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a supporto della genitorialità: presupposti teorici e metodologic

9.1 Una formazione “significativa”

Secondo Valenziano (2008) la “ricerca educativa qualitativa” si è via via affermata nell’attuale panorama pedagogico in quanto sempre più capace di rendere conto delle condizioni in cui si realizza il rapporto educativo, pur tenendo in considerazione le caratteristiche della soggettività. In aggiunta, la ricerca educativa può oggi godere delle spinte motivazionali che giungono da una rinnovata concezione di formazione, vista non più come trasferimento di conoscenze e di abilità da parte di esperti o neofiti bensì come processo in continuo divenire entro cui l’individuo potrà fruire di opportunità e di risorse, avendo ben chiari i vincoli costituenti la condizione iniziale per il suo potenziale apprendimento.

Si parla di “esperienza formativa significativa” quando l’individuo viene messo nella condizione di costruire il proprio sapere non solo dal punto di vista intellettuale e cognitivo, incrementando egli le strategie di elaborazione del reale, ma anche dal punto di vista culturale, grazie alle possibilità di scoperta, di negoziazione e di attribuzione di significato alle esperienze. Un’esperienza formativa risulta dunque significativa quando l’individuo apprende non attraverso un mero travaso dall’esterno di dati e informazioni, per quanto opportunamente immagazzinati, bensì attraverso un processo di problematizzazione delle esperienze e dei vissuti, riuscendo ad attribuire ad essi un nuovo significato, così come nella prospettiva bruneriana (Bruner, 1990, op. or.). D’altra parte, anche la prospettiva fenomenologica ben contribuisce a notificare la significatività di un’esperienza formativa allorché, spostando l’attenzione dal mondo reale all’attribuzione di significato e, quindi, alla sua costruzione, mette in discussione il rapporto “naturale”

con l’ambiente, facendo intuire che l’aspirazione di oggettività degli obiettivi, dei significati, dei saperi altro non è che un processo di costruzione sociale (Bertolini, 1988; Margiotta 2011a). In questo senso, ogni situazione che porta a riflettere sull’attribuzione di senso agli accadimenti, capace di indurre una riattribuzione di significato, può definirsi come “educazione significativa”, e quindi come “formativa” in quanto consente all’individuo di riorientarsi a nuovi orientamenti di prospettiva, accantonando saperi consolidati ma spesso obsoleti, cristallizzati, inefficaci. Un cambiamento diventa dunque significativo per l’individuo “quando l’azione formativa avvia un processo di rielaborazione e di interpretazione del cambiamento, in grado di promuoverlo e, in alcune situazioni, di “legittimarlo”, permettendo al soggetto di mettere in discussione repertori cognitivi, emotivi e relazionali fin troppo noti e sedimentati, di sperimentare una diversa rappresentazione di se stesso e di mobilitare risorse e capacità non pensate. Si tratta di un processo formativo che agisce sull’ampliamento e il potenziamento delle capacità riflessive, auto-conoscitive e meta-cognitive e sulle modalità di significazione attivate (Valenziano, 2008, pag. 84).

I significati che l’individuo attribuisce alle proprie esperienze infantili hanno un profondo impatto sul suo modo di essere genitore; indubbiamente, entrare nelle proprie storie di vita, migliorare la conoscenza e la comprensione di se stessi e della propria storia consente di costruire una relazione più efficace e soddisfacente con i figli. Non pochi sono gli interrogativi che un genitore sensibile, motivato ad evolvere, si pone (Mariani, 2007): quali sono i significati del diventare genitore e del vivere la genitorialità? Esiste un sapere genitoriale di cui, come madri e padri, ci si sente portatori? Esiste un passato personale e familiare che influenza il rapporto con i propri figli? I genitori sono consapevoli del fatto che la loro storia personale e familiare incide nella relazione educativa coi loro figli? Le modalità educative che i genitori adottano coi propri figli sono le stesse che hanno adottato i loro genitori nei loro riguardi?

Da parte loro, nel lavoro educativo coi genitori anche gli operatori si pongono analoghe domande: “Come, dove, con chi e da chi si impara a diventare, a fare, ad essere genitore? Quali saperi ed apprendimenti entrano in gioco? Quali conoscenze sono utili e come si connettono con la storia personale e con la narrativa familiare? che li portano da un lato a vedere il genitore quale massimo esperto della relazione

col proprio bambino e, in quanto tale, lo riconoscono, lo supportano, lo accompagnano, lo formano, mentre dall’altro lato a considerare la relazione genitoriale come una trama educativa dove, attraverso condotte ricorsive, flessibili, strategiche, il genitore interrela quotidianamente la storia del singolo con la storia, la cultura, la memoria della comunità familiare (Gaudio, 2010, pag. 90).

Attivare un percorso non formale di formazione a supporto della genitorialità ad impostazione educativa, comporta perciò intraprendere un percorso capace di coinvolge il piano personale – ed anche esistenziale – dove l’intento non può essere quello di in-formare/plasmare le persone (“ti dico come si fa”) ma di coadiuvare la loro autonoma tras-formazione attraverso esperienze apprenditive comunitarie riguardanti la propria vita, la vita delle loro famiglie, la realtà sociale e culturale di appartenenza.

9.2 Sfondo teorico ed ipotesi alla base del progetto formativo dedicato ai genitori

Lo sfondo concettuale entro cui si colloca la nostra proposta formativa – che in realtà è un progetto pilota per l’apprendimento degli adulti – convoglia più modelli, sostanzialmente afferenti alle prospettive teoriche di cui abbiamo riferito nel secondo capitolo e che abbiamo privilegiato per analizzare quel particolare rapporto intersoggettivo declinabile nei termini di “relazione educativa”; esse offrono infatti adeguate congiunte possibilità di lettura e di interpretazione dei processi attraverso cui si costruisce l’identità genitoriale. Dette prospettive teoriche delineano i seguenti costrutti:

il costrutto personalistico, derivato dalla visione umanistica di Maritain, che pone la persona al centro dell’atto educativo per valorizzarlo nella sua integralità antropologica ed integrazione assiologia, nella convinzione che ogni briciola di sapere può essere sempre generata o rigenerata solamente a partire dalle necessità individuali di autentica estrinsecazione del Sé, riconoscendo in questo modo l’onnipresenza delle possibilità di apprendimento e rinunciando, nel contempo, all’obsoleta prassi di trasmettere conoscenze precostituite; • il costrutto di apprendistato e pratica, che dalla teoria sociale

apprendimento situato così come elaborato da Lave e Wenger (2006), consentendo di esplicitare l’apprendimento come una forma di partecipazione a pratiche esperte (cfr. Wenger, 2006), prendendo parte ad una comunità: “un fare in contesti storici e sociali che danno struttura e significato a ciò che facciamo” (Lave e Wenger, 2006, pag. 47);

• il costrutto di apprendimento trasformativo, che Mezirow (1991) ha elaborato a partire dalle tesi di Bruner (1988) sulla funzione della cultura come “forum primario” di negoziazione interpersonale del significato, del senso e dell’indirizzamento delle azioni, secondo cui l’adulto, per costruire la propria identità professionale, abbisogna di decostruire e di ricostruire i saperi – attraverso un approccio riflessivo alla conoscenza di sé e del mondo, non sempre funzionali al contesto né privi di distorsioni;

• il costrutto di riflessività, certamente tematizzato da Mezirow ma in particolare così come derivabile dalle analisi (a) della Stein (1999), che riconosce come ogni azione possa essere fruttuosa solo se si accompagna alla determinazione della persona nell’adoperarsi per realizzare i propri valori, (b) della Mortari (2003), per la quale l’individuo apprende dall’esperienza e acquista coscienza di sé e del mondo quando si dedica a riflettere su ciò che accade per cercarne il significato, (c) di Margiotta (2011b) che, a partire dalle riflessioni di Dewey, ribadisce la significatività pedagogica del nesso tra pensiero riflessivo e processi formativi; • il costrutto enattivo, riconducibile in primis a Maurice Merleau-Ponty (1945) ma

ripreso da Varela, secondo cui la conoscenza viene acquisita per tramite dell’azione. Dunque non più cognizione come rappresentazione – cioè manipolazione astratta di simboli realizzata da una mente scissa dal corpo – bensì cognizione come azione nell’ambiente e sull’ambiente (embodied

cognition) generativa – cioè enattiva – di trasformazione e di una contestuale

co-evoluzione del sistema individuo-ambiente. Secondo questa visione il sistema

apprende mentre si trasforma attraverso l’azione (che è corporea) e conosce

perché si trasforma; nel contempo, si trasforma perché conosce. La lezione che si ricava è che “la dimensione evolutiva della embodied cognition porta a dire che come non esiste una mente che governa il corpo ma entrambi – corpo e mente – dialogano per produrre costantemente uno spostamento in avanti degli orizzonti e per allargare i mondi di esperienza (ed è questo che fa la coscienza),

altrettanto diventa decisivo per l’educazione configurarsi in questi termini. In accordo con Margiotta (2013) ciò vuol significare che non c’è relazione educativa se non c’è autoformazione.

La figura 9.1, mutuata dal modello di figura 2.3 di cui al §2.3, vuole rappresentare detto sfondo concettuale entro cui ha trovato ragione la nostra proposta formativa di supporto a una genitorialità riflessiva, e alla quale sottendono tre ipotesi:

a) innanzitutto, i numerosi significati connessi alla genitorialialità non possono prescindere né dalla comprensione dei bisogni primari dell’uomo e dei comportamenti più consoni alla loro soddisfazione né dalla conoscenza dei principali aspetti dello sviluppo, delle capacità di relazione e di adattamento dell'individuo al proprio ambiente (Brazelton e Greenspan, 2001);

b) in secondo luogo, se la genitorialità è la qualità dinamica, in costante evoluzione, dei molteplici momenti di dialogo educativo dell’adulto col bambino, allora

funzione genitoriale e relazione educativa vanno ritenute le due dimensioni

fondanti il rapporto adulto-bambino, laddove tale rapporto si realizza in una reciprocità dove solo la consapevolezza e la capacità di autoriflessione del primo costituiscono la misura dell’evoluzione del secondo (Bastianoni e Fruggeri, 2005); c) infine, e in accordo con Fabbri (2008, pp. 45-46), se il “mestiere di genitore” viene

imparato attraverso l’esperienza, a partire da quella dell’essere figli sino agli apprendimenti per la partecipazione a pratiche sociali, riteniamo che attraverso percorsi culturali informali adottanti un approccio riflessivo, i genitori possano essere efficacemente accompagnati ed aiutati a transitare da una condizione di genitore principiante o preriflessivo (facente cioè riferimento a saperi impliciti e inconsapevoli) ad una condizione di genitore competente o riflessivo (facente cioè riferimento a saperi espliciti ed autentici).

Figura 9.1 - Sfondo concettuale entro cui sui colloca la nostra proposta formativa a

supporto della prima genitorialità, come mutuato dal modello di analisi della enattività della relazione educativa di cui alla figura 2.3.

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