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L’accademia di David de Flurance Rivault

Capitolo 3. Progetto e realtà delle accademie tra Parigi e la provincia

I.3.4 L’accademia di David de Flurance Rivault

Ad un’accademia nobiliare totalmente volta all’insegnamento di scienze teoriche aspira invece, negli stessi anni, un gentiluomo di spada attivo a corte sotto Enrico IV e Luigi XIII: il sopraccitato David de Flurance (o Fleurance) Rivault. Nato nella Mayenne, probabilmente a La Cropte, verso il 1570 da una nobile famiglia originaria del Poitou o della Bretagna a servizio dei conti di Laval, deve, secondo la testimonianza settecentesca di Jean Liron, il soprannome di Flurance ad un podere situato a poche leghe dalla città. Educato presso François de Coligny (conte di Laval con il nome di Guy XX), nella sua prima giovinezza, soprattutto all’uso delle armi, David lo seguirà quando, convertitosi alla religione romana, il conte decide, nel 1605, di recarsi in Ungheria per prendere parte alla guerra contro i Turchi; quest’ultimo perirà nella battaglia di Comore, mentre il compagno, riportate solo alcune ferite, potrà rientrare in patria e partecipare, tre anni più tardi, ad una nuova campagna anti- ottomana432. Ma l’autore in esame è soprattutto un uomo di lettere, in

della disciplina militare, ma anche degli esercizi degni di un gentiluomo. Tre persone in un colpo solo contrarrebbero con voi obblighi di gratitudine, il principe, i genitori ed in seguito i discenti. Qualora voi istituiste questa scuola, rendereste tutto un vivaio di gentiluomini capace di servire un giorno il re ed il suo Stato […]. Piaccia a Dio che qualcuno consigli un giorno al nostro re di stabilire in quattro o cinque luoghi tra i più adatti di Francia delle accademie per l’educazione della sua nobiltà, affinché essa non sia più costretta ad andare a mendicare queste conoscenze presso gli stranieri […]: le città scelte per questi esercizi diverrebbero più ricche, non si farebbe uscire denaro dalla Francia; ed inoltre questi giovani non respirerebbero umori stranieri […]; 20000 scudi basterebbero per le paghe di tutti i maestri».

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J. Liron (le père), Singularités historiques et littéraires contenant, plusieurs recherches,

découvertes & éclaircissement [sic] sur un grand nombre de difficultés de l’histoire ancienne & moderne. Ouvrage historique et critique, Paris 1738, tomo I, pp. 284-285; H. M. Colombier, Deux documents sur David Rivault seigneur de Fleurance, in “Revue historique et archéologique du

contatto con alcuni dei più noti eruditi dell’epoca: il ritratto che di lui emerge dalle fonti è quello di un dotto cultore dell’ebraico, del greco e del latino, in grado di padroneggiare perfettamente, tra gli idiomi moderni, l’italiano. Annoverato tra i più importanti studiosi delle lingue orientali, egli avrebbe promosso in particolare la traduzione in latino e la pubblicazione di un manoscritto di proverbi arabi acquistato durante un viaggio a Roma. Lo conferma, nel 1604, Isaac Casaubon, nell’inviare uno scritto di Flurance a Giuseppe Giusto Scaligero, che ha già conosciuto personalmente il gentiluomo della Mayenne in occasione di un suo recente soggiorno in Olanda; gli interessi di quest’ultimo, lungi dal limitarsi alla filologia, abbracciano del resto ogni «literarum genus». Quattro anni più tardi Rivault è in effetti elogiato anche in un sonetto del poeta François de Malherbe in quanto autore de L’art d’embellir, trattato di fisiognomica steso per la regina al fine di dimostrare il rapporto di causa ed effetto tra virtù interiore ed avvenenza fisica; l’attività intellettuale del nobiluomo si è tuttavia concentrata in primo luogo, come Casaubon tiene a specificare nella propria epistola, «perì tà mathémata433».

Non sorprende quindi che nel 1611 Flurance, già da otto anni

gentilhomme ordinaire de la chambre, sia chiamato a corte in veste di

lettore in matematica per Luigi XIII così come di supplente, in caso di assenza o di malattia, del suo istitutore, Nicolas Vaquelin des Yveteaux, e che, grazie al favore di Souvré, gouverneur del sovrano, sia investito, l’anno seguente, della prestigiosa carica di precettore. Sotto la guida di Rivault, che prende per altro cura di tradurre dal greco, per i suoi corsi, le Remonstrances de Basile, il re pubblica una

Maine”, 4 (1878), p. 404; A.-F. Anis (l’abbé), Etude historique et littéraire. David Rivault de

Fleurance et les autres précepteurs de Louis XIII, Paris 1893, pp. 10-15, 28, 53; M. Michaud, Biographie universelle ancienne et moderne […], Paris s.d. (=Bad Feilnbach 1998), tomo XXXVI,

p. 74. Alcuni storici di fine Ottocento attribuiscono a Rivault una Lettre à Madame la maréchale

de Fervaques, contenant un bref discours du voyage en Hongrie du feu M. le comte de Laval, son fils, Paris 1607, che sembra essere perduta: vedi J.-B. Hauréau, Histoire littéraire du Maine, Paris

1870-1877 (=Genève 1969), tomo IX, pp. 223-239; J. Le Fizelier, A. Bertrand de Broussillon,

Mémoire chronologique de Maucourt de Bourjolly sur la ville de Laval, Laval 1886, tomo II, p. 36

n. Su Flurance vedi anche ABF I, 897, 76-123; M. Fumaroli, L’âge de l’éloquence. Rhétorique et

«res litteraria» de la Renaissance au seuil de l’époque classique, Genève 1980, pp. 522 n, 523;

Platte, cit., p. 159.

433 F. de Malherbe, Les poesies de Malherbe avec les observations de Ménage. Segonde [sic]

edition, Paris 1689, pp. 100, 432-438; I. Casaubon, Isaaci Casauboni epistolae, insertis ad easdem responsionibus […], Roterodami 1709, tomo I, “Epistola CCCXCI Josepho Scaligero”, p. 208, e

tomo II, “Epistola DLX. Josepho Scaligero”, p. 294; D. de Flurance Rivault, L’art d’embellir, tiré

du sens de ce sacré paradoxe “La sagesse de la personne embellit sa face” […], Paris 1608; P.

Colomiès, Gallia orientalis, sive gallorum qui linguam hebraeam vel alias orientales excoluerunt

vitae […], Hagae-Comitis 1665, pp. 110-111; Liron, cit., p. 284; Michaud, cit., tomo XXXVI, p.

74; Anis, cit., pp. 32-36; A. Angot (l’abbé), Dictionnaire historique, topographique et

propria versione francese degli scritti del diacono Agapeto. Al tempo stesso, da sempre buon cattolico, come il nunzio apostolico Ubaldini assicura al cardinal Borghese in una missiva risalente al gennaio 1613, l’aio si occupa anche dell’educazione religiosa e morale del monarca: parte della produzione del letterato è costituita da discorsi redatti per l’istruzione del giovane Borbone nei principî del catechismo434. Nel 1614 il nobile della Mayenne presenta le sue dimissioni: da una parte, infatti, il periodo di formazione dell’allievo, allora tredicenne, nelle discipline teoriche volge ormai al termine; dall’altra, i rapporti tra i due si degradano, secondo le fonti dell’epoca, a causa di un calcio sferrato dal maestro ad uno dei cani del re. L’anno seguente, riconciliatosi con gli ambienti di corte, il gentiluomo accompagnerà Elisabetta di Francia, promessa sposa del re di Spagna, fino ai Pirenei; ammalatosi, morirà sulla strada del ritorno, durante una sosta a Tours, nel gennaio del 1616435.

Dotato egli stesso di una cultura poliedrica, non estraneo alla pratica bellica e dedito all’attività di insegnante, Rivault, autore di un nutrito corpus di opere rivolte, quando non allo stesso re, ai titolati d’Oltralpe, insiste più di ogni altro tra i personaggi qui presi in esame sulla necessità di dotare il secondo Stato di un solido bagaglio letterario, irrinunciabile complemento alla vocazione guerriera. E questo fin dagli scritti giovanili: ne Les Estats, trattato politico stampato a Lione nel 1596 e che testimonia la devozione dell’autore al partito di Enrico IV, restauratore della Francia e meritevole dell’amore e del rispetto di tutti coloro che a lui sono legati da un vincolo di naturale obbedienza, Flurance ricorda come il perfetto soldato non è

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Colomiès, cit., p. 110; Liron, cit., p. 285; Anis, cit., pp. 24, 58-98, 115-120; ABF I, 897, 76-123,

passim; Colombier, cit., pp. 405-405, 407-408; Preceptes d’Agapetus à Justinian, mis en françois par le roy très chrestien, Louis treiziesme […], Paris 1612; D. de Flurance Rivault, Remonstrances de Basile, empereur des Romains, à Leon son fils […] mises de grec en françois […] par le sieur de Fleurance Rivault, Paris 1646; Idem, Discours faicts au roy en forme de catechese, sur le subject du neufiesme article de foy […], Paris 1614; Idem, Discours faicts au roy en forme de catechese, sur le suject du quatrieme commandement de Dieu […], Paris 1614; Idem, Parva christianae pietatis officia, per christianissimum regem Ludovicum XIII ordinata, Parisiis 1640;

Idem, Premier [-6e] discours faict au roy, le 21 d’octobre [-11 novembre] 1612, en forme de catechese, sur le subject du dixieme article du symbole […], s.l. s.d. La Bibliothèque Nationale de

France conserva una quittance firmata da Rivault nel 1612 in quanto «Precepteur du Roy»: ms. BnF, pièces originales 2493, dossier “Rivault”, pièce 2. Le Remonstrances de Basile sono una traduzione francese dei 66 precetti lasciati al figlio Leone da Basilio I il Macedone (813-886), imperatore bizantino dal 867 al 886. Una versione in lingua greca, seguita da una traduzione in latino, di questi precetti si trova alla Bibliothèque Sainte-Geneviève (4 R 557 INV 622 FA):

Basilei¯ou touª ¥Rwmai¯wn basile¯w» kefa¯laia parainetika¯ cj, pro¯» to¯n e¨auto¯n ui¨o¯n Le¯onta, to¯n filo¯sofon. Basilii romanorum imp. exhortationum capita LXVI ad Leonem filium, cognomento philosophum […], Lutetiae 1584.

colui che, in preda ad un furore cieco e bestiale, si getta incautamente nelle file dell’esercito nemico, ma chi, «sage & sçavant au conseil» e «prompt, caut & hardy en l’execution», può vantare «en soy toutes vertus accomplies»; e sono lo studio e l’acquisizione del sapere a poter assicurare l’accesso alla più perfetta delle virtù. Presso i Greci ed i Latini a definire l’appartenenza dell’individuo alla nobiltà concorreva, accanto all’esercizio delle armi, anche la professione delle lettere, «car entre eux c’estoient les hommes doctes, qui manioient les armes»; e solo quando gli eruditi ed i cavalieri ritroveranno unità nella loro fedeltà al re e ristabiliranno «ceste espece de religion», principi e sudditi potranno svolgere in piena armonia le proprie funzioni «& bref tout le regne retentira d’une admirable melodie436».

Del tutto simili gli argomenti che l’autore avanza, qualche anno dopo, in due trattati pedagogici apparsi nel 1607 e nel 1610, finalizzati a tracciare un ideale piano di studi per Luigi XIII e dedicati da Rivault, prima della sua entrata in servizio a corte in veste di precettore, rispettivamente al re Enrico IV ed alla reggente. Un tempo «les lettres», spiega il gentiluomo ne Le Phoenix d’Achilles (1607), «ont subtilisé la force, & les armes authorisé le sçavoir»; perché dunque rinunciare a ristabilire tale tradizione, correggendo «l’ignorante fougue» che caratterizza i «Gentils-hommes» e dotando «les Gens de Robbe longue» di coraggio? Sottrarre la spada ai maestri ed ai professori, separando il sapere dall’azione, ha significato privare l’attività intellettuale della sua antica dignità e le scuole di uomini di «cœur, & de courage»; se i collegi restano luogo deputato dell’istruzione, i loro metodi didattici ed i contenuti trasmessi risultano «pedantesque[s]» e pertanto inadatti ad una persona di qualità, votata alla vita attiva, alla carriera militare e bisognosa di esperienza del mondo: «Phoenix» ha invece educato Achille all’arte della guerra così come alle lingue, alle scienze, alla matematica, per poi trasmettergli i segreti dell’eloquenza, rendendolo fine politico437.

Non diverso è il programma che il seigneur della Mayenne prospetta tre anni dopo per Luigi XIII, nel Discours sur le dessin de

faire entretenir le roy par des hommes sçavans: il monarca dovrebbe

essere affidato alla cura di otto tutori chiamati ad accompagnarlo in un percorso formativo aperto anche a materie quali la matematica e la medicina, ma fondato sull’insegnamento dell’«Ethique Royalle», delle nozioni afferenti all’«art de la guerre tant vieille que nouvelle», basi

436

D. de Flurance Rivault, Les Estats, esquels il est discouru du prince, du noble & du tiers Estat,

conformément à nostre temps, Lyon 1596, in particolare pp. 213-316.

437 Idem, Le Phoenix d’Achilles. En la personne duquel est depeint le precepteur d’un grand

teoriche imprescindibili per un individuo destinato ad agire, muoversi e vincere, e dell’«histoire estrangere & domestique». Quest’ultima disciplina sarà trattata rispettando l’ordine cronologico e portando particolare attenzione, «en faveur de l’institution de la vie du Prince», alla felicità che da sempre contraddistingue l’esistenza di chi agisce secondo virtù, così come ai fallimenti cui vanno incontro i «vicieux»: il racconto delle gesta dei sovrani del passato genererà nel discente il desiderio di imitarli e di superarli in gloria; da evitare, al contario, ogni sorta di approccio eccessivamente speculativo. Quanto ai metodi pedagogici da adottare, la critica dell’autore verso le lezioni cattedratiche tenute dai docenti nelle scuole si fa qui ancora più decisa: senza negare al re gli svaghi ed i giochi propri della sua giovane età, sarà nondimeno opportuno approfittare della straordinaria curiosità di cui il bambino fa prova per avvicinarlo, da subito e gradualmente, ad ogni campo del sapere grazie alla presenza di uomini capaci di rispondere a tutte le sue domande e «de l’induire à la remarque des choses qu’il voit»; in questo modo «toute heure luy sera d’estude, & tout lieu, Eschole438».

Simbolo del sincretismo tra pensiero ed azione che Flurance riconosce alla civiltà classica è, nell’«Avant-propos» de Les élémens

de l’artillerie (1605), saggio sull’invenzione e sulla storia del

cannone, la figura di Minerva, votata al contempo alla guerra ed allo studio, già celebrata nella dedica ad Enrico IV del succitato Phoenix

d’Achilles. Ed a Pallade, che un tempo «portoit […] le livre & l’espée

& mettoit en œuvre l’un & l’autre dextrement439» e che solo da qualche secolo è stata disarmata, Rivault concede la parola in un’orazione latina da lui tenuta a Roma, presso l’Accademia degli Umoristi, il 28 febbraio 1610 e pubblicata con il titolo di Minerva

armata de coniungendis literis & armis.

Dopo la dedica all’amico Jean Zamet, uomo di guerra appena tornato dall’Oriente ed adesso di passaggio in Italia, l’autore riferisce l’immaginaria arringa declamata di fronte ai membri del dotto consesso dalla dea, in difesa della sua causa e contro il peccato in cui, di recente, sono incorsi tutti i popoli: quello di aver sancito il divorzio tra corpo ed anima, intelletto ed azione, «adeo ut vir literatus […] arma deshonestet, armatus literas nosse erubescat». È ai «viri nobiles», invitati tanto a praticare le armi quanto ad adorare le Muse, che spettano ora il compito e l’onore di incarnare la sintesi tra lettere

438

Idem, Discours sur le dessin de faire entretenir le roy par des hommes sçavans. A la royne

regente, Paris 1610, pp. 7, 9, 11-12, 17-25.

439 Idem, Les élémens de l’artillerie […], Paris 1605, “Avant-propos”, senza numero di pagina;

ed armi: abbandonando il culto del solo Marte, evocato in quanto emblema di tutto ciò che di più crudele e feroce lo scontro bellico rappresenta440, i titolati devono volgersi alle lettere allo scopo di acquisire le competenze indispensabili per servire il corpo politico di cui sono membri ed il principe, «cui vita debetur»; un tempo ai dotti erano infatti affidate la gestione degli eserciti e la promulgazione delle leggi volte a regolare la vita dei popoli dei più grandi imperi441. Il programma di studi che la divinità prospetta brevemente si fonda sull’insegnamento delle arti «sermocinales» e delle discipline morali, politiche e militari; e sede dell’educazione dei gentiluomini, che potranno così tornare all’antica gloria, dovrà essere il cenacolo romano, esortato ad aprire le porte dell’accademia «Militibus simul, & literatis viris442».

Ma il matematico non si limita ad esporre ai membri dell’Accademia degli Umoristi le proprie idee riguardo all’educazione delle élites: constatata, proprio in occasione dei suoi soggiorni in Italia, la rilevanza del numero dei principi e dei gentiluomini interessati all’attività dei circoli intellettuali della Penisola, egli proporrà e tenterà, negli anni della permanenza a corte in veste di precettore, d’istituirvi una scuola che dispensi insegnamenti letterari ai blasonati, per fermare la «fougue» che ogni giorno di più sopraffa la loro «raison». È lo stesso autore a riconoscere, nelle pagine del suo

Dessein d’une academie, et de l’introduction d’icelle en la cour, dato

alle stampe nel 1612, di essersi ispirato agli istituti italiani:

440 Sulla figura del dio Marte come simbolo di guerra cruenta e spietata si rimanda al già ricordato

Le temple de Mars tout puissant di Pierre d’Origny.

441 D. de Flurance Rivault, Minerva armata de coniungendis literis & armis. Lectio habita a D.

Rivaldo a Flurantia nobili gallo, in celeberrima humoristarum academia. Romae XXVIII. februarij quo solet academia publicè aperiri. MDCX, Romae 1610, pp. 3-11. La necessità di istruire la

nobiltà per il «publico bono» è ribadita nelle note esplicative poste in chiusura dell’opuscolo: vedi

ibidem, p. 31.

442

Ibidem, pp. 12, 16. La figura di Minerva in quanto prosopopea della sintesi tra pensiero ed azione si ritrova naturalmente, tra Cinque e Seicento, anche nella produzione di altri autori preoccupati di sottolineare la necessità, per i nobili, di un cursus educativo a un tempo teorico- letterario e pratico-militare: vedi ad esempio N. Boucher, La conjonction des lettres et des armes

des deux tres illustres princes lorrains Charles cardinal de Lorraine archevesque & duc de Rheims, & François duc de Guise, freres […], Rehims 1579, f. 3 v. Vicini ai toni della Minerva armata di Flurance sono i distici posti a didascalia di una delle illustrazioni che Crispin de Passe il

vecchio, padre dell’omonimo incisore sopra ricordato, dedicherà nel 1612 alla rappresentazione della vita universitaria. Vedi C. de Passe, Academia, sive speculum vitae scholasticae […], Traiecti Batavorum 1612, senza numero di pagina: «Armorum exercitatio. […] Praesidet ingeniis Pallas, quae praesidet armis,/Cumque hastâ Clypeum docta Minerva gerit». «Esercizi d’armi. […] Pallade è dea dell’intelletto e dea delle armi,/E con la lancia la dotta Minerva porta lo scudo».

«Les Princes & Gentilshommes d’Italie (lesquels i’allegue comme fort civilisez, gentils, & versez és lettres, & en l’art de la guerre) se delectent fort aux passe-temps des Academies: & n’y a bonne ville en Italie, qui n’en ait une, deux, ou trois, esquelles certains iours de la sepmaine les plus beaux esprits s’assemblent […]. Ils ne se retirent iamais de là que plus amis au sortir qu’à l’entrée, que mieux instruits en ce qui s’est deduit; que plus desireux de se rendre honnestes gens […], & de s’employer à toute sorte de vertu. Ie l’ay appris par l’épreuve, & croy que l’exemple en est fort recevable parmy nous […]443».

La proposta è rivolta a Maria de’ Medici, cui Flurance chiede di approvare un progetto finalizzato a «dresser des Esprits qui puissent un iour seconder de leur industrie la valeur & le courage du Roy», ad educare i sudditi, in particolare «ceux […] qui sont nez de qualité», per renderli capaci di agire per il bene del regno444; apprendere a temere e pregare Dio, disciplinare i propri costumi e fare tesoro di «plusieurs sciences» significa infatti acquisire le abilità necessarie per essere impiegati a servizio del sovrano. Quanto all’appellativo di

académie, l’autore prende cura di giustificarne l’impiego sin dalle

prime righe della trattazione: gli antichi Greci associavano a tutti coloro che frequentavano tale istituzione gli stessi attributi di grazia, modestia, gentilezza e cultura che la nuova scuola mira a trasmettere ai gentiluomini. In essa i giovani cortigiani impareranno infatti a parlare in pubblico, «y formeront leur geste, […] y enrichiront leur language», assimileranno insomma tutte le qualità cui far ricorso quando, da adulti, siederanno «és Conseils Privé & d’Estat» o nelle assemblee solenni, «comme des Estats generaux», e ricopriranno le più prestigiose cariche diplomatiche. Ma le abilità in questione risultano altrettanto importanti durante le campagne militari: la pratica bellica dev’essere preceduta da una preparazione di carattere teorico, che permetta all’uomo d’armi di fare buon uso delle virtù naturali –

443 D. de Flurance Rivault, Le dessein d’une academie, & de l’introduction d’icelle en la cour,

Paris 1612, f. 6: «I principi ed i gentiluomini italiani (che porto ad esempio come molto educati, valorosi, e versati nelle lettere e nell’arte della guerra) prendono gran diletto nei passatempi delle accademie, e non vi è città importante in Italia che non ne abbia una, due o tre, nelle quali accademie certi giorni della settimana si riuniscono i più begli ingegni […]. Non c’è volta che non si congedino più amici all’uscita che all’entrata, meglio informati sulle conclusioni cui l’assemblea è pervenuta, più desiderosi di divenire uomini giusti […] e di dedicarsi ad ogni sorta di virtù. Ne ho avuto prova diretta, e credo che questo modello sia del tutto applicabile da noi […]».