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Tipologie di interventi e percorsi formativi per genitor

Un’educazione di qualità parte dai genitori: l’importanza della formazione genitoriale

8.4 Tipologie di interventi e percorsi formativi per genitor

Si è già fatto cenno al fatto che, soprattutto a seguito della Legge 285/97 ma anche grazie a significative sperimentazioni dagli inizi degli anni ‘90, in tutto il territorio nazionale sono state implementate proposte operative dedicate ai genitori a vario livello, contribuendo in più casi a “buone prassi” di supporto genitoriale attraverso l’implementazione di efficaci programmi, di metodologie innovative, di linee guida per orientare percorsi in condizioni comparabili (cfr. Sità, 2005). Ripercorriamo qui brevemente la tassonomia delineata da Milani (2008, pp. 63-69; vedi anche Milani 2011b), che traccia quattro ampie categorie:

a) interventi e percorsi formativi accademici, b) interventi e percorsi formativi tecnici,

c) interventi e percorsi formativi esperienziali, d) interventi e percorsi formativi di empowerment.

8.4.1 Interventi e percorsi formativi accademici

L’idea sottesa a tale modello è che i genitori possono acquisire abilità e competenze di cui sono deficitari grazie all’apprendimento mutuato da qualche esperto nel campo di specifico interesse. Si tratta di un’esperienza che in Italia ha avuto molta eco a partire dagli anni ’60, corroborata da un lato dall’introduzione dei decreti delegati nel ‘74 che hanno sancito la partecipazione dei genitori alla vita scolastica e, dall’altro, dai contestuali piani di sensibilizzazione alle pratiche parentali su mandato dei Servizi di politica socio-sanitaria. Si tratta, in genere, di incontri formali frontali – quali seminari, convegni, giornate di studio, brevi percorsi informativi ma anche di aggiornamento o di blanda formazione – aventi lo scopo di illustrare e di istruire sull’adozione di strategie alternative vantaggiose per la gestione e l’educazione dei figli; un ulteriore obiettivo è quello di rispondere a dubbi specifici. Di solito gli incontri sono a tema e centrati su problemi di natura comportamentale e relazionale ma anche cognitiva, come ad esempio la prevenzione del disagio socio-affettivo, la comunicazione efficace tra genitore e figli, le difficoltà comportamentali nell’ambiente familiare, le difficoltà di apprendimento a scuola, le difficoltà emozionali. Ben si capisce che tale tipologia di interventi ha una funzione di informazione generale o di prima sensibilizzazione sui temi educativi; nonostante sia stata la più praticata nei programmi di supporto ai genitori degli ultimi decenni, è attualmente in progressivo declino.

Finalità di tale modello formativo è la trasmissione di conoscenze.

8.4.2 Interventi e percorsi formativi tecnici

In questa ampia categoria rientrano quei programmi di origine anglofona a cultura pragmatista (di matrice comportamentista o cognitivista), tesi a risultati di efficacia valutabili oggettivamente. In genere, si tratta dei cosiddetti parents training, con cui si intende un’attività di formazione individuale ma più spesso in piccolo gruppo a guida di esperti e rivolta ai genitori con l’obiettivo di aumentarne consapevolezza e competenze per affrontare e risolvere problemi inerenti il percorso di crescita dei

figli. Di solito i gruppi sono costituiti da genitori i cui figli hanno particolari identiche difficoltà relativamente a comportamenti o a patologie (ad esempio, deficit specifici di apprendimento, handicap, psicopatologie, ecc.) e si prefiggono l’obiettivo di far acquisire ai partecipanti informazioni corrette in merito alle “difficoltà” e alle modalità più efficienti per farvi funzionalmente fronte. Il lavoro in piccolo gruppo è fondamentale per il confronto e la condivisione delle problematiche comuni.

La caratteristica dei percorsi di parents training è quella di “coinvolgere i genitori quali agenti di primario valore nello sviluppo dei figli, offrendo loro un aiuto specialistico utile a sviluppare comportamenti positivi e a modificare le modalità interattive coi bambini e con i ragazzi. L’intervento viene realizzato direttamente nei contesti «naturali», a partire dalle ordinarie interazioni tra il minore e i suoi familiari, a differenza di altri approcci ove il programma di trattamento – circoscritto all’ambiente clinico – viene affidato esclusivamente a professionisti” (Benedetto, 2005, pag. 7).

Finalità di tale modello formativo è il cambiamento comportamentale dei genitori.

8.4.3 Interventi e percorsi formativi esperienziali

In questa terza categoria rientrano quelle prospettive a matrice sia personalista che psicoanalitica – tipica della cultura francese – che si differenziano dagli approcci accademici o tecnici di cui sopra in quanto il modello formativo sotteso segue una logica induttiva piuttosto che deduttiva. Tale tipologia afferisce alle cosiddette “Scuole per genitori”, nate in Francia negli anni ‘30 e tutt’ora attive (École des parents et éducateurs).

L’accento non è più sul contenuto da erogare o sul programma da svolgere bensì sulla persona che vive l’esperienza: il genitore. Il setting non è frontale ma circolare, non c’è un programma da svolgere puntualmente stabilito a priori ma l’intento è di dare accoglienza ai genitori, alla loro esperienza educativa, alle loro narrazioni, così da promuovere in essi una riflessione sui personali vissuti attraverso il confronto e lo scambio reciproci. Si tratta dei cosiddetti “gruppi di parola”, ovvero di un insieme di “pari” accomunati dal fatto di essere genitori, che mirano a raggiungere obiettivi di conoscenza o di expertise comuni attraverso il dialogo e la realizzazione di attività, con o senza la presenza di un operatore (Sità, 2010).

In ogni caso, l’operatore non funge da esperto detentore di saperi ma da facilitatore del gruppo: la sua funzione è di coadiuvare i genitori nell’interpretazione del loro ruolo educativo e formativo, nella rivitalizzazione delle loro responsabilità e nella valorizzazione di quei “saperi” di cui essi sono comunque portatori.

Finalità di tale modello formativo è la promozione della riflessività e della consapevolezza.

8.4.4 Interventi e percorsi formativi di empowerment

Una quarta tipologia di interventi e di proposte formative a supporto della genitorialità integra e media le tre precedenti, dal momento che, come già accennato, è impensabile poter affrontare la complessità degli eventi e delle interrelazioni familiari attraverso un unico approccio, considerato di per sé bastevole. Certo, i genitori costantemente ricercano informazioni e conoscenze per esercitare con padronanza e sicurezza le funzioni richieste dal ruolo, che tuttavia vanno offerte in maniera non impersonale o massificata ma in un contesto di piccola comunità, ove l’attenzione alle prerogative, ai vissuti e alle esperienze personali deve rimanere il principio fondante.

L’interesse va perciò sempre più a favore di approcci di empowerment, basati sulla valorizzazione dei punti di forza e sul superamento delle criticità, capaci di offrire contenuti realmente fruibili e non soluzioni standardizzate. Esemplificativi, in tal senso, sono gli interventi di enrichment familiare volti ad arricchire da un lato la dimensione/relazione coniugale attraverso programmi di “enrichment coniugale” e dall’altro la dimensione/relazione genitoriale con programmi di “parent training” (cfr. Benedetto, 2005; Iafrate e Rosnati, 2007).

Nella definizione di Francescato (1996, pag. 17) l’empowerment si fonda sulla possibilità di incrementare l’accesso alle risorse disponibili tra cui, soprattutto: (a) l’informazione, intesa non come ricezione inerte dall’esterno ma come conoscenza di strategie utili al miglior adattamento all’ambiente;

(b) l’organizzazione sociale, intesa come incremento della compartecipazione e del reciproco coinvolgimento in vista dell’individuazione dei problemi e della comune assunzione di scelte, decisioni e responsabilità, a fini risolutivi.

Il fine ultimo degli interventi di empowerment genitoriale è dunque quello di “valorizzare le competenze del genitore e di aiutarlo ad esplicitarle per permettergli di utilizzarle in maniera via via più consapevole ed intenzionale dal punto di vista educativo” (Milani, 2008a, pag. 67). Tutto ciò attraverso una metodologia relazionale basata sulla co-costruzione tra operatori e genitori, mirata a favorire una lettura riflessiva, profonda ed aperta della “narrativa familiare” e degli elementi che essa contiene, in termini di risorse e di capacità da valorizzare, da potenziare, da sviluppare. Anche la visione di Donati (2001) rientra in tale alveo interpretativo, intendendo egli l’empowerment:

“…in quanto sistema d’azione relazionale che si fa carico dei soggetti (con le loro motivazioni psico-culturali e le loro attribuzioni di senso) e li connette secondo regole (o meccanismi funzionali regolativi) necessarie per produrre dei mutamenti che siano tali da configurare relazioni più personalizzanti (anziché alienanti). In tale sistema d’azione relazionale, le dimensioni psico- culturali (refero) sono intrecciate con quelle di legame (religo)89 e insieme ad esse producono l'effetto emergente di una maggiore solidarietà, allo stesso tempo sensata e funzionale, della relazione familiare” (ibidem, pag. 86) … Se ci si chiede: «empowerment di che cosa?», la mia risposta è: potenziamento delle relazioni propriamente familiari, per far sì che le relazioni diventino più

ri-flessive, più «capacitate» nelle loro potenzialità. Il che può avvenire solo

quando una famiglia si specchia nell’altra famiglia, specie quella che condivide problemi analoghi ed applica in se stessa ciò che ha osservato, la valutazione di ciò che accade e i tentativi strategici per risolvere i problemi quotidiani. Pertanto l'empowerment non può che essere un lavoro di rete fatto da famiglie che osservano altre famiglie … per fare relazione familiare e non un’altra cosa” (Donati, 2001, pag. 88-89).

Tale prospettiva fa intendere, in sostanza, che se il sapere genitoriale trova alimento nella storia personale di ciascuno e nelle esperienze vissute innanzitutto come figlio e quindi come genitore, allora un approccio alla genitorialità di tipo autobiografico risulta del tutto convincente; esso infatti consente di recuperare in memoria stili, atteggiamenti, comportamenti, risorse e capacità dei propri genitori sulla cui base costruire – in accordo o in contrapposizione – i propri saperi e quindi le proprie capacità di azione. L’approccio autobiografico, che costituisce un rilevante percorso di formazione individuale nutrito dalla rivalutazione e dalla valorizzazione della storia personale (Demetrio, 2000), facilita e veicola

l’acquisizione della competenza riflessiva: tale operazione “maieutica”, di natura educativa, è favorita dalla conversazione con se stessi e con gli altri, per il qual motivo il lavoro esperienziale in piccolo gruppo si rivela particolarmente conveniente nei percorsi di potenziamento e di arricchimento genitoriale, in quanto il confronto intersoggettivo incoraggia all’introspezione.

Nell’approccio riflessivo la conoscenza e la cura di sé divengono strumenti di formazione dell’adulto, di riconsiderazione della propria esperienza, di ricomprensione della stessa; ecco che il patrimonio d’esperienza di cui ciascuno è portatore, restituito alla consapevolezza, diviene risorsa per il cambiamento (Mortari, 2003, 2009a).

8.5 Punti di vista esperti90

Ricaviamo dalle interviste agli esperti alcune visioni e suggerimenti in tema di interventi a supporto della genitorialità, oltre all’indicazione di varie prassi consolidate che hanno costituito, per la scrivente, una preziosa conferma rispetto alla legittimità del percorso formativo progettato a supporto della genitorialità; anche qui, infatti, ricorrono diverse parole-chiave – apprendere dall’esperienza, co-

costruzione della conoscenza, riflessività, trasformatività – che sono le stesse che ci

hanno guidato nell’individuazione dello “sfondo integratore” (cfr. fig. 9.1) sulla cui base abbiamo costruito il nostro progetto di parenting support, di cui si renderà conto nel prossimo capitolo.

Innanzitutto, da ogni parte emerge la necessità di abbandonare forme tradizionali di formazione degli adulti per intraprendere percorsi di educazione riflessiva (cfr. Padoan, 2006, 2008). Appare utile ricordare che l’etimologia di educazione (ex-

ducere, “aiutare a venir fuori”) prospetta una dimensione di educabilità come

declinazione fondamentale dell’esistere umano, la quale perciò – in quanto tale – si distingue dall’ammaestramento o dall’addestramento, dato che è intrinsecamente connessa alla capacità del soggetto di produrre un proprio sapere. Che l’educabilità sia sperimentabile anche nei riguardi della genitorialità trova giustificazione nel concetto di “sviluppo come processo continuo” e di “perfezionamento graduale”,

anche in età adulta. È ovviamente fondamentale avvicinare la dimensione educativa rivolta alla genitorialità e le azioni ad essa connesse con sguardo critico, poiché se non si vuole scivolare nel mero addestramento e ridurre la portata degli interventi in attività di tipo rimediale – così come può accadere per qualsiasi ambito educativo – è necessario tenere aperte le porte ad un apprendimento riflessivo e all’intenzionalità educativa, il ché richiede un impegno di forma-azione permanente, con ciò intendendo un processo costante di attiva “messa in forma” di un pensiero a partire dall’esperienza e dai vissuti che da questa scaturiscono (Margiotta).

Al giorno d’oggi, infatti, abbiamo a che fare con genitori che desiderano essere competenti. Rispetto a tale obiettivo, il presupposto è che la genitorialità si costruisce e che si può perfezionare – anelando ad una “genitorialità riflessiva” – prendendo consapevolezza relativamente ai processi di conoscenza adottati o generati nel mentre si esercitano compiti e funzioni genitoriali. Dal punto di vista educativo, ciò che interessa è operare sempre in una logica di potenziamento delle competenze educative, che qualunque genitore deve poter avere l’occasione di apprendere anche dalla propria storia. Che le competenze educative possano essere apprese è un assunto pedagogico importante, purché non venga concretizzato attraverso un modello di insegnamento-apprendimento verticale bensì attraverso un approccio teso alla riflessività, ovvero del lavoro con i genitori in cui essi possano mettersi in discussione rispetto alle loro credenze e ai loro comportamenti, cercando di attivare, di mettere in circolo, le loro competenze. Un primo criterio su cui fondare programmi di educazione parentale concerne la co-costruzione di conoscenza, consentendo ad ogni genitore di realizzare un processo di co- apprendimento ove ciascuno mette a disposizione la propria esperienza, la propria expertise, la propria competenza, accettando anche di metterla in gioco, dovesse servire. Un secondo criterio riguarda l’attenzione alla dimensione ecologia entro cui si sviluppa l’uomo. Ciò significa, in sostanza, che il lavoro formativo va realizzato non solo sulla famiglia ma anche con la famiglia, in qualunque situazione: di normalità o di vulnerabilità. Questo concetto di “lavoro con le famiglie” richiede che l’operatore, il formatore, rifletta non solo sulle sue modalità di intervento ma sul proprio modo di ascoltare e di relazionarsi con l’altro – genitore, bambino, parente che sia – all’interno del progetto di intervento, il tutto in una logica di ecologia trasformativa (Milani).

La famiglia competente è dunque quella che ha – e sa di avere – risorse al suo interno. È perciò necessario aiutare i genitori a trovare in se stessi le soluzioni alle loro difficoltà: una valida strategia metodologica che può facilitare la consapevolezza rispetto alle proprie risorse giace nella possibilità di condividere problemi analoghi, di confrontarsi tra “pari” e nell’incremento della condivisione di responsabilità educativa tra le famiglie (Iori). Ecco che i genitori possono attingere a saperi generalizzati vivendo all’interno di “comunità informali di genitori” e costruire una conoscenza significativa non tanto andando “a scuola di…”, ma confrontandosi con altri genitori. Poiché tutti i processi di conoscenza nascono attraverso lo scambio, il genitore può diventare un genitore riflessivo se viene aiutato, in adeguati contesti formativi od autoformativi, a rendere espliciti i propri saperi e ad analizzarne potenzialità e criticità (Fabbri).

In aggiunta, si può affermare che la genitorialità si fa riflessiva quando passa dal

noviziato all’expertise. Un buon intervento formativo deve perciò chiedersi, in

qualche misura, quali esperienze di apprendistato organizzare per i genitori al fine di promuovere, sostenere ed accelerare il processo per il passaggio da noviziato ad

esperto. Parlare di formazione alla genitorialità significa parlare di una formazione

come apprendimento dall’esperienza, di una formazione che lavora con e

sull’esperienza. Sono pertanto ottimali, dal punto di vista formativo, tutte le

metodologie discorsive e narrative che aiutano a “mettere in parola”, metodologie cioè che aiutano ad estrinsecare il sapere tacito, dato che il genitore ha una “conoscenza pratica” e sa fare molte più cose di quelle che sa dire. Inoltre, poiché quello del genitore si può definire un “mestiere a rischio”, il supporto formativo e sociale più efficace è quello che rassicura i genitori sul fatto che è legittimo sbagliare, che dagli errori si impara e che i compiti da affrontare saranno via via sempre più compatibili con lo sviluppo delle loro competenze (Fabbri).

Ecco che, a fronte della richiesta di un mirato sopporto per praticare al meglio la propria funzione, una genitorialità “normale” andrebbe coadiuvata a riflettere sulle proprie pratiche educative, al fine di individuarne i punti di forza ma nel contempo comprendere – accettando di rivedere e trasformare – eventuali punti di debolezza inficianti la capacità formativa della relazione educativa. Un’efficace metodologia in tal senso è quella basata sull’analisi di situazioni concrete o di casi realistici non

direttamente coinvolgenti ma neppure estranei alla propria esperienza e sulla conseguente discussione compartecipata (Ajello).

D’altra parte, non tutte le situazioni familiari problematiche sono patologiche tanto da aver bisogno di un trattamento “canonico” (psicoterapeutico, ad esempio), con ciò intendendo che non è possibile applicare i criteri della disfunzionalità alla “normalità”. In questo senso, ogni azione preventiva può ritenersi alla stregua di un intervento educativo, formativo, pedagogico, nel significato più ampio dei termini (Cusinato).

D’altra parte, “educazione dell’adulto” significa chiedere all’adulto di mettere se stesso al centro dell’apprendimento, di diventare riflessivo sulla propria storia, di prendersi cura del proprio imparare e di tutti gli aspetti connessi all’imparare, che diviene specificamente un “prendersi cura della propria mente” e, più in generale, un “prendersi cura di sé”. Ma non si tratta di centrare l’attenzione solo sull’aspetto cognitivo o solo sull’aspetto soggettivo, dal momento che nell’educazione dell’adulto entrano in gioco anche aspetti di natura relazionale, culturale, sociale. La competenza relazionale si impara diventando riflessivi sulle numerose e diversificate relazioni che si sono intrattenute lungo l’arco della propria vita. Dal punto di vista formativo, risultano perciò quanto mai utili le possibilità offerte dai percorsi autobiografici di cura, che accompagnano l’individuo a recuperare i vissuti connessi alle esperienze di “essersi sentito/non sentito curato”, di “aver curato/non curato” e lo aiutano a riflettere sulle tras-formazioni delle proprie “posture” cognitive, emotive, comportamentali verso Sé e verso gli altri, avvenute eventualmente a seguito di “esperienze di cura”. Va anche sottolineato che, in ogni relazione d’aiuto, lo strumento principe è il Sé del professionista, strumento che si esplica attraverso talune pratiche, parole, posture che “spingono” alla relazione. In sostanza, compito del professionista è la formazione alla relazione che finisce per coincidere, in ultima istanza, con la formazione del Sé. Tutto ciò è particolarmente importante nella formazione di adulti che in qualsiasi veste si occupano degli altri attraverso la messa in atto delle proprie “posture di cura”. Ancor più per il genitore, che tra i propri compiti ha appunto quello di “prendersi cura di…” (Formenti). Può essere quindi importante la consulenza educativa, che comporta la capacità, da parte del consulente o del formatore, di aiutare altri adulti a trovare autonomamente la via che conduce al superamento della difficoltà. In questo senso

il lavoro consulenziale è un lavoro formativo che mira a rendere responsabile il genitore, o la coppia genitoriale, del proprio destino, della propria vita, per supportarla nel cercare in se stessa, al proprio interno, le regole che possono aiutarla a funzionare meglio. Il lavoro consulenziale dovrebbe essere mirato a favorire i processi di riflessività degli adulti su come essi stanno conducendo la loro vita e su come possono attivare percorsi o processi trasformativi della loro relazione e nella relazione coi figli… Aiutarli, dunque, ad immettersi in un processo di

apprendimento trasformativo (Pati).

I servizi alle persone e alle famiglie improntati su una sensibilità educativa, dovrebbero allora configurarsi come “servizi relazionali di cura”, dove la cura (care) è da intendersi come “prendersi a cuore le premure fondamentali delle persone (Donati).

8.6 Considerazioni conclusive

Oggi una buona parte di genitori, seppure in condizione di “normalità”, risulta “vulnerabile” poiché immersa in una serie di difficoltà anche solo momentanee, dipendenti dalla congiunzione di più variabili, tra cui, in primis, la crisi economica che sta determinando l’emergenza connessa alle nuove povertà, la crescente immigrazione, la difficoltà delle coppie miste nella reciproca integrazione culturale, l’instabilità di coppia che sta portando ad un incremento delle separazioni cui si correla un ancor più significativo incremento delle separazioni conflittuali.

Certo, gli adulti credono di possedere in misura diversa le capacità necessarie alla cura e all’educazione dei figli e, dunque, pensano di esercitare in modo più o meno incisivo e valido il proprio ruolo genitoriale. Tuttavia, la competenza genitoriale non è innata bensì comporta delle specifiche abilità che si apprendono nel tempo e che si sviluppano all’interno del sistema familiare, in quanto i comportamenti genitoriali assumono caratteristiche che possono variare in funzione delle variabili non solo dell’adulto ma anche del bambino e di tutti quegli aspetti del contesto che influenzano in maniera indiretta le interazioni familiari (pensiamo alla relazione coniugale, al grado di accordo tra i coniugi, alla rete sociale al di fuori della famiglia, alle condizioni lavorative dell’uno e dell’altro). Il sostegno alla genitorialità si rende

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