Indicatori di qualità della relazione educativa
4.1 La “qualità” della relazione educativa
Più volte ci siamo soffermati nel sottolineare quanto sia fondamentale – ai fini del più autentico esercizio delle funzioni educative – che l’adultità si faccia competenza autobiografica, ovvero coscienza riflessiva (Margiotta, 2013; vedi anche Margiotta e Zambianchi, 2011), ciò solo consentendo l’eventuale qualificazione della relazione nei termini di “educativa”. Ma l’adultità è anche “traguardo mai raggiungibile …in
quanto… processo evolutivo che si organizza e si struttura in relazione alle diverse
esperienze e con livelli di risposta aperti alla varie fasi della maturità personale e relazionale65. Il traguardo della responsabilità educativa va perciò strutturandosi come tipico percorso di formazione e di autoformazione, nel quale ciascun membro della famiglia impara a farsi «maestro» del processo” (Chionna, 2006, pag. 52). In questo senso la genitorialità, per potersi esprimere al meglio, deve attraversare lo spessore della persona/adulto – ovvero quella fase di sviluppo psicosociale definita da Erikson come della “generatività-stagnazione” – solo così potendo assurgere, in ogni proprio atto educativo, a modello e punto di riferimento filiare. Se dunque la genitorialità è la qualità dinamica, in costante evoluzione, dei molteplici momenti di dialogo educativo col figlio, possiamo allora ritenere che
funzione genitoriale e relazione educativa siano le due dimensioni fondanti il
rapporto adulto/bambino; tale rapporto si realizza in una reciprocità dove però solo la consapevolezza e la capacità di autoriflessione del primo diviene “il metro di misura” dell’evoluzione del secondo. Dunque la funzione genitoriale connota il
65
N.d.r. Un’interessante ricerca empirica su queste dimensioni si trova nel volume di Bonazzi e Pusceddu Giovani per sempre: la figura dell'adulto nella postmodernità (2008), dove si delinea una figura di “adulto” con una pessima rappresentazione di sé ma, soprattutto, un mondo popolato da giovani mistificati che appaiono accomunati dal rifiuto dell’adultità.
diritto/dovere di attuare proposte educative con uno specifico individuo-bambino (Bastianoni e Fruggeri, 2005).
A questo proposito ci siamo posti un interrogativo, riguardante la possibilità di individuare alcuni elementi, indicatori, fattori connotanti che consentano di individuare il “livello qualitativo” una relazione educativa. Abbiamo perciò pensato di ricavare dalle considerazioni degli esperti intervistati un inventario di basilari “indicatori di qualità” ritenuti fondanti la relazione educativa.
4.2 Punti di vista esperti66
In prima istanza, se per indicatori intendiamo “fattori di misurazione e volendo rimanere nel campo dei fini dell’educazione, individuarli rispetto alla qualità della
relazione educativa – soprattutto genitoriale – appare azione del tutto
impraticabile. Tuttavia, un risultato di qualità nella relazione educativa è dato quando gli educatori, ad esempio i genitori, riescono a creare le condizioni affinché gli educandi, nello specifico i figli, possano crescere come persone autonome,
mature, responsabili, capaci di scelta e di decisione, attraverso il superamento dei
conflitti. I genitori devono indicare la strada, dare la luce, assumersi la
responsabilità di indicare il cammino, pur nella consapevolezza che i figli possono
prendere anche una strada diversa (Iori).
Se poi conveniamo che la relazione educativa è in primis una “relazione di autorità”, in virtù della quale l’educatore esercita un “potere gestionale” nei riguardi dell’educando, allora ne deriva che uno dei principale indicatori da cui si può desumere il livello di qualità della relazione educativa è di natura assiologia, coincidendo esso con la parità valoriale tra educatore ed educando, unica via che consente il mantenimento dell’equilibrio relazionale. La parità valoriale garantisce dal pericolo delle numerose possibili degenerazioni nell’ambito della relazione educativa – e quindi della relazione di autorità – che sono sostanzialmente dovute al tradimento del criterio valoriale. Evenienza questa che si verifica quando l’educando – solitamente un minore – viene percepito non più come soggetto che vale di per sé ma come oggetto di cui l’educatore può disporre a proprio
piacimento. Dalla “parità valoriale”, indicatore di qualità della relazione educativa, derivano: il riconoscimento dell’altro, l’ascolto, l’empatia, la reciprocità, intesi tutti come “feedback riflessivo” (Pati).
Da un altro punto di vista, del tutto complementare al precedente, se ciò che connota l’educatività di una relazione giace nella responsabilità che l’educatore si prende di condurre l’altro verso l’autonomia, allora può dirsi di qualità quella relazione nella quale chi ha compiti educativi si assume la libertà – intesa come presa in carico di responsabilità – di porre l’educando nella condizione di fare scelte proprie e di darne responsabilmente ragione, quindi di essere autonomo. Nell’ambito di una relazione educativa la libertà si dà perché chi già ce l’ha – l’educatore – ha imparato a gestirla. Ovviamente la gestione della libertà non è automatica né tanto meno naturale bensì va appresa. È questa la ragione per cui diventa necessario imparare ad esercitare la libertà, grazie a qualcuno che lo insegni. La libertà intesa come responsabile e autonoma esplicitazione di se stessi viene dunque acquisita ed il suo uso viene potenziato entro una relazione intersoggettiva che è, appunto, educativa, ovvero fondata su una funzione di “contenimento” e sull’esercizio dell’autorità (intesa come principio di rispetto della norma che contribuisce a salvaguardare responsabilmente i rapporti tra le persone) da parte di chi ha posizione “up” verso chi ha posizione “down”, necessariamente fondato sulla reciproca fiducia (Ajello).
Ulteriori indicatori della qualità della relazione educativa sono ravvisabili nella possibilità di valutare quanto questa si basi su uno stile troppo autoritario o, viceversa, troppo permissivo; oppure su quanto l’approccio dialogico con il bambino sia discorsivo ed argomentativo per abituarlo alla discussione ad avviarlo, man mano, alla presa di consapevolezze. Riferendosi al contesto parentale, Loretta Fabbri assume la famiglia alla stregua di una “comunità di costruzione della conoscenza”, affermando che una famiglia è inserita in una traiettoria di conoscenza quando:
(a) si interroga sulla bontà di quello che fa e si chiede se quello che ha messo in atto è l’unico modo di agire (riflessività, pensiero critico, trasformatività);
(b) si apre ad altre comunità e al confronto, dentro e fuori la coppia coniugale, in vista di un reciproco apprendimento e della ricerca di soluzioni condivise (cooperazione, co-costruzione);
(c) è disponibile ad accogliere le conoscenze e le esperienze dell’altro (del coniuge, di altri genitori, ecc.) come occasioni da cui apprendere nuove pratiche (apertura, accoglienza, integrazione),
ciò rappresentando alcuni dei principali indicatori della “qualità della relazione educativa” in ambito genitoriale (Fabbri). Inoltre, intendendo la famiglia alla stregua di “comunità di pratica”, suggerisce che anche i sette principi di base enunciati da Wenger et coll. (2007) per “coltivare” dette comunità possono essere assunti a “criteri di qualità” della relazione educativa. Si tratta delle capacità di:
(1) progettare per l’evoluzione;
(2) creare un dialogo tra prospettive interne ed esterne; (3) promuovere diversi livelli di partecipazione;
(4) sviluppare spazi sia pubblici che privati; (5) porre l’attenzione sul valore aggiunto; (6) combinare familiarità ed eccitamento; (7) creare un ritmo.
Alcuni altri indicatori di qualità della relazione educativa – soprattutto genitoriale – sono ravvisabili in alcune categorie pedagogiche fondamentali traibili dalle riflessioni di Diega Orlando Cian (2001; cfr. nota 112 in allegato B) quali la
generatività intenzionale e responsabile, la cura nel presente tesa alla
consapevolezza e all’autonomia tra passato e futuro, l’appartenenza tra protezione e autorevolezza, l’apertura dentro/fuori, la programmazione intenzionale in vista di un fine d’Amore (Milani).
La relazione educativa appare dunque coincidere con l’instaurazione di un rapporto (un processo) che è intenzionalmente strutturato (Pati).
Anche Formenti individua quale indicatore primario per la qualità della relazione educativa l’intenzionalità. Essa afferma che, dal punto di vista del dominio definitorio può essere indicata come educativa quella relazione qualificata dall’intenzionalità, ovvero da una precisa direzione verso cui l’azione dell’educatore e il sotteso suo pensiero si dirigono. Il termine “educativo” viene utilizzato per designare taluni tipi di relazioni in virtù di un obiettivo, che è appunto intenzionale; ma non è solo l’effetto ad essere “educativo” – effetto che può avere anche connotazioni casuali – bensì anche l’intenzionalità da cui la relazione medesima prende avvio. Dove c’è un’intenzionalità educativa, lì giace l’educatività della
relazione. In altre parole, ogni relazione, se è autentica, almeno nei suoi effetti è
sempre educativa. La relazione educativa viene perciò intesa come un processo intenzionalmente avviato su iniziativa della persona investita di responsabilità educativa anche dal punto di vista della dimensione sociale, basato sulla capacità
della persona stessa di entrare in relazione con e finalizzato a far sì che gli individui affidatigli raggiungano determinati traguardi di crescita. L’intenzionalità costituisce dunque la premessa necessaria per acquisire consapevolezza, ovvero piena conoscenza del fatto che ciascuno è immerso in una relazione dove le persone si attribuiscono reciprocamente l’OK su di un piano di mutuo riconoscimento, che connota il terzo fondamentale indicatore di qualità della relazione educativa. Va tra l’altro sottolineato che anche nella relazione più asimmetrica – compresa quella educativa – l’interazione tra i soggetti, pur non essendo paritaria dal punto di vista del ruolo assunto (insegnante-alunno, genitore-figlio, educatore-educando) è invece
reciproca dal punto di vista relazionale. Un indicatore aggiuntivo è individuato nella res, ovvero nel fatto che la relazione educativa non è fine a se stessa ma che esiste
un “terzo” cioè un “oggetto” che motiva la condizione relazionale: tale res può essere una domanda, un contenuto, un obiettivo, avente funzione di “collante” tra i poli della relazione e giustificante il loro stare assieme; nel caso della relazione educativa, si tratta sempre di una motivazione – cioè di un obiettivo – di
apprendimento (Formenti).
Da parte sua, Margiotta ritiene che le metodiche per rendere la relazione educativa funzionale ai processi di crescita e di autonomia affettiva ed intellettuale – che intendiamo alla stregua di indicatori di qualità – non rappresentino né un paradigma, né uno scopo né un mezzo. Stritolata all’interno di una modularità tecnica dei saperi e organizzata intorno all’efficacia e all’efficienza del prodotto, la relazione educativa riflettuta e curata è oggi sprofondata nell’alveo del rimosso producendo, come tale, preoccupanti sintomi. Le relazioni, al plurale, private dell’attenzione di cura teorico-pratica, mostrano poi gli aspetti malsani della disaffezione al compito, della svalutazione dei contesti pubblici in cui avvengono, della recriminazione e delle accuse reciproche, fra i soggetti in gioco. Ciò che tematizza il tempo della relazione, del rapporto educativo è dunque il prestare
attenzione. Mancare di attenzione è effetto e causa dell’in-curia. La cura, incursione
dunque il cursore del pensiero intelligente, è possibilità di concentrare i sensi, la percezione sul mondo, individuando parti, confini e sfumature, figure e sfondi e, come dice Varela, è la possibilità di lasciare che ciò che definiamo oggetto venga avanti e ci incontri. E quando il processo di apprendimento non è semplice istruzione/addestramento ma assimilazione e accomodamento, in un movimento che pur convergendo sui saperi consolidati, scarta, diverge, allora la relazione
educativa diventa strumento del cambiamento (Margiotta).
Cusinato identifica nell’Amore il fattore principe indicatore di qualità della relazione educativa, la cui traduzione pragmatica, verificabile, misurabile può essere identificata nei due processi della negoziazione e dell’intimità. Tali fattori, in quanto processi e non semplici atti, hanno bisogno di una consapevolezza tanto personale quanto relazionale – ed è questo un principio educativo – del senso del valore proprio e altrui, del vivere nel rispetto proprio ed altrui, del riconoscimento di sè e dell’altro. La disponibilità dell’adulto nei riguardi della vita dell’educando si esprime in quanto “presenza”, intesa come capacità di esserci non per sostituirsi al percorso di vita dell’altro ma per condividere gioie, dolori, paure, occasioni. La presenza – ovverosia l’esserci per l’altro – si identifica con il fattore dell’intimità, che è una capacità che può essere appresa. La qualità della relazione educativa è naturalmente direttamente proporzionale alla misura in cui l’educatore considera l’educando importante tanto quanto se stesso: “non fare agli altri quello che mai faresti a te stesso”. Il modo in cui l’educatore – genitore o insegnante che sia – esprime tale importanza, rappresenta la misura della qualità educativa.
Infine, una visione più ampia quale quella socio-relazionale di Donati, individua come elementi che consentono lo sviluppo della relazione educativa nel
riconoscimento personale (affermare la verità dell’altro, confermare la sua identità,
essergli riconoscenti) e nel riconoscimento relazionale (fare dell’altro un soggetto e non un oggetto della relazione), da cui ricava che gli indicatori di qualità della relazione educativa giacciono nei requisiti di una configurazione relazionale
adeguata al suo scopo, che è quello di generare un bene relazionale virtuoso fra
coloro che si trovano in quella relazione (cosiddetta relazione AGIL). La qualità della relazione educativa è di fatto proporzionale a come vengono praticati ed intrecciati fra loro:
(L) il valore del dono (dare per primi, ovvero essere debitori anziché creditori verso l’altro),
(I) la norma della reciprocità (il dono è fatto nell’aspettativa che l’altro lo accetti e contraccambi a suo modo con un equivalente – o quasi equivalente – simbolico),
(G) le deliberazioni su che cosa fare ovvero come comportarsi (i corsi di azione, modus vivendi, ecc.),
(A) i mezzi necessari per l’agire di chi è destinatario attivo e partecipativo di un programma educativo o anche di una singola azione educativa.