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La famiglia capitale sociale della società

Qualità della relazione educativa genitoriale

3.1 La famiglia capitale sociale della società

Nel primo capitolo si è riportato, seppure per sommi capi, come i profondi mutamenti culturali e sociali abbiamo investito anche la famiglia – che consideriamo portatrice di una “primarietà” educativa rispetto alle altre agenzie di formazione personale e sociale – ciò comportando da un lato una rapida trasformazione delle strategie di socializzazione e di educazione dei figli e, dall’altro, una modificazione delle forme relazionali e dei vissuti interni al nucleo familiare (cfr. Cusinato, Cristante e Morino Abbele, 1999; Corsi, 2008; Donati, 2012a,b,c; Pati, 2005, 2008a; Scabini e Rossi, 2007a, 2010; Rossi 2001, 2003). La famiglia rappresenta l’attore sociale maggiormente qualificato ad aiutare a trovare senso e dignità alla persona impegnata nel suo processo di crescita e, pertanto, affinché essa possa attuare al meglio la sua primaria funzione di fattore protettivo e di costituente insostituibile nei processi di cura, di educazione e di socializzazione dell’individuo, va sopportata in ogni sua fase del ciclo vitale e in ogni condizione, sia di fragilità e di svantaggio che di supposta normalità (cfr. Iori, 1999; 2007).

Nel mondo occidentale è perciò da tempo attiva una riflessione sulle trasformazioni strutturali della famiglia e sui rinnovati vincoli parentali59 che hanno posto – e continuano a porre – interrogativi sempre nuovi, aprendo la strada ad innovative prospettive educative (Simeone, 2008).

Va in ogni caso preso atto che l’esperienza genitoriale non costituisce solamente un costrutto privato ma che comporta altresì una dimensione pubblica (cfr. Cap. 6): diventare genitori significa assumere una responsabilità anche nei confronti della

59 Nel breve periodo di una generazione si è assistito ad una repentina metamorfosi dei ruoli paterni e materni, al transito dalla famiglia normo-costituita a quella affettiva, al cambiamento dei rapporti intergenerazionali, allo sviluppo di nuovi assetti relazionali (Nardone, 2001; La Sala e Rinaldi, 2012).

società, una responsabilità che è fortemente sottolineata in ambito nazionale dall’articolo 30 della nostra Costituzione, in ambito comunitario dalla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, in ambito trasnazionale dalla Convenzione sui diritti del fanciullo. Tale responsabilità necessita di intenzionalità, reciprocità, asimmetria, vale a dire di presa in carico responsabilmente, da parte dell’adulto, del processo formativo delle nuove generazioni. D’altra parte, è altresì doveroso evidenziare che nella cultura occidentale i temi ed i problemi connessi a quella che da più parti (non solo dagli esperti del settore ma anche dal più vasto ed eterogeneo dominio della collettività civile) viene indicata nei termini di “emergenza educativa”, nutrono il dibattito relativo alla possibilità di edificare una “buona società” (Bellah et al. 1991; vedi anche Bortolini, 200960) ma, soprattutto, di riuscire a consegnarla, integra, alle nuove generazioni (Donati, 2010).

Come già evidenziato, l’adulto sembra oggi aver spostato sull’infanzia e sull’adolescenza la responsabilità – “la fatica” – del suo esistere, quasi capovolgendo i piani educativo-formativi (Marcelli, 2004). Sicuramente, come si è potuto ricavare dalle osservazioni di Pati (2012a)61 “qualificare la condizione di vita dei genitori d’oggi con l’appellativo di «spaesamento» è operazione affatto difficile: basta pensare alla copiosità con cui programmi televisivi, riviste specialistiche, siti, blog, ecc. si prodigano per fronteggiare il crescente disorientamento educativo

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In un’intervista rilasciata a Bortolini nel 2008 e dallo stesso pubblicata l’anno seguente (Bortolini, 2009) il sociologo ed educatore americano Bellah afferma “…Nell’odierna crisi globale è impossibile dividere buoni e cattivi: abbiamo tutti bisogno degli altri, ma abbiamo bisogno anche che ragione critica e fede profonda si sostengano reciprocamente. Una ideologia alternativa a quella che domina la nostra società attuale – una alternativa che appare illusoria ai “realisti” del nostro tempo, ma che rappresenta l’unico modo per realizzare davvero una politica etica e una società civile davvero funzionante – è il recupero di una corretta comprensione del sé, simile a quella proposta oltre che dalla filosofia di Platone anche da tutte le principali religioni e filosofie dell’umanità…. Viviamo in una società ossessionata dal sé – vogliamo più di ogni altra cosa essere ricchi, potenti, belli o ammirati, e io non posso pretendere di essere un’eccezione. Ma invece di dire che siamo troppo ossessionati dal nostro sé, sarebbe forse meglio dire che non lo siamo abbastanza, che il nostro sguardo non è andato abbastanza a fondo per comprendere ciò che realmente vogliamo, cioè un sé giusto, capace

di trattare gli altri con giustizia nell’ambito di una società giusta. Le opere più ambiziose di Platone,

la Repubblica e le Leggi, sono progetti di buone società armonizzate con il cosmo – progetti che a noi appaiono problematici e che non vorremmo mai seguire alla lettera – anche se oggi alcuni studiosi sono convinti che essi servissero a stimolare una riforma della democrazia e non semplicemente a sostituirla. Ciononostante, è indubbio che Platone avesse ragione nel dire che un buon sé e una

buona società vanno di pari passo e nell’epoca della globalizzazione dobbiamo aggiungere che un buon sé e un mondo buono sono l’uno la premessa dell’altro”.

61 Relazione del prof. Luigi Pati presentata al Convegno “S.O.S. Genitori: Gli spaesamenti della contemporaneità” organizzato dalla Facoltà di Scienze della Formazione - Università Bicocca Milano nel mese di maggio 2012. Cfr. on line: http://www.unimib.it/upload/pag/45004/so/sosa4.pdf.

genitoriale e rispondere alla richiesta di indicazioni per riuscire ad orientarsi nei dedali dell’evoluzione figliare” (vedi anche Pati, 2012b, pp. 21-25).

Su questo stesso tema così si esprime Vanna Iori (2012, pag. 23): “la percezione della fine di un «ordine» nelle relazioni interne alla famiglia e tra le famiglie acuisce sentimenti di inadeguatezza e smarrimento di fronte ai compiti genitoriali… Ma a chi sia tentato dalle nostalgie e rimpianga le «famiglie di una volta» è opportuno ricordare che nelle famiglie patriarcali non regnavano armonia, solidarietà e unione, ma spesso sofferenza, incuria e sopraffazione. E tuttavia è necessario partire proprio da lì, interrogarsi su questi assetti familiari scomparsi, per cercare di capire in quale direzione si stiano muovendo oggi le microstorie familiari, private e personali, che si intrecciano con la grande storia sociale e collettiva nel succedersi delle diverse epoche…”.

A tal proposito, una recente originale ricerca curata da Donati (2012a) ha cercato di rispondere ad alcune fondamentali domande, tra cui il comprendere se la famiglia normo-costituita62 sia ancora una risorsa per la persona e per la società o sia invece una “sopravvivenza del passato”, ostacolante l’emancipazione degli individui e l’avvento di una società più libera, ugualitaria, felice. A questi ed altri quesiti l’indagine di Donati ha fornito risposte evidenti, alle quali rimandiamo per gli opportuni approfondimenti. Ciò che qui preme rilevare è che la famiglia normo- costituita risulta essere la fonte del capitale sociale63 primario della società. Il

capitale sociale qui giace nelle relazioni di fiducia, nella cooperazione e nella reciprocità che la famiglia crea sia al proprio interno (cosiddetto capitale sociale

bonding) sia nelle reti esterne, cioè nella parentela, vicinato, gruppi amicali,

associazioni (cosiddetto capitale sociale bridging). In breve, l’indagine mostra la famiglia quale sorgente di valore sociale aggiunto, non solo perché “produce” individui “più attrezzati” dal punto di vista della salute e del benessere ma anche – e soprattutto – in quanto genera un tessuto sociale, cioè una sfera civile e pubblica,

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Per famiglia normo-costituita Donati (2012c) intende la famiglia naturale sia essa nucleare (cioè costituita dalla coppia stabile uomo-donna con i propri figli), sia essa estesa (includente parenti stretti nell’aggregato domestico).

63 Il “capitale sociale” connota, secondo la definizione sociologica, è il collante che tiene uniti tutti gli elementi che costituiscono la Società: esso comprende quel complesso di valori condivisi e di regole comportamentali socialmente stabilite, che presiedono le relazioni interpersonali e attraverso queste vengono espressi, congiuntamente alla diffusione di un senso comune di fiducia e di responsabilità civica tali da rendere la Società eccedente l’agglomerato di elementi che la costituiscono, sia esse istituzioni che individui.

che nel contempo richiede e restituisce valori e regole di vita umana e, quindi, promuove il bene comune. I risultati della ricerca di Donati – tra l’altro in linea con quelli del Primo Rapporto Biennale sulla condizione familiare in Italia commissionato dall’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia (cfr. Donati 2012b,c) – conducono da un lato a ritenere la famiglia normo-costituita ancora “sorgente vitale della società” e, dall’altro, a porre in evidenza come la famiglia stia attualmente avviandosi verso una nuova fase della sua storia; onde per cui, superata quella della de-istituzionalizzazione, la prospettiva sembra condurre alla generazione di strutture e assetti relazionali tali da conferirle un nuovo senso istituzionale.

D’altra parte, numerose evidenze che ci provengono soprattutto da studi sociologici ed antropologici non mancano di sottolineare che se il cambiamento epocale dell’attuale nostra società non ha mancato di incidere in modo essenziale sulla famiglia, non è stato certamente tale da distruggerla: pur determinandone l’odierno pluralismo, non ha infatti scalfito il radicale profondo principio su cui essa di basa e si riconosce “juxta propria principia” (Orlando Cian, 2001, pag. 94). Su questa base è possibile che la famiglia d’oggi – ambiente di vita particolare entro un più ampio contesto, realtà originaria e originale per la costruzione dell’identità personale – si connoti a soggetto che, più di altri, riesce ad orientare il cambiamento, attribuendo ad esso il giusto senso. È in questa prospettiva che trova collocazione l’educazione familiare odierna dato che, in accordo con Orlando Cian (ibidem, pag. 92), “non si tratta di una dipendenza assoluta della famiglia dalla società ma della possibilità – per essa – di essere «altro», cioè di orientare il cambiamento, precipuo non solo di ogni periodo storico ma della vita di ogni persona, in direzione di una maggior umanizzazione, di un modello di relazione che comprenda il soggetto-famiglia, la sua volontà, le sue aspirazioni, la sua specificità”.

Quale lezione si può dunque trarre da queste evidenze, al fine di supportare la famiglia, la sua identità, il suo ruolo, le sue funzioni? In sostanza, qual è il giusto senso che le politiche di educazione familiare sono chiamate a garantire?

Crediamo che oggi, in questa nostra società complessa, un fecondo piano di educazione familiare non possa che:

(a) partire dagli elementi di fragilità, di incertezza e dai limiti delle giovani famiglie mantenendo uno sguardo positivo all’orizzonte, vale a dire a quello che è il fine

educative da esse possedute, ovvero sulla capacità enattiva di generare affetti, conoscenze e di “dar forma alle menti” così favorire l’estrinsecazione del Sé, per dirla con Margiotta (cfr. § 2.2.4);

b) considerare l’educazione familiare – come d’altra parte l’educazione in toto – mai un fatto privato ma sempre pubblico, con ciò intendendo che nessuno possiede singolarmente la risposta ai problemi educativi né può costruire da solo il domani per il proprio figlio e che quel domani non riguarderà solo quel proprio figlio. Detto altrimenti, un’autentica responsabilità educativa va sempre condivisa. In questo “le istituzioni educative ed i servizi per l'infanzia possono fare molto per diventare sempre più luoghi di partecipazione e d'incontro con le famiglie, spazi di pensiero condiviso sull’educare, nuclei centrali della “comunità educante”. L'etica della cura educativa corrisponde perciò alla cura delle istituzioni educative per pensare, agire, decidere di educare” (Iori, 2012, pag. 134; cfr. anche 2008a).

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