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Qualità della relazione educativa genitoriale: un tentativo di sintes

Qualità della relazione educativa genitoriale

3.4 Qualità della relazione educativa genitoriale: un tentativo di sintes

L’evoluzione culturale, portando ad esasperare il tema della famiglia nucleare, ha messo il carico di cura tutto all’interno del rapporto duale adulto-bambino, sempre più insostenibile per colui che agisce, spesso in solitudine, la funzione educativa. Come conseguenza è sorto il paradosso del “bambino re”, cioè del figlio messo al centro del mondo dai suoi “servitori” (i genitori), con le aggravanti relazionali che rendono oggi così urgente affrontare e risolvere l’emergenza educativa. Attualmente i genitori sono sempre più impauriti dalle responsabilità educative, per cui non “fanno bene” i genitori: non vogliono tornare alle precedenti forme autoritaristiche ma nello stesso tempo si rendono conto che il permissivismo produce storture e che perciò non conduce a risultati positivi. I più gravi problemi dei genitori d’oggi derivino loro dalla grande difficoltà che hanno nell’esercitare l’autorevolezza, nell’assumere l’asimmetria come proprio ruolo. Quindi dare dei “no” educativi, dei “no” con l’autorevolezza necessaria, è fondamentale per i figli, altrimenti crescono senza principi, ovvero direttive per lo sviluppo personale ma anche regole di adattamento all’universo sociale in cui si vive (Iori). D’altra parte l’educatore – e quindi anche il genitore – è tale se mantiene la responsabilità di aiutare a far crescere ed evolvere l’educando anche quando manifesta parti di sé poco piacevoli e che quindi una delle funzioni strategiche dell’educatore sta nel far sì che tali parti poco edificanti per il Sé dell’educando non si cristallizzino ma vengano riconosciute e contenute. Chi ha funzioni educative con intento formativo deve perciò aiutare l’altro a riconoscere anche il “negativo di sé” – incoraggiandolo a non negarlo ma ad assumersene le responsabilità (Ajello).

A prescindere dall’aspetto biologico la genitorialità, connota perciò una capacità che ha qualità psico-socio-culturali e presuppone il rispetto e l’enhancement del “genoma sociale” proprio della famiglia. Non si può generare in quanto individui, da soli, perché la relazione generativa è sempre un’azione in un contesto con altri significativi e il nucleo familiare di origine non solo rimane una dimensione

importante ma sempre più decisiva agli effetti delle chances di vita dei figli. Ciò per molteplici ragioni che fanno sì che le qualità della famiglia di origine siano sempre più discriminanti agli effetti delle qualità personali dei figli e delle loro possibilità di riuscita nella vita. La relazione educativa per un genitore che interagisce con un bambino assai piccolo è educativa se e in quanto si orienta a produrre un bene relazionale che tiene conto delle necessità proprie del bambino in quella fase di vita (Donati). E se nel passato, anche recente, l’obiettivo coniugale era quello di “fare” tanti figli, oggi è molto più importante “educare” i figli. Il problema educativo non riguarda tanto “il buon esempio” – che certamente va dato – ma riguarda piuttosto “il vivere la relazione”. Ogni insegnamento passa attraverso una relazione di reciproco riconoscimento e rispetto ed è a partire da questa constatazione che prende avvio il principio educativo. Qual è allora il ruolo dei genitori? Certo, il genitore nutre il figlio, lo cura, lo introduce nella società e così via ma il senso ultimo di tale compito è educativo, in quanto il mandato fondamentale è quello di affiancare e di aiutare il figlio a digerire le esperienze della sua vita. L’obiettivo degli educatori – in primis i genitori – è dunque quello di aiutare a trovare un senso… Ed una genitorialità matura, che cresce con l’evoluzione del figlio, è quella che accetta il passaggio da un genitore attivo ad un genitore attento. Da una generatività attiva ad una generatività attenta (Cusinato).

Certamente il concetto di “naturalità genitoriale” è cambiato rispetto al passato, in quanto i genitori d’oggi interpretano in modo nuovo la funzione educativa loro affidata, che tiene conto del tipo di apprendimento che viene attuato nell’ambito della famiglia e nelle altre sfere sociali. L’esercizio delle funzioni previste dal ruolo genitoriale determina la competenza genitoriale. Certo, i genitori d’oggi sono più consapevoli del loro compito educativo e l’accesso alla genitorialità è maggiormente frutto della riflessione. È tuttavia innegabile che ciascun genitore è tale anche – e soprattutto – in virtù dell’esperienza fatta attraverso i modelli parentali (Pati). Detto altrimenti, a fronte di una relazione genitoriale l’adulto non può dimenticare – né prescindere – dal fatto di essere stato anche figlio e la tensione educativa propende, in maniera naturale, verso quell’esperienza (Margiotta). La relazione avuta con i propri genitori, che per lo più continua nel presente, inevitabilmente influenza la relazione con i propri figli. Ma se questo è un processo dei più naturali che possano esistere, è bene comprenderlo fino in fondo, in quanto il vissuto “da

figlio” può essere una pesante zavorra nell’evoluzione sia personale che della prole, dato che si può credere che quanto hanno fatto i propri genitori lo si debba/non lo si debba reiterare. In altre parole, ciascuno è ancorato al proprio punto di vista: noi siamo lo stesso individuo che collega le due famiglie in questione – la nostra “in quanto figli” e la nostra “in quanto genitori” – e facciamo di tutto perché le situazioni si ripetano o non si ripetano. Chiarito questo, secondo Margiotta “acquisiamo la libertà psicologica necessaria per accettare ciò che è per quello che è nella famiglia in cui siamo genitori”. Di fatto, il tempo delle regole di condotta cadute dal cielo è finito e questo caratterizza la sfida di essere genitore oggi.

La famiglia si può dunque intendere come un contesto simmetrico dove i figli apprendono dai genitori e i genitori in qualche misura apprendono dai figli, in un processori co-costruzione della conoscenza. Apprende dal figlio significa che il genitore si pone domande sul figlio, sui suoi desideri e sui suoi progetti, sulle sue potenzialità e sulle sue difficoltà, interrogando nel contempo se stesso sulle potenzialità e le criticità educative fin lì maturate, anche per comprendere come la presenza del figlio produca cambiamento in lui. Questo processo introspettivo del genitore è fondamentale dal punto di vista dell’efficacia educativa della relazione genitori-figli; se infatti i genitori non sanno apprendere dal figlio – e quindi non colgono l’occasione, grazie a quella presenza, di trasformarsi – aumenta la probabilità che quella famiglia divenga patologica, ovvero educativamente disfunzionale. Le evidenze di ricerca in tal senso non si contano. In un contesto familiare tutto educa e dentro la famiglia ciascuno apprende dalle esperienze a cui partecipa: la genitorialità si gioca tutta in uno spazio relazionale che è completamente educativo. Nella famiglia si apprende e si disapprende, in quanto entro il contesto familiare si innescano relazioni sia educative che diseducative: relazioni finalizzate, in qualche misura, allo sviluppo di alcune competenze, di alcuni saperi, di alcuni modi d’essere e relazioni che non educanti, destinate a generare involuzione. Secondo questa visione, dunque, la genitorialità si viene a costruire (Fabbri). Anche dal un punto di vista ecologico-sistemico la genitorialità non è tanto da intendesi come funzione personale intrinseca dell’adulto bensì come una serie di funzioni dinamiche e multidimensionali rispetto alle quali si può crescere e si può migliorare, dipendenti sia dal tipo di contesto sociale entro cui si esplicano che dai supporti e dagli aiuti che il contesto medesimo può offrire o meno. Tale prospettiva

comporta l’assunto che ad educare i bambini non siano i genitori “in solitaria” ma i genitori all’interno di un’ecologia sociale che educa essa stessa. Quanto migliore è l’ecologia sociale tanto migliore è l’educazione che i genitori possono agire nei riguardi dei loro figli. Quindi, quanto più un genitore viene sostenuto all’interno di reti che lo supportano e lo accompagnano naturalmente, tanto migliore ed efficace sarà l’azione educativa (Milani).

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