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Teorie inerenti i processi nella relazione educativa

è intrinsecamente educativa

2.1 Teorie inerenti i processi nella relazione educativa

Il tema della relazione educativa è assai articolato e complesso, per cui si da’ la necessità di selezionare almeno alcune prospettive per individuare, nell’ambito di tale ampio argomento, talune peculiari sollecitazioni.

Innanzitutto occorre problematizzare il tema della relazione educativa, in quanto propulsore dei processi formativi sottesi ai percorsi di crescita e di maturazione dell’uomo. Le prospettive teoriche interessate alle prerogative caratterizzanti la “relazione educativa” sono numerose e diversificate – spaziando dalla filosofia umanistica alla psicologia dinamica, dagli indirizzi pedagogici alle teorie sistemiche – ma crediamo che alcune linee di ricerca abbiano, più di altre, carattere d’attualità e rilevanza epistemologica. Tra queste:

- la psicologia culturale23, con particolare riferimento agli apporti all’approfondimento del concetto di “funzione tutoriale” derivabili da quello di “zona di sviluppo prossimale” di Lev Vygotskij e dalle riflessioni sulla pratica di “scaffolding” elaborate da Jerome Bruner, con cui è in genere indicato quell’insieme di azioni e di interventi agiti da un soggetto più esperto verso un

Il capitolo riporta una parte, rivista e rielaborata, dell’articolo Margiotta e Zambianchi “La trama enattiva della relazione educativa nello sviluppo della genitorialità”. Formazione&Insegnamento, Supplemento al numero tematico 3/2011, pp. 257-263.

23 La Psicologia Culturale, soprattutto grazie alla concezione di Bruner (1995), superando la visione computerizzata della mente sviluppata dal cognitivismo, analizza il rapporto di natura psicologica – quindi sia affettivo che cognitivo – che l‘individuo elabora ed intrattiene con la cultura d’appartenenza, evidenziando la circolarità dinamica fra mente e cultura: In sostanza, mentre l’uomo costruisce il proprio sé interiorizzando i simboli del sistema culturale, contemporaneamente contribuisce alla modificazione della stessa attraverso un intervento interpretativo che è intersoggettivo, in quanto si manifesta nella comunicazione con l’altro da sé.

soggetto meno abile – in situazione relazionale di apprendimento – in vista della realizzazione di un compito, della risoluzione di un problema, del raggiungimento di un obiettivo, altrimenti impossibili in condizione di isolamento;

- la psicologia dinamica, con particolare riferimento da un lato agli apporti della psicologia clinica grazie (i) alla teoria delle relazioni oggettuali della Mahler (1978) da cui deriva l’assunto di “nascita psicologica” per via del processo di separazione-individuazione, (ii) alla teoria della “nascita della psicologia del sé” di Kohut (1980), che sottolinea l’essenzialità delle relazioni con gli altri ai fini della sopravvivenza psicologica del bambino e (iii) alla teoria dell’attaccamento di Bowlby (1989), che spiega il legame precoce e duraturo dei neonati verso le figure di accadimento; (b) dall’altro lato agli apporti derivanti dalla psicologia dell’Io, con particolare riferimento alla teoria dell’Analisi Transazionale di Berne (1971; 1986a), che evidenzia come i cambiamenti cognitivi e comportamentali dell’individuo si realizzino nel qui-ed-ora in virtù di scambi intersoggettivi di varia natura tra individui in comunicazione;

- la pedagogia, soprattutto in riferimento al rapporto tra sviluppo della relazione educativa e formazione dei “talenti” (Margiotta, 1997), alla progettualità formativa sull’uomo (Margiotta, 1995, 2011e) nonché all’individuazione dello spazio relazionale entro cui un individuo responsabile riesce a trovare la giusta misura per rapportarsi all’altro da sé in quei setting educativi che operativizzano la primarietà della cura (Mortari, 2006b; 2009a);

- la sociologia, con particolare riferimento alla teoria relazionale per l’analisi della società e della famiglia elaborata da Donati (1989) e al modello di formazione dell’identità sociale elaborato dalla Archer (2003, op. or.), senza tralasciare l’apporto associato al costruzionismo sociale di Gergen (2001, 2004), che offre una visione “relazionale” del sé, dove l’attenzione è posta sui processi relazionali da cui sono intese originare la razionalità e la moralità dell’uomo; - le neuroscienze, in specie il filone di ricerca dei sistemi “mirror”, secondo cui alla

base dei fondamentali processi relazionali – dalla condivisione empatica tra madre e bambino sino alle più sofisticate modalità includenti l’uso del linguaggio

– vi sarebbe il substrato fisiologico dei cosiddetti “neuroni specchio”24. Tale modello, modificandoradicalmente la visione del cervello umano, attribuisce lo sviluppo cognitivo dell’individuo in dipendenza dall’intersoggettività (cfr. Rizzolatti e Sinigaglia, 2006; Gallese, 2006; Iacoboni, 2008)25,26.

Dunque il connotare la relazione nei termini di “educativa” non concerne un’accezione soltanto pedagogica, dato che tale oggetto di studio è di pertinenza anche di numerose altre diversificate discipline. Ciò che qui però interessa è cercare di individuare, da una prospettiva prevalentemente pedagogica, da un lato le precipue caratterizzazioni che consentono di stabilire la formatività di una relazione educativa e, dall’altro, i bisogni, le urgenze, le mancanze, le domande degli adulti – nel caso specifico, dei genitori – a fronte di una piena e responsabile assunzione del proprio ruolo “in quanto educatori”, per promuovere lo sviluppo ottimale del bambino (Bonino, 2012).

24 La scoperta dei neuroni specchio è avvenuta oltre venti anni fa da parte di un gruppo di ricerca dell’Università di Parma diretto da Giacomo Rizzolatti durante esperimenti di registrazione di singoli neuroni della corteccia premotoria delle scimmie (Rizzolatti et. al. 1996; Gallese et. al., 1996). I neuroni specchio si attivano nel riconoscimento di azioni per raggiungere oggetti – il nome “specchio” si deve al fatto che i neuroni si attivano “come se” agissero l’azione osservata. L’osservazione è stata quindi confermata, con l’impiego di tecniche non invasive di neural imaging, come la TAC e la risonanza magnetica, anche per i neuroni degli esseri umani. Sulla base delle risultanze di diversi esperimenti condotti in vari laboratori, si ritiene che il riconoscimento delle emozioni e delle intenzioni degli altri come pure l’apprendimento per imitazione, per arrivare alla comunicazione verbale siano collegati al processo di attività dei neuroni specchio – e che un funzionamento imperfetto di questo meccanismo sia alla base dell’autismo; i neuroni specchio hanno assunto un ruolo primario per le neuroscienze contemporanee.

25 Secondo questa stimolante prospettiva, sin dai primi mesi di vita l’essere umano sarebbe in grado di “afferrare la mente” degli altri non tanto attraverso il ragionamento concettuale quanto attraverso la simulazione delle loro azioni, “sentendo” piuttosto che “pensando”. D’altra parte, già i protocolli sperimentali attuati da Trevarthen già dagli anni ‘70 (Trevarthen, 1974; 1993), nel dimostrare come la coordinazione reciproca tra il comportamento della madre e quello del suo bambino in situazioni di gioco libero sia evidente nei movimenti, nelle espressioni facciali e nell’anticipazione dei movimenti reciproci, hanno altresì messo in luce che osservando attentamente il gioco di sguardi e la comunicazione non verbale che “passa” silente tra madre e bambino ci si può rendere conto che il neonato è in grado di stare adeguatamente all’interno di una comunicazione con “l’altro da sé” in modo sincrono, rispettando i turni previsti dalla comunicazione (cfr. cap. 1, § 1.4).

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Ciò che risulta interessante, ai nostri fini, é che i risultati sperimentali di questo filone di ricerca appaiono pienamente consonanti con l’ipotesi del ruolo centrale dell’embodied simulation nell’intersoggettività, suggerendo che non vi sono aree nel cervello specificamente deputate a codificare le intenzioni altrui ma che questa attribuzione avviene in modo automatico grazie all’analisi degli aspetti motori dell’azione e del contesto in cui essa avviene (cfr. Gallese 2007, 2010).

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