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è intrinsecamente educativa

2.2 Le prospettive di analis

Nel precedente paragrafo si è cercato di porre in evidenza, seppure per sintetici cenni, quanto numerose e diversificate siano le linee di indagine che – mutuando da diversificate prospettive teoriche – riescono ad offrire tutte preziosi contributi alla comprensione del particolare rapporto intersoggettivo declinabile nei termini di “relazione educativa”. Tuttavia, riteniamo maggiormente funzionali, ai nostri fini, le seguenti prospettive di analisi:

(i) una prima linea interpretativa riferibile alla prospettiva antropologica, a causa del suo porre al centro dell’educazione la persona, così come nella visione di tradizione cattolica di Maritain;

(ii) una seconda linea interpretativa derivabile dalla prospettiva della psicologia

culturale di Bruner, a causa della valorizzazione e della messa a punto di

pratiche educative di scaffolding innestate sulla teoria prossimale dello sviluppo di Vygotskij;

(iii) una terza linea interpretativa relativa alla prospettiva fenomenologico-

ermeneutica, così come sviluppata da Luigina Mortari e che esalta l’importanza

della pratica riflessiva sull’esperienza in vista del perseguimento, attraverso la consapevolezza, di una formazione dell’umano quanto più autentica possibile; (iv) una quarta linea interpretativa, innestata sulla precedente, riferibile alla

prospettiva pedagogico sviluppata da Margiotta, che pone a paradigma

dell’educazione la sua capacità enattiva nel generare tras-formazione a partire dalle esperienze intersoggettive, considerate sempre retroattive rispetto alla costruzione del sé e dello sviluppo dei talenti umani.

2.2.1 Una prospettiva di derivazione antropologica

Una prima linea problematizzante il tema della relazione educativa è di derivazione

antropologica così come nella visione di Jacques Maritain (op. or. 1936; 1959),

secondo cui al centro dell’educazione vi è la persona, unione di anima e corpo, unità inscindibile ed indissolubile di spirito e materia. Quella di Maritain è un’antropologia di ispirazione evangelica, nonostante tale richiamo abbia una connotazione non propriamente confessionale quanto piuttosto etica, non religiosa

ma valoriale, a sottolineare la totale apertura ad istanze universali del suo pensare, seppure nella radice cristianamente motivata. Maritain eleva ad ordinamento della sua visione il cosiddetto Personalismo pedagogico27, rivalutando profondamente – rispetto all’immanentismo della modernità che aveva condotto alla negazione di ogni valore trascendentale dell’uomo – sia la personalità dell’educatore che quella dell’educando, assegnando significato formativo alla relazione educativa intercorrente tra i due.

L’apporto di Maritain alla pedagogia – soprattutto a quella del secolo scorso – è indubbiamente tra i più rilevanti, in special modo per la sua riflessione sull’inscindibile legame tra persona ed educazione, in particolare laddove ribadisce come, in una visione di “ritorno alla persona”, sia fondamentale tenere in debita considerazione l’educazione. Secondo Maritain (1963, pag. 20), infatti, l’educazione è la via obbligatoria per l’umanizzazione, dato che l’uomo giace tra due poli: “un

polo materiale, che non concerne, in realtà, la persona vera e propria, ma piuttosto

l’ombra della personalità o ciò che noi chiamiamo, nello stretto senso della parola, l’individualità; e un polo spirituale, che concerne la personalità vera e propria”. Attraverso l’educazione i due poli si equilibrano, così che la persona non abbia da perdersi nella istintualità ma nemmeno nella mera materialità; ciò comporta che l’uomo, pur nascendo come “persona completa”, diventi “persona compiuta” solo nella realizzazione di sé, come personalità28.

27 Il Personalismo è una corrente filosofica a doppia matrice – cattolica e laica – sorta in Francia intorno agli anni ‘30, tra le due guerre, ma velocemente espansasi in Europa, volta ad una visione dell’umano opposta ed alternativa sia all’individualismo che al totalitarismo predominanti in quella particolare fase storica. I maggiori esponenti del Personalismo sono filosofi francesi (Mounier, Marcel, Nedoncelle, Maritain, Ricoeur), italiani (Carlini, Stefanini, Pareyson) e tedeschi (Landsberg, Scheler). Nel dopoguerra italiano, in un contesto di riedificazione materiale e spirituale, il personalismo partecipò ad esaltare l’importanza dell’educazione tanto da ispirare non solo i programmi per la scuola elementare del 1955 ma anche il pensiero pedagogico italiano. A prescindere dai vari punti di vista e anche orientamenti a volte antitetici, il principio ispiratore della corrente personalistica italiana giace nel concetto di “educazione integrale” (cfr. Musaio, 2001; De Sio Cesari, 2005a,b).

28

Maritain si serve del lemma “persona” riferendosi al “punto d’inizio”, in quanto ciascun uomo è persona, è un valore e di quello di “personalità” per indicare il “punto d’arrivo” del fine educativo, in quanto non tutti gli individui realizzano il loro sé, la loro “persona”. A volte Maritain utilizza i lemmi come sinonimi, intendendoli alla stregua di “facce della soggettività”; in ogni caso, dal suo pensiero emerge sempre chiaramente che egli intende per “persona” l’elemento ontologico, ovvero “uomo” quale universo di se stesso, nella sua autocoscienza ed autodeterminazione, mentre per “personalità” intende l’elemento sociologico della persona, che grazie alla cultura e alla ulteriorità realizza la propria compiutezza, divenendo così se stessa.

Maritain differenzia anche il concetto di “individuo” in due componenti, in quanto ciascun “essere” esiste (a) nella sua “distinta individualità”, indifferentemente che si tratti di un oggetto piuttosto che di un animale, di un vegetale o di un uomo e (b) nella sua “individualità”, poiché l’uomo nella sua materialità giunge all’“essere ciò che” è a partire da un inizio che lo porta ad essere “parte” dell’universo materiale attraverso l’evoluzione biologica. Su queste riflessioni Maritain fonda la sua idea di uomo quale “individuo e persona tanto nel corpo che nello spirito” in virtù dell’unità sostanziale della sua esistenza umana; ma proprio a causa di questa natura complessa l’uomo può disperdersi nell’individualità materiale, lasciandosi andare alle numerosissime inconciliabilità del vivere istintuale oppure costruirsi nella personalità spirituale, fondendo nell’integralità tutte le forze fisiche, psichiche, spirituali coesistenti nella sua soggettività in quanto “essere creato”. Maritain non intende certamente prospettare un’antitesi tra anima e corpo ma piuttosto evidenziare la contrapposizione tra l’individualità (l’attaccarsi alla “materia”) e la

personalità (in quanto realizzazione compiuta dell’uomo in quanto Sé). Nella visione

dell’autore ciò è garantito solamente da un’educazione armoniosa, altruista e fondatamente umanistica, dato che solo l’educazione conduce l’uomo, in quanto essere individuale, a realizzarsi come personalità compiuta nel rispetto delle leggi morali e dell’etica, delle strutture sociali, della vocazione spirituale.

La centralità del fine in educazione

Nel suo testo I fini dell’educazione Vico (1995) disserta a lungo sul fatto che l’educazione si struttura nel riconoscimento di quella finalità che è intrinseca in ciascun individuo. Ma su questo punto Maritain (1966) già si era espresso, mostrando che l’educazione, di per sé, aveva oramai perso la sua connaturata funzione di attribuire il senso all’esistenza umana, divenendo invece il mezzo, di un

fine, che avrebbe dovuto esserne piuttosto l’obiettivo. Aveva in sostanza posto in

rilievo il reale problema dell’educazione contemporanea, individuabile proprio nell’eccessiva attenzione ai mezzi dell’educazione invece che ai suoi fini. In

L’educazione al bivio, originariamente pubblicato in lingua inglese nel 1943, effettua

evidenziando il primo nel “misconoscimento dei fini” ed il secondo nelle “false idee riguardo al fine”:

“E qui vediamo subito i due grandi errori da cui deve guardarsi l'educazione. Il primo consiste nella dimenticanza o nel misconoscimento dei fini. Se i mezzi sono voluti e studiati per amore della loro propria perfezione – e non soltanto come mezzi –in questa precisa misura cessano di condurre al fine e l’arte perde la sua forza pratica: la sua vitale efficienza è sostituita da un processo di moltiplicazione all’infinito, perché ogni mezzo si sviluppa per se stesso e prende per se stesso un campo sempre più esteso. Questo primato, dei mezzi sul fine ed il conseguente crollo di ogni finalità certa e di ogni vera efficacia nel realizzarla, sembra sia il principale rimprovero. I suoi mezzi non sono cattivi; al contrario, sono generalmente migliori di quelli della vecchia pedagogia. Il guaio è precisamente che essi sono così buoni da farci perdere di vista il fine … Il bimbo è così ben esaminato mediante i vari test e studiato; i suoi bisogni sono così ben precisati; la sua psicologia è così chiaramente analizzata; i metodi per rendergli sempre tutto facile così perfezionati che il fine di tutti questi lodevoli miglioramenti corre il rischio di essere dimenticato o trascurato … Il perfezionamento scientifico dei mezzi e dei metodi pedagogici è in se stesso un progresso evidente, ma quanto più acquista importanza, tanto più richiede un parallelo rafforzamento della sapienza pratica e della tensione dinamica verso il fine da raggiungere” (Maritain, 1966, pp 15-16).

A fronte dell’imperante riduzionismo e del progressivo decadimento umano caratterizzanti la società del suo tempo, Maritain avanza dunque l’idea per un “umanesimo integrale”, tale da poter ricondurre ad unità le dimensioni della naturalità, della socialità e della spiritualità della persona a livello di interpretazione antropologica, capace – nel contempo – di armonizzare l’insieme dei valori etici e politici elaborati dal pensiero democratico fondato sul messaggio evangelico a livello di interpretazione politica. Il fine ultimo è quello di contribuire ad una Società al servizio della Persona, nella libertà, nella giustizia e nella tolleranza. Egli propone “il personalismo come alternativa all’individualismo e la dimensione comunitaria in alternativa al collettivismo, intendendo in tal modo presidiare i valori spirituali della Persona – custode di un destino trascendente – senza dimenticare il suo ruolo sociale come individuo responsabile di relazioni autentiche” (cfr. Richieri, 2011, pag. 346). Maritain è consapevole di quanto tale tentativo di “integralità” necessiti di un impegno particolare da parte dell’educazione, la cui principale funzione dovrebbe essere quella di dare impulso ad una visione globale – appunto integrata – della

persona. L’umanesimo integrale connota dunque la valorizzazione dell’Uomo in termini di globalità antropologica e di compimento assiologico: interessa ogni dimensione della vita umana (intellettuale, estetica, etica, politica, religiosa, ecc.) e, soprattutto, fa dell’uomo le fondamenta e il fine dell’educazione. L’individuo, nella sua globalità, costituisce il punto d’origine di ogni sua propria azione, laddove l’educazione ha il principale compito di accompagnarne lo sviluppo armonico affinché egli possa dare forma a se stesso fino a divenire Uomo:

“…L’uomo non è soltanto un «animale di natura», come l’allodola o l’orso. È anche un «animale di cultura», la cui specie può sussistere soltanto con lo sviluppo della società e della civiltà; è un animale storico: donde la molteplicità dei tipi culturali o etico-storici che diversificano l’umanità; da qui, anche, l’importanza dell’educazione. Per il fatto stesso di essere dotato di un potere di conoscenza illimitato, che però deve avanzare per gradi, l’uomo non può progredire nella sua vita specifica, sia sul piano spirituale che morale, senza l’aiuto della esperienza collettiva accumulata e conservata dalle generazioni precedenti e di una regolare trasmissione delle conoscenze acquisite. Per raggiungere questa libertà nella quale attua se stesso, e per la quale è fatto, egli ha bisogno di una disciplina e di una tradizione che incideranno notevolmente su di lui e al tempo stesso lo rafforzeranno tanto da renderlo capace di lottare contro di esse” (Maritain, 1959; trad. it. 2001, pag. 61).

Pertanto, oltre ai bisogni inerenti le obbligatorietà della vita pratica, l’uomo necessita non solo di ideali ma anche di poter dare risposta ad alcune domande fondanti inerenti la propria identità, il senso dell’esistenza, il senso del mondo e della storia umana oltre che il senso del destino finale. Compito dell’educazione è di aiutare a rispondere a queste domande, pena il deprezzamento della sua più eminente caratterizzazione, di natura del tutto assiologia, che è appunto l’attribuzione di senso alla vita.

Per queste motivazioni, la finalità ultima dell’educazione diventa la formazione

“integrale” dell’uomo, sia dal punto di vista dell’adattamento all’ambiente sia dal

punto di vista della dimensione assiologica sulla cui base disporre la propria vita.

D’altra parte, un’educazione che fornisse i mezzi per agire senza indicare i fini giustificanti l’agire risulterebbe un’educazione incompleta, parziale così come, viceversa, se ponesse i fini senza i mezzi per raggiungerli. L’educazione, se vuole

essere effettivamente un’educazione compiuta, deve essere “integrale”, nel senso che deve curare tanto la dimensione pratica che valoriale. Afferma Maritain (1959):

“Possiamo ora definire in maniera più precisa lo scopo dell’educazione: guidare l’uomo nello sviluppo dinamico durante il quale egli si forma in quanto persona umana – provvista delle armi della conoscenza, della forza del giudizio, e delle virtù morali – mentre, nello stesso tempo, a lui giunge l’eredità spirituale della nazione e della civiltà alle quali appartiene, e il secolare patrimonio delle generazioni che così può essere conservato. L’aspetto utilitario dell’educazione – il fatto che essa metta il fanciullo in grado di esercitare più tardi un mestiere e di guadagnarsi la vita – non deve certo essere disprezzato. Ma il mezzo migliore per ottenere questo risultato pratico è sviluppare le capacità umane in tutte le loro possibilità. E gli studi specializzati che potranno ulteriormente essere richiesti non dovranno mai mettere in pericolo lo scopo essenziale dell'educazione … Le principali aspirazioni della persona sono per la libertà. Non intendo quella libertà che si identifica con il libero arbitrio e che è un dono di natura in ciascuno di noi; ma quella che è spontaneità, espansione, o autonomia, e che noi dobbiamo conquistare attraverso uno sforzo costante ed una lotta continua. E qual è la forma più essenziale di questa aspirazione? Il desiderio della libertà interiore e spirituale” (Maritain, 1959; trad. it. 2001, pp. 72-73).

Nella relazione educativa, secondo questa prospettiva, risulta essenziale la

reciprocità, ovvero l’instaurarsi di un rapporto interpersonale tra chi educa e chi

viene educato, che deve realizzarsi entro uno spazio processuale comprendente e costituente ambedue nel contempo. Qui il fine ultimo dell’educazione di formare una personalità compiuta non è tanto uno schema o una definizione che l’adulto può imporre al figlio o all’allievo quanto una tensione comune che coinvolge l’educatore non meno di colui che viene educato. Lo scopo della conoscenza è dunque disinteressato, poiché viene riconosciuto come valore di per sè: la conoscenza (la verità) fa l’uomo libero e l’educazione personalistica compie questo cammino di liberazione delle coscienze che cercano la sapienza e la verità come beni universali.

L’uomo come ontologicamente orientato alla relazione

La visione di Maritain può senza dubbio considerarsi tesa ad un orientamento speculativo di tipo metafisico, la cui essenza giace “nel riconoscimento della libertà

come sostanza della persona” (Mari, 2009, pag. 26), dove il contributo alla concettualizzazione della “relazione educativa” è rinvenibile nelle connotazioni dinamiche – cioè in evoluzione – della relazione stessa, supportata da un

atteggiamento autorevole (da intendersi come “autorevolezza educativa”; cfr. Pati,

2008b; Chionna, 2010), che Maritain declina nei due livelli dell’autorità intellettuale e dell’autorità morale. Su tali punti così si esprime Maritain (2001; riportato da Musaio, 2012):

“…nell’opera educativa, gli adulti non debbono imporre coazioni ai fanciulli… Ciò che è loro richiesto da principio è l’amore, e in seguito l’autorità, un’autorità autentica e non di un potere arbitrario, l’autorità intellettuale per insegnare e l’autorità morale per farsi rispettare e ubbidire… Quali sono, nell’opera educativa, i doveri essenziali degli adulti di fronte alla gioventù? Innanzitutto debbono stare attenti a ciò che corrisponde al fine primario dell’educazione, ossia la verità da conoscere ai diversi gradi della scala del sapere, e la capacità di pensare e di giudizio personale da sviluppare, rinvigorire e stabilire fermamente; in seguito debbono prendersi cura di ciò che corrisponde ai fini secondari dell’educazione, in particolare di assicurare la trasmissione dell’eredità di una data cultura” (Maritain, 2001, pp. 238- 239).

Rispetto a tali considerazioni Musaio (2012, pag. 59 e segg.) ritiene che “il paradigma di natura antropologica che guida l’analisi del tema della relazione educativa implichi il riconoscere che per educare occorre aver chiara quale sia la prospettiva intorno all’uomo, al suo destino, al senso della sua esistenza”. La relazione connota dunque una dimensione originaria ed intrinseca dell’umano, rappresentando un punto di avvio che inizia con la vita, in una continua trama che si dispiega tra apprendimenti, conoscenze, azioni, scambi, entro un processo unitario e continuo, costantemente orientato alla piena umanizzazione della persona. Se consideriamo l’uomo ontologicamente orientato alla relazione, allora possiamo anche capire come per mezzo della relazione interpersonale l’individuo si protragga al di là di se stesso, ovvero verso l’altro e verso ciò che ne caratterizza la peculiare essenza, incontrando tangibilmente se stesso, attraverso l’altro: “l’incontro è l’origine del processo di autorealizzazione” (Guardini, 1987, pag. 46).

L’uomo è dunque immerso in un assetto relazionale, vive e si nutre di relazioni, tanto che la qualità della vita è strettamente correlata alla qualità e al tipo di relazioni che egli può e riesce ad instaurare: per loro tramite compie esperienze,

realizza azioni, effettua scelte, introietta valori che concorrono tutti a delineare lo stile personale (il “modus vivendi”, direbbe Margaret Archer) della propria vita. L’assetto intersoggettivo, che ha dunque natura sempre relazionale, costituisce l’humus concreto su cui costruire l’identità, non solo nel senso dell’“in-sé” – vale a dire in rapporto a se stessi – ma anche in riferimento al “per” e al “con gli altri”, nella condivisione di un percorso formativo che ciascuno percorre indirizzandosi verso la propria meta (Mounier, 2004). Nella visione personalistica, la relazione diviene dunque tale quando diventa mezzo mediante cui la persona individua non solo il senso della propensione verso obiettivi e fini ma anche il senso che deriva dal condividerli con l’altro da sé.

In sostanza, l’essenza del personalismo conduce alla consapevolezza che si esiste nella misura in cui si esiste per gli altri, ovverossia, al contrario, che non si esiste se non in relazione agli altri.

Concludiamo questa breve disamina dei punti essenziali tratti dalla visione personalistica di Maritain in tema di educazione e di relazione educativa, rilevando come il paradigma antropologico sollevante la centralità del bambino abbia sollecitato il superamento di preconcetti e di retoriche pedagogiche spingendo, nel contempo, all’identificazione di teorie e di pratiche alternative e talvolta non convenzionali, ispirate non esclusivamente ai canoni di un pensiero razionale bensì accoglienti le sfide di un pensare ermeneutico, molteplice, aperto al ventaglio delle più originali possibilità dell’educabilità, aprendosi al riconoscimento del “mistero della persona” (Musaio, 2010, pag. 45). II ritorno della persona e alla persona implica sia una prospettiva pedagogica scientificamente e rigorosamente fondata sul piano teorico, sia l’esercizio di un’autentica relazione educativa attraverso l’apertura umana al confronto e alla responsabilità verso l’altro.

Inoltre, al di là delle strategie e delle tecniche educative, si tratta di prestare attenzione al più generale processo di formazione umana per riconoscere e per impegnarsi affinché ogni situazione sociale possa rappresentare un’opportunità di crescita e di formazione per l’individuo. In questa direzione diventa centrale l’indagine pedagogica volta ad analizzare il modo in cui ognuno di noi attua una sintesi personale, rielaborando non soltanto conoscenze ed informazioni, messaggi e contenuti ma, soprattutto, attuando un processo interiore di autoriflessione esistenziale, etica e spirituale, espressione di quel “movimento di

personalizzazione” – così definito da Mounier (2004, pag. 30) – attestante quanto ciascuna persona sia capace di effettuare, al proprio interno, una sintesi personale di ciò che apprende, vive ed interiorizza.

In ultima battuta, ci preme ribadire la forza con cui la prospettiva antropologico- personalistica sottolinei la natura relazionale dell’uomo, attestando come l’uomo realizzi la propria esistenza e la propria evoluzione intrecciando esperienze afferibili ai tre livelli di conoscenza della materialità, della socialità, della spiritualità, tra loro interrelati e reciprocamente influenzantisi. Come specifica Pati29 (2007, pp. 13 e segg.), i livelli di conoscenza materiale, sociale, spirituale30 “sono qualificati dall’istanza della relazionalità, tanto nel loro procedere collettivo quanto nel loro settoriale manifestarsi”. Questi tre livelli esperienziali sono sistemicamente operanti nel senso che il sopravvento di un livello sugli altri causerebbe un turbamento al sistema-uomo, tale da comportare un disequilibrio personale fino anche a comprometterne l’intero sviluppo personale.

2.2.2 Una prospettiva derivante dalla psicologia culturale

Una seconda linea interpretativa deriva dalla psicologia culturale di Bruner in riferimento alle preziose evidenze sul caregiving ma, soprattutto, alle pratiche di scaffolding, grazie alle quali egli ha spiegato il modo attraverso cui un individuo più esperto aiuta un individuo meno esperto nel risolvere problemi, raggiungere obiettivi e realizzare compiti altrimenti impossibili in condizione di isolamento (Wood, Bruner, Ross 1976; Bruner 2004). Bruner apporta un fondamentale

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