie raccontate da qualcun altro. Come rilevano gli autori dello studio, la narrazione, in differenti modalità di elicitazione, secondo le prospettive neuro-costruttivista e vigotskjiana, si presterebbe, dunque, come ottimo spazio prossimale di sviluppo cognitivo.

In tale direzione, sebbene con obiettivi diversi, si è mosso uno studio italiano recente di Ornaghi e colleghi (2014), che ha coinvolto 110 bambini di 7-8 anni delle scuole primarie dell’hinterland milanese in uno studio controllato. Una parte dei bambini, che hanno costituito il gruppo sperimentale, sono stati suddivisi in piccoli sotto gruppi e, per due mesi, dopo avere ascoltato delle storie a contenuto emotivo, effettuavano delle attività e delle conversazioni, guidate da un adulto, di tipo riflessivo su aspetti di comprensione (espressiva e causale) e di regolazione delle emozioni target presenti nei racconti (felicità, rabbia, paura, tristezza e senso di colpa). L'altra parte dei bambini, il gruppo di controllo, ascoltava solo le storie e poi faceva un disegno, non venivano svolte conversazioni, attività e riflessioni guidate. A entrambi i gruppi, in fase di pre training, post training e follow-up, sono state proposte prove di comprensione delle emozioni e di cognizione dell'empatia, e anche una prova cognitiva di teoria della mente. I bambini del gruppo sperimentale hanno evidenziato significativi miglioramenti in vari aspetti della comprensione delle emozioni, nella dimensione cognitiva della empatia, ma anche nella prova cognitiva di teoria della mente. Come evidenziano gli autori (ib.):

… La spiegazione dei risultati sta nell’uso della conversazione in piccolo gruppo, che ha favorito il decentramento cognitivo, l’assunzione del punto di vista dell’altro, la consapevolezza delle differenze individuali e il collegamento – da parte dei bambini - tra mondo interno non visibile e azioni manifeste (…) La novità dello studio consiste proprio nell’avere scoperto che l’intervento produce miglioramenti anche nella capacità cognitiva di teoria della mente.

Lo studio evidenzia quello che era stato rilevato anche da Diamond e colleghi (2009) nello studio sul curricolo Tools of Mind, presentato nel capitolo precedente: dispositivi strutturanti a valenza enattiva e simbolico culturale, che permettano una riflessione attiva sui processi di pensiero e di azione (in questo caso mediata dall'adulto e da azioni formative-linguistiche), possono modificare l'assetto cognitivo.

Sebbene lo studio di Ornaghi e colleghi non avesse l'obiettivo di valutare gli effetti specifici delle narrazioni, tuttavia, offre, indirettamente, un'indicazione a riguardo: le storie scelte per lo studio, senza una rielaborazione riflessiva, non hanno avuto, per i bambini coinvolti, un effetto diretto sulle competenze rilevate. Questo risultato sembra in contrasto con lo studio di Kidd e Castano (ib.), nel quale, invece, solo la lettura autonoma di narrazioni di qualità, ha permesso una modificazione proprio in prove di teoria della mente. Possiamo ipotizzare alcune diverse

spiegazioni: la qualità delle storie scelte può avere inciso nei risultati; le prove di teoria della mente utilizzate erano diverse; ci sono differenze di maturazione cognitiva tra adulti e bambini: mentre gli adulti potrebbero avere già interiorizzato i processi mentali che permettono l'attivazione di meccanismi rielaborativi e rappresentazionali autonomi, i bambini necessitano di uno scaffolding esterno per attivare i meccanismi cognitivi necessari.

In direzione dell'ultima ipotesi indicata sembra andare il recente lavoro sperimentale di Szaflarski e colleghi (ib.): uno studio longitudinale sulla comprensione narrativa di 30 bambini e adolescenti, svolto nell'arco di dieci anni (dai 5 ai 18 di età), mediante tecniche di fMRI e contenuti narrativi che non implicavano dati relativi alla teoria della mente, evidenzia un incremento lineare evolutivo di questa capacità, correlato con l'incremento dell'attivazione bilaterale della corteccia temporale superiore (Aree 21 e 22 di Brodmann, solco temporale superiore) e di altre aree frontali adiacenti, accompagnato da un decremento progressivo dell'attivazione di regioni occipitali, del cingolato e del cuneo; ciò, probabilmente riflette i cambiamenti evolutivi di riconfigurazione delle connessioni cerebrali e supporta l'ipotesi di un'integrazione delle funzioni necessarie per questa competenza a dominio non-specifico. Lo studio, inoltre, non rileva un effetto 'plateau' all'età di 18 anni, sembra, dunque, che le funzioni deputate alla comprensione narrativa continuino anche in età successive, almeno fino alla metà della seconda decade di vita (Szaflarski et al., 2006). Questo studio evolutivo conferma, sostanzialmente, gli studi rilevati dalla review di Mar e da altri studi recenti di neuroimmagine (Karunanayaka et al., 2007, 2010; Lin et al., 2011; Schmitorst et al., 2006; Binder et al., 2011), che hanno evidenziato, in compiti di comprensione narrativa, il coinvolgimento di aree cerebrali deputate anche a processi di working memory, di teoria della mente, di comprensione e di produzione linguistica, di ordinamento causale-temporale delle informazioni, inoltre, lo studio ha il merito di evidenziare, nel trend evolutivo delle aree coinvolte nella comprensione narrativa, uno sviluppo parallelo delle aree temporali e di quelle frontali, sebbene, queste ultime, sembrino coinvolte in misura meno diretta, rispetto a quanto rilevato in altri studi, sia in popolazioni di giovani adulti (Troiani, 2008), sia in popolazioni adulte con sindromi analoghe a quella di Parkinson (Ash et al., 2012), in cui si sono riscontrate dirette correlazioni tra deficit di comprensione e produzione narrativa con le aree prefrontali e le funzioni esecutive; infatti, come evidenziano Szaflarski e colleghi (2012), nel loro studio - svolto con bambini e ragazzi che presentavano un buon funzionamento nei domini linguistici e di abilità intellettive generali- non sono state rilevate regioni responsabili della comprensione narrativa specificatamente associate a punteggi di quoziente intellettivo o linguistico, invece rilevate da studi svolti con popolazioni che presentano deficit linguistici o svantaggi culturali (Karasinski e Weismer, 2010; Curenton, 2011).

Uno studio recente di Norbury e colleghi (2013), comparando le competenze narrative di un gruppo di 25 bambini con disturbi dello spettro autistico (ASD-Autism Spectrum Disorder), un gruppo di 23 bambini non autistici, con deficit linguistici (LI) e un gruppo di 27 bambini con sviluppo tipico, dai 6 ai 15 anni, ha riscontrato, che, nonostante le differenze cliniche, i bambini con autismo e bambini con disturbi linguistici producono narrazioni simili, che presentano scarsa ricchezza semantica e omissioni di elementi importanti della storia, in confronto alle produzioni dei bambini con sviluppo tipico. Sebbene errori pragmatici siano comuni a tutti i gruppi, questi errori, nel gruppo con deficit linguistici, sono correlati negativamente con i punteggi della componente macro-strutturale narrativa e con indicatori di rilevanza semantico-pragmatica, mentre per il gruppo dei bambini con autismo, gli errori pragmatici consistono in commenti, che risultano estranei al contenuto delle narrazioni. Tali risultati sembrano confermare che per produrre narrazioni coerenti e appropriate sono necessarie sia componenti linguistiche che socio- pragmatiche.

funzioni esecutive, comprensione e coerenza narrativa in un gruppo di 26 bambini con diagnosi clinica di Disturbo dell'Attenzione e Iperattività (ADHD). Sono presenti in letteratura ricerche che evidenziano specifiche difficoltà di comprensione narrativa in presenza di questo disturbo, soprattutto in compiti narrativi che richiedono pianificazione e scansione temporale, inoltre, la produzione orale di narrazioni per questi bambini è meno organizzata rispetto a quella di pari età con sviluppo tipico, il che fa propendere per un coinvolgimento significativo e problematico delle funzioni esecutive. Nello studio di questi autori, dopo avere ascoltato una storia complessa con quattro episodi, ai bambini è stato chiesto di ripeterla, ogni episodio costituiva un'unità per contenuto ed era composto di sei elementi classici della Grammatica delle Storie: ambientazione, evento iniziale, risposta interna, pianificazione delle azioni, reazioni e conseguenze. Sono state indagate abilità di comprensione specifiche utilizzando due tipologie di domande: letterali-testuali, su informazioni generali e specifiche; inferenziali. Inoltre, sono state valutate funzioni esecutive e abilità verbali (attraverso la scala di intelligenza verbale della WISC-R). Un'analisi di regressione ha evidenziato, che oltre al punteggio nella scala verbale, le funzioni esecutive giocano un ruolo predittivo nelle variabili narrative analizzate: la capacità di pianificazione risulta un importante predittore della coerenza narrativa, mentre attenzione, monitoraggio, controllo inibitorio e fluenza verbale predicono la comprensione.

I due studi più specifici, sebbene con validazioni limitate, che hanno cercato di indagare la diretta correlazione tra funzioni esecutive e abilità narrative in età evolutiva sono i lavori complementari di Trainor (2010, 2012) e di Lambeth e colleghi (2012).

Lo studio di Trainor, con bambini in età prescolare a sviluppo tipico, ha utilizzato come misura di valutazione per le FE le scale del questionario BRIEF (Behaviour Rating Inventory of Executive Function) compilato dai genitori (Gioia et al., 2000); come misura di valutazione di specifiche abilità linguistiche ricettive il classico test Peabody Picture Vocabulary Test (IV) e come valutazione per le abilità narrative una revocazione orale da un test classico, il Bus Story Test. Mentre non sono state riscontrate correlazioni tra punteggi nella prova di vocabolario e punteggi al BRIEF, sono state rilevate correlazioni dirette tra punteggi nelle scale valutative per le FE, in particolare per le componenti di working memory e di pianificazione, e la prova di rievocazione orale della storia, evidenziando, dunque, un coinvolgimento di componenti esecutive in compiti narrativi, già a partire dai 4-5 anni di età.

In modo analogo, con piccoli gruppi di bambini di scuola primaria dai 6,5 anni ai 9 anni, e utilizzando strumenti affini ai precedenti, ma indirizzati a età maggiori (es: Test of Narrative Language e un assessment standardizzato del linguaggio – CELF), il lavoro di Lambeth e colleghi (ib.) raggiunge conclusioni molto simili, con un'accentuazione di correlazione tra le misure delle FE, sempre valutate con il BRIEF, e la modalità espressiva del linguaggio orale e narrativo. Questi risultati sembrano confermare, dunque, che le abilità di linguaggio espressivo in compiti narrativi e discorsivi, coinvolgono funzioni esecutive come la memoria di lavoro, il controllo inibitorio, l'organizzazione, la flessibilità cognitiva e la pianificazione.

Outline

Documenti correlati