• Non ci sono risultati.

Si è già vista la portata del segno della torre per quanto riguarda molti punti focali della Liberata: si è parlato ad esempio della torre in cui è nata Clorinda, e della torre da cui Erminia scruta il campo alla ricerca di Tancredi.10 Una torre che avrà un ruolo fondamentale per l’esistenza di Clorinda è quella cristiana:

[…] Goffredo intanto

con novo assalto i difensori opprime. Avea condotto ad una porta a canto de le machine sue la più sublime. Questa è torre di legno, e s’erge tanto che può del muro pareggiar le cime; torre che, grave d’uomini ed armata, mobile è su le rote e vien tirata. (XI 46)

Cosa rende questa torre speciale, diversa da tutte le altre torri incontrate fino a qui? Forse può tornare utile volgersi indietro, al secondo canto:

9 ANTONELLA PERELLI, Op. cit., p. 65. 10 Supra, I.1.1; 3.1.

134

Ogni campo d’intorno arso e distrutto ha la provida man de gli abitanti, e ’n chiuse mura e ’n alte torri il frutto riposto, […].

(II 75, 1-4)

La torre è per sua natura un luogo alto, stabile e difensivo. È parte delle mura, e perciò è parte preminente della città, come insegna l’episodio che vede Erminia osservare l’esercito insieme al re. Non è perciò luogo di attacco, non è mobile, non è di legno. La torre cristiana sembra allora sovvertire un ordine, capovolgere un segno.

Cibele, dea turrita, è la dea delle mura, la dea della città.11 Esisteva, evidentemente, per gli antichi, un legame sotterraneo e persistente tra il simbolo della torre e l’elemento femminile: questo emerge ne Le opere e i giorni, vv. 519-525, in cui la παρθένος trova rifugio dal vento invernale nella parte più interna della casa, come avviluppata su se stessa – torre a se stessa;12 e al tempo stesso, ad esempio, nel Cantico dei cantici: sicut turris David collum tuum (Cant. 4, 4). Tale legame si ritroverà ancora, ad esempio, in quel meraviglioso memoriale mitico che è il Faust. Un canto di soldati dice:

Burgen mit hohen Mauern und Zinnen, Mädchen mit stolzen, Höhnenden Sinnen Möcht ich gewinnen! Kühn ist das Mühen, Herrlich der Lohn!13

Castelli-torri e fanciulle sono insomma equiparati, e diventano ‘cose’ da prendere, da scalzare. In questo senso, la lettura di una pagina di Jung può essere funzionale:

La città è simbolo materno, una donna che custodisce in sé gli abitanti come figli. Si comprende perciò come le dee-madri Rhea, Cibele la Diana di Efeso, portino la corona murale. L’Antico Testamento tratta la città di Gerusalemme, di Babilonia eccetera come se fossero donne. […].

Le città fortificate, le città mai conquistate sono vergini; […].14

Questa lettura arricchisce in qualche misura l’interpretazione data fin qui del segno della torre. La vergine è la città non conquistata. Il titolo scelto dal Tasso della Gerusalemme conquistata, e non

11 Si veda qui il bell’articolo di CLAUDIO CASTELLETTI, Op. cit., pp. 75-130.

12 Sul problematico termine παρθένος molto è stato scritto. Credo che per equilibrio e adesione ai testi sia bene rimandare al saggio di GIULIA SISSA, La verginità in Grecia, a cura di Giorgia Viano Marogna, Editori Laterza, Bari 1992, in particolare pp. 61-106.

13 JOHANN WOLFGANG GOETHE, Faust, I, vv. 884-890.

135

liberata, in questo senso è parlante. Clorinda sembra farsi preminente figura della vergine, della città

non conquistata – e da conquistare.

La natura della verginità femminile è misteriosa e tutt’altro che nitida, come Giulia Sissa mette in luce nel bel saggio La verginità in Grecia. Molti, dall’antichità alla modernità, si sono posti la stessa domanda: cos’è la verginità femminile? Il corpo femminile, chiuso in se stesso, tutto volto all’interno, presenta diversi enigmi per gli studiosi dell’antica Grecia, di Roma e del mondo medievale e moderno. La questione, come mostra la Sissa, permane nel Cinquecento, e si fa piuttosto vivace proprio in Italia. Il corpo della vergine è chiuso da un velo, da una membrana? E se così è, come spiegarlo dal punto di vista fisiologico? come spiegare la possibilità della fuoriuscita del sangue mestruale, ad esempio? E se così non è, se non c’è una membrana che chiude il corpo della vergine, allora cos’è la verginità? Non un sigillo, ma una posizione, una forma – e perciò non un’unicità, ma una ripetibilità? Alessandro Benedetti, (Historia corporis humani sive Anatomicae, 1502), Alessandro Achillini (Annotationes anatomicae, 1520), Berengario da Carpi (Isagogae breves, 1522), Nicolò Massa (Anatomiae liber introductorius, 1559), Matteo Realdo Colombo (De re anatomica, 1559), Gabriele Falloppio (Observationes anatomicae, 1561) e altri partecipano al dibattito in un momento storico, peraltro, di poco precedente alla vita del Tasso.15 Il corpo virginale, perturbante e al centro della scena dalla Pizia alla Vergine cristiana, continua a far discutere e rimane chiuso nel suo mistero. Clorinda ci costringe a porci la stessa domanda che si sono posti gli apologeti cristiani del IV secolo, gli anatomisti cinquecenteschi, gli enciclopedisti settecenteschi: che cos’è la vergine? Ma ancora, che cos’è la torre? Che cos’è Clorinda? Comprendere il segno della torre cristiana aiuta in parte a rispondere a questa domanda, e a vedere come la Gerusalemme ‘inconquistata’ e Clorinda stiano sotto lo stesso segno.

Ricordiamo che Clorinda ha dovuto abbandonare la propria torre nella primissima infanzia e darsi ai boschi.16 Adesso però, nella battaglia che vede schierata la «torre di legno» (XI 46, 5), Clorinda ha conquistato una propria, prima torre. Parlando della difesa di Gerusalemme da parte dello schieramento pagano il Tasso racconta:

E di machine e d’arme han pieno inante tutto quel muro a cui soggiace il piano, e quinci in forma d’orrido gigante da la cintola in su sorge il Soldano, quindi tra’ merli il minaccioso Argante torreggia, e discoperto è di lontano, e in su la torre altissima Angolare sovra tutti Clorinda eccelsa appare. (XI 27)

15 Sulla questione, si rimanda a GIULIA SISSA, Op. cit., in particolare pp. 160-180. 16 Supra, I.1.3-4.

136 Clorinda si manifesta qui come vertice di una triade di giganti. Stupenda è la climax che conduce a lei: a partire dal Soldano che emerge «in forma d’orrido gigante/ da la cintola in su» (XI 27, 3-4), passando per Argante, che «torreggia» tra i merli (XI 27, 6), si giunge a Clorinda, che è in cima alla «torre altissima Angolare» (XI 27, 7) e si manifesta come «eccelsa» (XI 27, 8), che, secondo Chiappelli, significa qui «al sommo, sul punto più alto», oltre a intendere il valore altissimo di lei.17 Sulla torre altissima, Clorinda compare come creatura più in alto, più alta: un gigante tra i giganti.18 Un gigante Andromeda, si è già detto.19 E curiosamente Andromeda torna ancora una volta, riaffiorando dalle pagine sepolte della Liberata in modo inaspettato, in un intarsio curioso.

Clorinda sta sulla torre Angolare, e dovrà affrontare in qualità di arciera l’esercito cristiano in assedio alle mura e la «torre di legno» (XI 46, 5). La torre cristiana, così contraria alla natura intrinseca delle torri viste fino a qui, è frutto dell’ingegno di Goffredo. Goffredo quasi dal principio comprende l’importanza di costruire delle «machine»:

Ma il capitan, ch’espugnar mai le mura non crede senza i bellici tormenti, pensa ond’abbia le travi, ed in quai forme le machine componga; e poco dorme. (III 71, 5-8)

Come faccia a realizzare questo progetto, lo si intende subito dopo:

tutti i fabri del campo a la foresta con buona scorta di soldati invia. Ella è tra valli ascosa, e manifesta l’avea fatta a i Francesi uom di Soria. Qui per troncar le machine n’andaro, a cui non abbia la città riparo.

L’un l’altro esorta che le piante atterri, e faccia al bosco inusitati oltraggi. Caggion recise da i pungenti ferri le sacre palme e i frassini selvaggi, i funebri cipressi e i pini e i cerri, l’elci frondose e gli alti abeti e i faggi, gli olmi mariti, a cui talor s’appoggia la vite, e con piè torto al ciel se ’n poggia. (III 74, 2 – 75)

17 Fredi Chiappelli, in TORQUATO TASSO, Gerusalemme liberata, nt. 2, p. 455.

18 È da notare come nel Cinquecento si attribuisse il valore di grandezza fisica anche a Cibele: cfr. CLAUDIO CASTELLETTI,

Op. cit., p. 99.

137 Le «machine» (III 71, 8), tra le quali la «torre di legno» (XI 46, 5), che è «primo terror delle nemiche genti» (XI 83, 6), l’arma su cui Goffredo e tutto l’esercito puntano di più, sarebbero state costruite, secondo il Tasso, usando gli alberi della selva di Saron, profanata dalla solerzia dei cristiani. L’atto di tagliare gli alberi di Saron contrasta con le usanze locali: «abitante alcuno/ del fero bosco mai ramo non svelse;/ ma i Franchi il vïolar, perch’ei sol uno/ somministrava lor machine eccelse» (XIII 5, 1- 4). Ancora una volta si evince la violenza, quasi stupro, perpetrata sul suolo della città da parte dei cristiani.20

Che esistesse una foresta di Saron è un dato storico. E che i cristiani avessero provato a usare il legname preso nella selva è un fatto. Ma c’è un punto, esplicitato dai cronisti, su cui il Tasso non si sofferma e che può rivelarsi interessante:

[I crociati n]on avevano strascinate le logore macchine d’Antiochia, non procacciati nuovi legnami: e quantunque Tancredi dopo molto cercare scoprisse alcune piante di quercia nei contorni di Saron, non era poi chi lavorarle e metterle in opera. […].

L’entrata nel porto di Giaffa fu un secondo trionfo. Jaffa o Giaffa, nominata anticamente Joppe, è distante da Gerusalemme 24 miglia. Sopra lo scoglio che domina il suo posto favoleggiarono i Greci che Perseo liberò l’incatenata Andromeda dal fiero mostro; non lungi è la tomba di san Giorgio. Date l’ancore appena, ecco nuovi nemici! I legni egiziani, potenti di numero e freschi di gente, venivano dall’alto a voga arrancata sopra il porto indifeso. Che faranno i Genovesi? quale partito piglierà il consolo Guglielmo Embriaco, duce acclamatissimo di quest’impresa? Aspettare sull’ancore l’impeto ostile, e avventurare l’estreme speranze della crociata fora lo stesso; salpare e correre incontro non era più tempo. Dunque Guglielmo, acconsentendolo il naval parlamento, decide scendere a terra, abbandonare in preda al nemico le vuote galee, e con l’arme, con le provvisioni, con la gente intatta che aveva, accelerare il suo viaggio a Gerusalemme. […]. Il suo ingresso nel campo cristiano arrecò, come l’arcivescovo di Tiro si spiega, la massima consolazione.

Erano già dieci giorni che non si cuoceva pane; il biscotto delle ciurme supplì. L’acqua mancava, essi ne portavano otri ancor pieni. Un qualche oscuro fabbro aveva più guaste che adoperate alcune grosse piante; quindi innanzi l’ammiraglio, peritissimo ingegnere, riconobbe tutti i materiali e indirizzò tutti i lavori. Cento artefici eletti fabbricarono catapulte, mangani, arieti, scale. Ma il più mirabile fu una torre quadrangolare contenente tre vaste gallerie, l’una delle quali superava l’altezza delle mura, l’altra era a livello per carrucolarvi un ponte di legno, la terza si appoggiava alla base per regolarne con più sicurezza i movimenti e ripararne più prontamente i danni. Non ostante l’altezza e la mole, tale riuscì l’agevolezza delle sue ruote, che si muoveva facilmente per ogni verso; tale la proporzione e l’artifizio delle sue giunture che scomporsi poteva e ricongiungersi a volontà.21

Dal punto di vista storico, alla base della costruzione della torre quadrangolare – contrapposta poi alla torre Angolare di Gerusalemme – c’è un fondamentale punto di snodo: Giaffa, cioè Ioppe. Scartazzini mette in rilievo l’assunto mitico che ha per sfondo lo scoglio del porto: la liberazione di Andromeda da parte di Perseo. E per quanto Tancredi e altri abbiano provato ad avvalersi degli alberi di Saron per costruire le macchine belliche, è solo con l’arrivo di Guglielmo Embriaco dal porto di

20 Supra, I.4.1.

21 TORQUATO TASSO, La Gerusalemme Liberata, a cura di G. A. Scartazzini, F. A. Brockhaus, Leipzig 1871, pp. XXXVI- XXXVIII.

138 Ioppe che diventa possibile farlo. La tappa di Ioppe si fa snodo importante proprio in virtù dell’orizzonte mitico che disserra.

Altro dato di un certo interesse è il riferimento alla tomba di san Giorgio, così vicina a Ioppe da sovrapporvisi quasi. Nell’introduzione di Scartazzini si legge ancora:

Ogni cosa omai ben disposta, si ordinò una general processione al monte Oliveto, e al dimane, quattordici di luglio, un assalto generale. La resistenza de’ Saracini riuscì tanto gagliarda che le schiere ritornarono indietro spossate, ferite e mancanti; ma non disperarono per questo. La notte seguente fu senza riposo. E come l’alba desiderata spuntò, ricominciarono le macchine a percuotere, e le grida, le ferite le morti (15 di luglio). A’ raggi del nuovo sole s’illumina la vetta del monte Oliveto, e mostra un cavaliere vôlto alla città coll’asta fiammeggiante. San Giorgio! San Giorgio! gridarono dalle lor torri Raimondo e Goffredo; l’esercito incoraggiato ripete altamente, San Giorgio! Le prime ore del giorno erano scorse con varia fortuna, quando un Fiamingo, nomato Letoldo, notò l’opposto baloardo settentrionale vuoto di difensori, uccisi o dispersi dalla grandine dei colpi che flagellavano ogni cantone; cheto cheto abbassò, lentando la corda a ciò destinata, il ponte della seconda torre, e saltò dentro; un certo Guicherio fu il primo a seguirlo, Goffredo il secondo e parecchi altri dopo di loro; […]. Le spade conficcate nel muro fecero le veci di scaglione. I due Roberti e Tancredi entrarono da una breccia coperta di feriti. […]. E già da ogni parte i musulmani cadevano senza difesa, o disperatamente fuggivano cercando asilo nella gran moschea di Omar, fabbricata sopra le rovine del tempio di Salomone. Ma guai a chi vi pose piede! La vista di quella profanazione infiammò maggiormente la rabbia de’ vincitori; nessun infedele impetrò perdono. Diecimila caddero svenati fra il vestibolo e il colonnato; il sangue scorreva a rivi giù dalla scala, e le calcagna degli uomini a cavallo ne uscivano imbrattate. L’avidità della preda sottentrò all’ardor della strage; l’ultimo fu il pensier della religione. Incomprensibile cuore umano! Gli stessi guerrieri poco fa lordi di sangue vanno or disarmati, scalzi, piangenti a venerare il sepolcro di quello che aveva perdonato a’ suoi carnefici.22

La scansione degli eventi, e soprattutto la comparsa in campo di san Giorgio, sono elementi focali dal punto di vista della cronologia scelta dal Tasso e dello svolgimento dei fatti. Scartazzini spiega che all’indomani della messa a punto delle macchine e della torre, si ordina una processione. Questo è quanto leggiamo al canto XI:

Ma ’l capitan de le cristiane genti, vòlto avendo a l’assalto ogni pensiero, giva apprestando i bellici instrumenti quando a lui venne il solitario Piero; e trattolo in disparte, in tali accenti gli parlò venerabile e severo: – Tu movi, o capitan, l’armi terrene, ma di là non cominci onde conviene. Sia dal Cielo il principio: invoca inanti ne le preghiere publiche e devote la milizia de gli angioli e de’ santi, che ne impetri vittoria ella che puote. […]

Così cantando, il popolo devoto con larghi giri si dispiega e stende,

22 Ivi, pp. XXXVIII-XXXIX.

139

e drizza a l’Oliveto il lento moto, […].

(XI 1-2, 1-4; 10, 1-3)

La processione, secondo la ricostruzione storica, precede la giornata del 14 luglio, giornata che vede il prevalere dei pagani sui cristiani che assaltano le mura della città. La notte seguente «fu senza riposo»,23 e il 15 luglio infine giunse il momento della conquista della città sotto l’egida e lo slancio di san Giorgio che si manifesta sul monte Oliveto. Gli eventi, insomma, si susseguono rapidi dallo sbarco di Guglielmo Embriaco a Ioppe, città di Andromeda, fino alla manifestazione di san Giorgio che porta alla vittoria.

Il racconto del Tasso trasforma alcuni punti centrali di questa versione dei fatti. Il 14 luglio vede la disfatta dell’esercito cristiano simboleggiata in particolare dal ferimento di Goffredo (canto XI). Il canto XII, che è prevalentemente notturno, racconta quella notte «senza riposo»24 su cui si tornerà.25 Ma la presa della città deve ancora attendere lo svolgimento di una serie di eventi, tra i quali l’incantamento della selva di Saron, la siccità, il ritorno di Rinaldo. Il 15 luglio, perciò, non è il giorno della conquista di Gerusalemme, se teniamo per valida la data del 14 quale vittoria dei pagani sui cristiani. È però, in ogni caso, il giorno di san Giorgio: il giorno che vede la morte necessaria di Clorinda («Ma ecco omai l’ora fatale è giunta/ che ’l viver di Clorinda al suo fin deve», XII 64, 1-2), e la vittoria del santo su di lei; è il giorno in cui si concretizzano gli «strani accidenti» che «’l Ciel minaccia» (XII 40, 1-2): «l’ora s’appressa/ che dée cangiar Clorinda e vita e sorte:/ mia sarà mal tuo grado, e tuo fia il duolo», profetizza il santo ad Arsete. E il giorno dopo, apparentemente, il santo trionfa, non palesandosi sul monte, ma strappando alla vita «Clorinda eccelsa» (XI 27, 8).

Se san Giorgio verrà presto a esigere il sangue della «fanciulla a Dio rubella» (XII 87, 4), se presto – all’alba del giorno seguente – Clorinda chiederà di venire battezzata in punto di morte, quella che si presenta al canto XI è la personificazione a tutti gli effetti di una divinità femminile, come si vedrà tra poco.26 Tutto l’episodio ha però un forte valore simbolico, come si può evincere dalle due torri e dalle mura.

La vena paganeggiante che attraversa il canto per intero si percepisce già dal principio, da quella processione che «quasi par boscareccio coro» (XI 11, 5), come nota Chiappelli.27 Durante il rituale, i pagani stanno a osservare dalle mura della città (XI 12). Il giorno dopo, quando è tempo di passare all’azione, di Goffredo si dice quanto segue:

23 Ivi, p. XXXVIII.

24 Ibidem. 25 Infra, I.6. 26 Infra, I.5.3.

140

Tragge egli fuor l’esercito pedone con molta providenza e con bell’arte, e contra il muro ch’assalir dispone obliquamente in duo lati il comparte. Le baliste per dritto in mezzo pone e gli altri ordigni orribili di Marte, onde in guisa di fulmini si lancia vèr le merlate cime or sasso, or lancia. (XI 31)

Nell’atto bellico, Goffredo si sovrappone alla figura di Marte. Gli «ordigni orribili di Marte» (XI 31, 6), che sono in verità i suoi, rivelano la forza di Zeus, in quanto agiscono «in guisa di fulmini» (XI 31, 7), e sono rivolti contro le mura e la torre. C’è perciò una tensione distruttiva ‘maschile’ molto forte, che sulle prime sembra dominare e vincere: «Ne crolla il muro, e ruinoso i fianchi/ già fesso mostra a l’impeto de’ Franchi» (XI 39, 7-8). La città viene violata, come le vergini. Si apre una fessura, ma si fa ancora resistenza. Giunge la «torre di legno» (XI 46, 5), e comincia una strana danza:

Viene aventando la volubil mole

lancie e quadrella, e quanto può s’accosta, e come nave in guerra a nave suole, tenta d’unirsi a la muraglia opposta; ma chi lei guarda ed impedir ciò vuole, l’urta la fronte e l’una e l’altra costa, la respinge con l’aste e le percote or con le pietre i merli ed or le rote. (XI 47)

La torre cristiana, che sovverte il segno della torre, si erge in tutto l’impeto della sua violenza contro le mura, ma incontra ancora resistenze, respingimento, soprattutto grazie ad Argante e a Clorinda, che si contrappongono «a la nemica torre» (XI 49, 8). C’è infine un cedimento:

I Franchi intanto a la pendente lana le funi recideano e le ritorte

con lunghi falci, onde cadendo a terra lasciava il muro disarmato in guerra. Così la torre sovra, e più di sotto l’impetuoso il batte aspro ariete, onde comincia omai forato e rotto a discoprir le interne vie secrete. (XI 50, 5-8; 51, 1-4)

La scena si tinge di una manifesta vena erotica. La città è ormai aperta, le «interne vie secrete» (XI 51, 4) sono infine accessibili. Ma Clorinda, elemento femmineo che si oppone alla virile torre cristiana, si distacca e si contrappone a questa violazione, ferendo Goffredo:

141

Al dipartir del capitan, si parte e cede il campo la fortuna franca. Cresce il vigor ne la contraria parte, sorge la speme e gli animi rinfranca; e l’ardimento co ’l favor di Marte ne’ cor fedeli e l’impeto già manca: già corre lento ogni lor ferro al sangue, e de le trombe istesse il suono langue. (XI 57)

Il «favor di Marte» (XI 57, 5) viene meno. Sorge invece una forza contraria:

E già tra’ merli a comparir non tarda lo stuol fugace che ’l timor caccionne, e mirando la vergine gagliarda, vero amor de la patria arma le donne. Correr le vedi e collocarsi in guarda con chiome sparse e con succinte gonne, e lanciar dardi e non mostrar paura d’esporre il petto per l’amate mura. (XI 58)

Clorinda serve come modello per richiamare sulle mura un nutrito schieramento femminile che si oppone alle forze marziali cristiane. Le donne pagane sono qui una forza caotica, dionisiaca, in cui «i capelli sparsi» sono segno «di partecipanti a rituali dionisiaci […], dove i capelli sparsi sine lege e