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Non è un figlio che rende un adulto genitorialmente competente

Genitorialità: concetti chiave

FUNZIONI GENITORIAL

6.4 Non è un figlio che rende un adulto genitorialmente competente

Attraverso l’esercizio della funzione genitoriale, l’adulto viene dunque ad assumere una “responsabilità generativa” a “far nascere continuamente”, a “far venire alla

luce in modo permanente” la piena umanità del figlio (Pati, 2008, pag. 117). Considerata in questi termini, la genitorialità non può essere ascritta né al mero atto fisico della procreazione ma nemmeno all’insieme dei diritti/doveri disposti dall’autorità sociale (Iori, 2008b). Invero, si connota per quelle caratteristiche squisitamente educative che nascono e si affinano nell’alveo di un processo

intenzionale di accompagnamento, di sostegno e di cura del nuovo nato nel suo venire ed estrinsecarsi al Mondo.

Indubbiamente, non ci sarebbero “famiglie” se per diventare genitori fosse indispensabile il raggiungimento della maturità, di una buona autostima, della capacità di ascolto empatico. Tali qualità nascono, piuttosto, entro relazioni di rispetto reciproco e sono generate da azioni “giuste”, “corrette”, “integre”. Un genitore agisce in modo “giusto” quando si assume pienamente la responsabilità di ciò che sta facendo, offrendo così un modello di integrità comportamentale al quale il figlio, nel rispetto dei propri pensieri, aspirazioni, modalità espressive, può ispirarsi. Tale responsabilità va assunta a livello sia personale (ciò significando che si è disposti ad ascoltarsi e prendersi cura di sé e dei propri bisogni) che sociale (il ché significa essere disponibili al riconoscimento dell’altro, dei legami con gli altri, alla coltivazione delle relazioni significative, alla consapevolezza dei ruoli e dei copioni espressi nelle diverse circostanze). Da ciò si ricava che il concetto di genitorialità rimanda ad una serie di temi come la rappresentazione d’essere in relazione con l’immagine interna di padre e di madre, il costituirsi di una rappresentazione del proprio figlio, di se stessi nel ruolo di genitore e della relazione di sé col bambino: in una parola, che ha maturato l’adultità (Demetrio, 1990, 2005; cfr. anche Margiotta e Zambianchi, 2011; Margiotta, 2013; cfr. §3.5).

Se la genitorialità non è un semplice ruolo ma connota un processo, allora il

diventare genitore significa entrare in una linea evolutiva apprenditivo-

trasformativa che continua per tutto il resto della vita, che varia e che si rimodella nel corso del tempo, connotandosi a long life learning process (LLL) 76.

In quanto processo trasformativo, la genitorialità implica perciò una rivisitazione delle proprie rappresentazioni interne, con un passaggio dall’investimento su di sé a quello sul bambino, cui vengono attribuite quote dell’amore per se stessi e del

76

Caratterizzandosi a long life learning process, la genitorialità ha assunto un “ruolo” nelle politiche dell’Unione Europea in tema di educazione degli adulti, a partire da Lisbona 2000.

proprio ideale dell’Io. In aggiunta, alla funzione genitoriale direttamente e ai figli indirettamente viene attribuita anche una aspettativa “ripartiva”, intesa come tentativo di risanare aspetti irrisolti o dolorosi della propria storia personale, rispetto all’immagine di sé sia come figli che come genitori.

In questa ottica, seppur distinti nella loro individualità personale (adulto, bambino) e di ruolo (genitore, figlio), gli individui in gioco sono considerabili in eguale misura attivi partner co-costruttori della loro interrelazione: tra essi esiste una circolarità di influenzamenti e di adattamenti reciproci che rendono tanto la diade genitore- bambino che la triade mamma-papà-bambino unità di funzionamento interattivo da cui non può prescindere né lo sviluppo fisico e psicologico del bambino né l’evoluzione dell’adulto, attraverso l’esercizio della sua funzione genitoriale. Su questo punto è importante evidenziare come alcuni contributi relativamente recenti (Fivaz-Deupersing e Corboz-Warnery, 2000; vedi anche Lavelli, 2007; Mazzoni e Tafà, 2007) abbiano ampliato le ipotesi sull’intersoggettività primaria di Trevarthen (1993; cfr. cap. 1 §1.4) “sottolineando come l’infante, a partire dai tre mesi di vita, sia in grado di stabilire relazioni con l’adulto finalizzate allo scambio emotivo, non solo di tipo diadico ma anche di tipo triadico, rivolgendo – in condizioni sperimentali preordinate ad hoc – alternativamente e in modo coordinato sguardi, sorrisi e vocalizzi ad entrambi i genitori (Riva Crugnola, 2007, pag. 12). Questa “circolarità” connota lo spazio dimensionale dell’intersoggettività

familiare dove i partecipanti all’incontro si ritrovano con un’identità di Sé nuova,

che mai avrebbero senza quell’incontro.

Da ciò detto, pensiamo di poter derivare che la funzione genitoriale non si esaurisce in una messa in pratica di azioni educative relative ai modi di crescere i figli ma che comporta specifiche competenze – intese nei termini di atteggiamenti,

comportamenti, risorse e capacità di azione – che vanno apprese col tempo,

sedimentate attraverso l’esperienza e migliorate in virtù di riflessioni critiche sul proprio operato, annoverando attese e convinzioni – spesso inconsapevoli – riguardanti i processi di sviluppo nonché le prassi educative che influiscono sui modi di operare da parte del caregivers (genitore o chi ne fa le veci).

6.5 Considerazioni conclusive

La cornice su riferita fa emergere la questione dell’“istituto famiglia”, che oggi non si presta più ad essere assimilato né ad un soggetto sociale idealtipico – altro rispetto alle “tante famiglie reali” con cui quotidianamente altri istituti educativi, formativi e socializzativi devono rapportarsi – né all’acritico richiamo alle tradizioni e ai valori di cui essa stessa (la famiglia ideale o ideologizzata) sarebbe depositaria e custode (cfr. Nardone, 2001). La sua interpretazione perciò oggi non può accontentarsi di ipotesi esplicative deterministiche o unicausali ma deve protendere verso modelli probabilistici e multicausali, capaci di coglierne la complessità fenomenica. Non è questo lo spazio per la necessaria analisi del composito universo familiare – rispetto alla sua struttura e composizione, al ruolo nell’assicurare la riproduzione biologica e culturale, alla nuova caratterizzazione delle relazioni intrafamiliari e intergenerazionali, alla ridefinizione dei compiti individuali e delle aspettative economico-affettive – per la quale si rimanda ai compendi di autorevoli esperti sul tema (cfr. ad es. Rossi, 2003; Donati, 2006b; Sapio, 2010; Pati, 2010). Qui basti ribadire il continuo riscontro scientifico che vuole il tradizionale modello di famiglia progressivamente dissolto e aperto a forme molto diversificate di vita privata e personale, dove i fenomeni di relativismo valoriale e di pluralizzazione sono concepiti come possibili e si stanno diffondendo a macchia d’olio. Ne deriva che l’interiorità più profonda di ciascun individuo – che comunque continua a far riferimento ad un luogo preciso (la “casa”) e a significative relazioni primarie di cura – è soggetta all’interferenza e all’influenza connesse alla capacità della famiglia di essere protagonista dei mutamenti storici e socioculturali di rilievo (cfr. Bertin e Contini, 1983). In particolare emerge, con crescente evidenza, quanto sia soprattutto la crisi della funzione genitoriale uno degli aspetti più preoccupanti del mutamento dei rapporti intergenerazionali e quanto detta crisi concorra – seppur non unica – al grave disagio in cui oggi versa, come mai in tempi precedenti, il mondo giovanile (Salerno e Di Vita, 2004).

D’altra parte, la letteratura scientifica che evidenzia come ogni aspetto del funzionamento di un bambino – dalla salute fisica e mentale allo sviluppo intellettuale, educativo e relazionale – sia influenzato alla base dalle pratiche genitoriali è cospicua e consolidata (cfr. Bornstein, 2002; Hoghughi e Long, 2004),

tale da delineare un quadro abbastanza completo dei prerequisiti necessari a stabilire un livello di “genitorialità sufficientemente buona” a livello sia generale che per aree specifiche e prospettare cosa può accadere quando detti prerequisiti non vengono soddisfatti.

Non si diventa genitori seduta stante – ovvero nel momento in cui il bambino nasce, né tantomeno in solitudine ma piuttosto entro un ampio contesto di fattori tra loro interdipendenti che comprendono le caratteristiche individuali dei bambini e dei genitori, oltre che quelle delle famiglie d’origine e della società in cui si ritrovano a vivere.

Nel lavoro con le famiglie ancora troppo abitualmente l’attenzione viene concentrata sul piano individuale, perdendo di vista la più significativa prospettiva ecologica. Invece è fondamentale avere presente (1) che i genitori ed i bambini sovente riflettono i problemi della società cui appartengono e (2) che le famiglie non si sviluppano indipendentemente dalla cultura prevalente.

Dal punto di vista delle politiche di welfare – nazionali e comunitarie – non è dunque più rinviabile lo spostamento verso una società che sia più solidale con la famiglia e capace di supportare con maggiore efficacia la genitorialità, riconoscendole il più prezioso attuale valore in quanto “capitale sociale” (cfr. §3.2).

Capitolo 7

Dalla condizione di genitore

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