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Il modello di Margaret Archer per la costruzione dell’identità personale e sociale

Dalla condizione di genitore all’identità genitoriale

7.3 Il modello di Margaret Archer per la costruzione dell’identità personale e sociale

L’identità sociale e l’identità personale connotano due pilastri basilari della formazione dell’individuo. In accordo con Rossi (2006), l’identità personale

costituisce una parte “eccedente” che l’identità sociale non può mai esaurire (fig. 7.4), attraverso la quale le esperienze sociali vengono reinterpretate e rielaborate a livello simbolico ed affettivo (cfr. anche Carrà Mittini, 2008).

Figura 7.4 – La relazione tra persona e identità sociale (Da: Rossi, 2006, pag.72).

Identità personale e identità sociale sono interrelate e l’una non può darsi senza l’altra. Nella sua evoluzione, l’individuo “entra” costantemente nel mondo sociale con le sue prassi ma, contestualmente, elabora riflessioni sulle esperienze praticate. In sostanza, l’identità sociale va a rappresentare la “veste” che in quel particolare frangente l’individuo “indossa” per interagire costruttivamente con l’ambiente. Indubbiamente, le esperienze che l’individuo può esperire in virtù della sua “veste” sociale divengono per lui occasioni acquisibili ai fini della sua evoluzione – ma anche della sua involuzione – cognitiva, affettiva, emotiva, relazionale, valoriale. La ripartizione del costrutto in identità personale e identità sociale rimanda alla classica differenza tra identità (nel caso specifico quella personale) e ruolo: in accordo con Simmel (1998), l’identità può intendersi come l’insieme dei caratteri fisici e psicologici che rendono una persona quella che è nel suo intimo, unica e irripetibile, mentre il ruolo – o meglio, i ruoli – dipendono dalla posizione che l’individuo occupa nella stratificazione sociale, da quanto detta posizione è funzionale all’organizzazione e alla struttura della società, dalle appartenenze dell’individuo ai diversi strati della vita sociale.

Il concetto di ruolo connota uno dei basamenti fondamentali delle Scienze Sociali. Il

ruolo sociale comprende l’insieme strutturato delle aspettative rivolte ad un

individuo occupante un dato status sociale (che è la posizione assunta da un

Identità sociale

soggetto all’interno della rete di relazioni che compone il sistema sociale). Il ruolo è particolaristico, nel senso che è sempre specifico anche se le aspettative possono essere più o meno precise e dettagliate: ad esempio, il ruolo di “cittadino” è meno specifico del ruolo di “medico”, che a sua volta è meno specifico del ruolo di “pediatra del consultorio di Venezia”. Mentre al cittadino, in quanto tale, vengono rivolte aspettative molto generiche (e spesso simmetriche), al pediatra di Venezia vengono rivolte aspettative specifiche (e asimmetriche). In quanto struttura, il ruolo è sempre un prodotto sociale e quindi preesiste a quel dato individuo che andrà a ricoprirlo (role player ovvero prestatore di ruolo). Ogni ruolo è significativo rispetto all’organizzazione entro cui “funziona” mentre, al di fuori di essa e rispetto ad altre formazioni sociali, è privo di senso.

La relazione tra la persona e il suo ruolo/i sociale può dunque essere spiegata col concetto di eccedenza, che impedisce di ridurre tutto l’umano al sociale e viceversa. Quando l’oggetto di interesse è il processo di formazione dell’identità sociale (cioè la socializzazione), è fondamentale comprendere ciò che avviene nel mezzo, ovvero la relazione tra l’eccedenza umana e la sua socialità. Utile allo scopo risulta essere il modello di Margaret Archer (2004), di cui ricaviamo le linee essenziali dalla puntuale spiegazione di Rossi (2006, pp. 72-78), che prevede l’articolazione dell’esistenza umana in tre dimensioni tra loro temporalmente e gerarchicamente interrelate (fig. 7.5):

Figura 7.5 – La relazione tra persona e identità sociale nel modello di Margaret Archer

(2004). Tratto da: Rossi (2006, pag. 74).

Attore Attore

(a) la prima dimensione considera l’individuo in quanto personalità umana. La nascita della personalità (identità personale) avviene come primo atto in ordine di tempo e la sua essenzialità giace nel senso del sé. Il senso del sé deriva dalla separazione tra l’individuo e gli oggetti e comincia a realizzarsi a partire già dal livello prelinguistico di sviluppo: concerne la capacità di comprendere di essere lo stesso soggetto che agisce nel tempo e consente di attribuire al medesimo soggetto atteggiamenti e comportamenti diversi, così come derivano dalle relazioni con l’ambiente. Il senso di sé non solo garantisce continuità e coerenza all’esperienza umana ma costituisce un prerequisito dell’identità personale (dell’Io sono), la cui formazione dipende da quelle che Archer (2003, op. or.; vedi anche 2008) denomina “premure fondamentali” (ultimate concerns), ovverossia ciò di cui l’individuo si prende maggiormente cura, ciò che l’individuo ritiene possa avere un valore per sé. Le premure fondamentali – che nascono da un processo attivo di riflessione tra sé e sé sulla base di quello che la Archer chiama “dialogo interno” (internal conversation) – fanno dell’individuo un essere

morale. Attraverso questo processo di dialogo interno l’individuo costruisce e

consolida un proprio modus vivendi, esito appunto della sua elaborazione inerente la relazione tra affetti, emozioni ed eticità, così come ricavati dalle personali esperienze col mondo;

(b) la seconda dimensione considera l’individuo in quanto agente sociale. Rossi (2006, pag. 75) spiega che “le premure fondamentali, pur derivando dall’elaborazione personale, possono nascere solo nell’interazione tra il sé e la realtà sociale: l’autocoscienza deriva dalle nostre pratiche incarnate e l’essere radicati nel mondo e nelle relazioni sociali è una parte imprescindibile del nostro essere umani. Il posizionamento nella società è indipendente dalla nostra volontà, una condizione ascritta, che ci assegna risorse o vincoli: in questo senso siamo agenti sociali”. L’uomo è dunque agente sociale in quanto agisce con l’ambiente a partire dal suo posizionamento nella società, che è indipendente dalla sua volontà (è cioè determinato alla nascita) e gli assegna vincoli o risorse; (c) la terza dimensione, infine, considera l’individuo in quanto attore sociale.

L’identità sociale deriverebbe dalla interrelazione tra l’identità personale (con le sue premure fondamentali) e l’agente sociale (con le sue risorse e i suoi vincoli). “Attraverso la realizzazione di sé in ruoli sociali, adeguati alle proprie «premure»

adeguatamente compiute, l’individuo può diventare attore sociale attraverso un «processo di progressiva individuazione» che emerge dal primato della pratica, cioè dal bisogno di realizzare concretamente ciò che più gli preme. Di qui la necessaria selezione delle opportunità di vita, che porta l’individuo ad assumere un carattere specifico, appunto «individuato»” (Rossi, 2006, pp. 75-76).

Non si può certamente pensare che la ripartizione in personalità umana, agente sociale e attore sociale sia effettiva: si tratta di un espediente descrittivo di cui la Archer si è servita per evidenziare che – nonostante ciò che l’uno può percepire dell’altro sia solo l’esito finale della sua essenza – le tre dimensioni dell’esistenza umana sono dialetticamente interrelate.

Come s’è detto, germina per prima l’identità personale che agisce, influenza e determina le connotazioni della nascente identità sociale. In questa prima fase di estrinsecazione del sé l’individuo già decide – attingendo ad un livello di pensiero prelinguistico, sulla base delle prime esperienze con l’esterno e attraverso la conversazione interiore – quali ruoli “personificare” (IP → IS). In una successiva fase l’identità sociale così costituitasi influenza la personalità sociale emergente (IS → IP), nel senso che l’esercizio del ruolo – o dei ruoli – mette in evidenza i punti di forza (vantaggi) e le criticità (svantaggi) della scelta effettuata all’inizio della sua assunzione, arricchendo di nuovi elementi la possibilità di riflessione personale. Solo in un’ulteriore terza fase avviene quella che può definirsi una “sintesi” tra l’identità personale e l’identità sociale (IP ↔ IS), da cui emerge quella che la Archer indica nei termini di “identità personale entro la quale è attribuita – nella vita di un individuo – un’identità sociale”, ed è in questo frangente che l’individuo – più spesso adulto – si trova a dover valutare e a fare un bilanciamento tra ruoli e impegni assunti – le proprie “premure fondamentali” – e a scegliere il proprio

modus vivendi.

Il modello della Archer (2004), che giustifica la fondamentalità del “senso del sé” per l’esistenza della società, risulta assai appropriato nell’attuale momento storico – estremamente complesso e differenziato – dove è quanto mai necessario aver piena consapevolezza di se stessi per riuscire a muoversi e ad esprimersi nella complessità, nella liquidità, nell’incertezza che la dopo-modernità sta comportando. In questo assetto contestuale, i costrutti di persona e di personalità, di identità, di ruolo, di attore sociale, devono essere quanto mai chiari all’individuo, dato che il

gap tra le due dimensioni della soggettività – l’identità e il ruolo – aumenta

progressivamente. La moltiplicazione dei sub-sistemi in cui la società si sta specializzando – ma anche frammentando – determina infatti l’incremento dei ruoli che ciascuno si ritrova a dover assumere contemporaneamente (fig. 7.6), con il rischio che ogni ruolo debba assolvere ad istanze contraddittorie o tra loro antitetiche.

Figura 7.6 – La persona e i suoi ruoli sociali. Mutuato da Rossi (2006, pag. 77).

Ne deriva la necessità, per l’uomo dopo-moderno, di “mantenere «aperto» e «processuale» il percorso di costruzione dell’identità”, (Rossi, 2006, pag. 77), che risulta di certo più difficile e problematico rispetto a quanto non fosse in epoca moderna.

Se per alcuni intellettuali l’attuale complessità sociale contribuisce ad indebolire e a frammentare l’identità umana, per altri l’individuo ha oggi l’occasione, come mai prima, di costruire e di esplicitare il proprio Sé – con e in relazione all’ambiente – grazie a processi autosocializzativi/autoeducativi che lo vedono strategicamente artefice di progettualità, di comunicatività e decisionalità ma soprattutto capace di riflettere sulle molteplici condizioni – oggi a disposizione non di tutti, ma dei più – in vista della costruzione del proprio progetto di vita in quanto frutto di una libera e autonoma sintesi (cfr. Scanagatta, 2002; Maccarini 2003).

ruolo Persona (eccedenza) ruolo ruolo ruolo ruolo ruolo ruolo Persona (eccedenza) ruolo ruolo ruolo ruolo ruolo

7.4 Considerazioni conclusive

Non è questo il luogo per approfondire né l’articolato modello degli stati dell’Io di Berne, attraverso cui rende conto delle varie manifestazioni fenomeniche dell’agire del pensare e del sentire umano nelle diverse circostanze di vita, né l’interessante analisi sociologica che il modello della Archer (cfr. 2009) offre ai fini dell’interpretazione dell’esistenza umana. Ciò che qui invece preme mettere in risalto dell’uno e dell’altro è:

a) la capacità del primo di render conto del fatto che la “funzione genitoriale” non è puramente la messa atto operativa di quanto chiama a svolgere lo specifico ruolo socialmente rivestito (quello, appunto, di genitore) ma che piuttosto connota una componente identitaria essenziale dell’essere che contribuisce a renderlo ciò che è. La consapevolezza di tale componente di Sé consente all’individuo di muoversi e di interagire efficacemente e costruttivamente nell’ambiente entro cui si ritrova ad esperire ogni peculiare frammento della propria vita con gli altri. Per questa ragione, quella genitoriale non sarebbe altro che un’influenza definibile in termini di presenza psichica, con ciò ad indicare, attingendo alla visione di Weiss (1960, op. or.), un’“immagine mentale di un altro Io in grado di mettere in moto pensieri, emozioni e comportamenti dell’individuo”. Riteniamo tale presenza psichica una matrice identitaria di natura genitoriale, in senso sia sostanziale che essenziale;

b) l’evidenza portata dal secondo modello per cui nella società contemporanea i processi di formazione e di socializzazione identitaria non sarebbero più ad appannaggio altrui bensì connoterebbero un percorso aperto e scelto dalla persona stessa. L’importanza di tale assunto, ai nostri fini, giace nel fatto che l’identità personale ed il suo risvolto “ambientale” – l’attore sociale – si fondano su quelle che la Archer (2004, pag. 32) chiama ultimate concerns, ovvero sulle premure, sulle cure, sulle sollecitudini fondamentali derivate in prima istanza – e necessariamente – dall’interazione tra sé e il mondo (laddove il “mondo” inizialmente sarebbe quello “parentale” e le prime “premure fondamentali” quelle della madre verso il neonato e quindi quelle dei genitori verso i figli) ma ben presto l’individuo imparerebbe ad agire verso se stesso attraverso le elaborazioni personali, la riflessione e il dialogo interiore, sulla cui base

andrebbe a stabilire il proprio modus vivendi. A partire da questo background, previa assunzione di norme e regole comportamentali socialmente determinate e fungenti da “guida” per la propria vita nel mondo, l’individuo farà di sé “l’essere morale che è”.

Capitolo 8

Un’educazione di qualità parte dai genitori:

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