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La nobiltà e le accademie: alcune ipotesi sulle ragioni dell’insuccesso dei progett

Capitolo 3. Progetto e realtà delle accademie tra Parigi e la provincia

I.3.7 La nobiltà e le accademie: alcune ipotesi sulle ragioni dell’insuccesso dei progett

Nonostante i ripetuti tentativi e le reiterate proposte, la Francia, ad eccezione dei due casi sopra studiati, non ha probabilmente conosciuto, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, l’affermazione d’istituti nobiliari completi, nei quali gli esercizi fisici si affianchino a lezioni di discipline teorico-letterarie; non meno effimeri ed infruttuosi sono gli esperimenti di cenacoli intellettuali per gentiluomini. Per quale motivo? La causa di tali insuccessi dev’essere forse ricercata, in parte, nella resistenza opposta dai collegi e dalle università all’affermazione di una tipologia di accademia che minaccerebbe il monopolio da essi tradizionalmente detenuto sull’insegnamento delle discipline di natura teorica, siano esse letterarie, filosofiche o scientifiche; è forse sintomatico che

l’académie di Pluvinel, prima scuola per titolati del regno, dal profilo ancora piuttosto fluido, possa aprire i battenti solo dopo la cacciata della Compagnia di Gesù, a capo di una vasta rete di scuole.

Le fonti non forniscono tuttavia, almeno per i primi decenni del XVII secolo, elementi che possano contribuire ad avallare tale ipotesi. Ciò che la lettura dei documenti suggerisce a proposito dell’insuccesso conosciuto dalle accademie immaginate rispetto al consenso incontrato da quelle realmente attive è piuttosto un eccessivo distacco delle prime dalle effettive esigenze dei titolati.

Non è l’insistenza dei progetti sull’opportunità di avvicinare la nobiltà di spada allo studio delle lettere a compromettere l’esito dei disegni. Da una parte, i blasonati hanno coscienza di quanto i mutamenti tecnologici e la crescente organizzazione burocratica che hanno investito la pratica bellica a partire dalla fine del Cinquecento (dalla battaglia aperta si è ormai passati alle più complesse tecniche di assedio) richiedano specifiche capacità di calcolo e riflessione politica. Cresce pertanto la rilevanza dello studio delle fortificazioni, della matematica, della storia, della retorica; e, di fronte a strategie belliche ben più vicine a quelle applicate nel mondo antico che a quelle in uso nel Medioevo, i classici, tanto spesso consigliati dagli autori delle proposte pedagogiche esaminate in virtù del valore universale dei loro insegnamenti, sono effettivamente letti ed apprezzati484.

Dall’altra, il curriculum letterario ventilato nei progetti si fonda, in asse con gli ideali umanistico-rinascimentali, sull’insegnamento della storia, dell’etica e della retorica ed è finalizzato alla vita pubblica, ma non raggiunge i livelli tecnici dei corsi previsti nelle università per la formazione dei futuri specialisti di diritto: le

académies, così come esse sono immaginate, non sono quasi mai

destinate a servire ai rappresentanti dell’épée da strumento di rivincita o di concorrenza diretta contro la nuova nobiltà di toga485. Al contrario, se gli autori sopra ricordati sottolineano l’importanza di un’istruzione teorica, è perché tra il XVI ed il XVII secolo i gentiluomini di spada non individuano più nella pratica bellica la loro funzione esclusiva e nel rifiuto verso le lettres un mezzo per affermare il proprio prestigio sociale rispetto alla robe: la cesura tra il ceto dei capitani e quello dei magistrati tende ormai a perdere ogni connotazione genealogica per tradursi in differenza culturale, legata

484 Dewald, cit., pp. 46-57, 68; Hale, The military education…, cit., pp. 441, 447; Platte, cit., p. 19. 485 Fa eccezione, come si è constatato, la proposta di Jean de Saulx Tavannes.

alle aspirazioni individuali ed alle scelte educative piuttosto che alla nascita. La parziale osmosi stabilitasi tra le due realtà sociali permette a taluni rappresentanti delle più prestigiose famiglie della toga, tra i quali due dei figli di Nicolas Pasquier, di consacrarsi alle armi; all’opposto, non mancano casati di antico lignaggio pronti ad accogliere con freddezza la scelta di una carriera militare da parte di uno dei propri membri486. Tali considerazioni possono spiegare la relativa rarità di riferimenti polemici alla nobiltà parlamentare nelle proposte sopra menzionate, rivolte inequivocabilmente all’épée ma avanzate indifferentemente da seigneurs e robins.

D’altronde, la necessità di pubbliche accademie accessibili anche ai gentiluomini più indigenti e che sanciscano, nei programmi di studio, la rivalutazione delle lettres accanto alle armes è talvolta denunciata ufficialmente dal secondo Stato in quanto collettività. È il caso di alcune delle doléances presentate in occasione della convocazione degli Stati generali del 1614: dalla Linguadoca si richiede l’erezione, nella contea di Foix, «où il y a beaucoup de noblesse» di «une académie et un collège» per titolati; i cahiers della città di Orléans auspicano la nascita, nelle capitali di tutte le province francesi, di scuole «pour l’instruction de la pauvre noblesse», che, finanziate per mezzo di benefici ecclesiastici, accolgano i rampolli dagli otto ai sedici anni, educandoli gratuitamente «tant en la connaissance des bonnes lettres qu’en exercice digne de leur naissance487».

Se i progetti di scuole per blasonati restano lettera morta, è perché essi non rispondono alle attese che i rampolli nutrono dalla frequentazione d’istituti nobiliari. Le istanze di cui le proposte succedutesi dopo la comparsa del manège di Pluvinel si fanno portatrici coincidono con quelle emerse dalle proposte che Pierre d’Origny, Pierre de La Primaudaye e François de La Noue presentano tra il 1578 ed il 1587: anche i nuovi disegni, come si è visto, insistono sulla necessità di un percorso formativo pluriennale ed enciclopedico, ovvero capace di fornire ad una nobiltà rinnovata tutti gli strumenti necessari ad agire per il bene del Paese in un momento di crisi. Ma ben diverso è il modello pedagogico cui i gentiluomini aspirano: prova ne è il successo ed il conseguente moltiplicarsi, in Francia, di accademie che accolgono gli allievi per brevi periodi allo scopo di

486

Schalk, From valor…, cit.; Dewald, cit., pp. 50-51, 85; G. Huppert, Il borghese gentiluomo, Bologna 1978 (Chicago-London 1977), pp. 99-100.

487 I due testi sono brevemente citati in R. Chartier, La noblesse française et les Etats généraux de

trasmettere loro la pratica degli exercices, escludendo qualsiasi forma di istruzione puramente intellettuale. In che cosa, dunque, questi centri vengono incontro, rispetto alle scuole vagheggiate nella trattatistica, alle esigenze della nobiltà?

Le lezioni in essi dispensate non hanno sempre una vera e propria portata formativa: è significativo che Le parfaict gentil-homme di François du Souhait (1600) e Le gentilhomme parfaict di Claude Marois (1631), due dei più celebri tra i trattati pedagogici pubblicati nel primo Seicento per esortare all’unione delle armi e delle lettere, passino sotto silenzio l’esistenza di académies per giovani titolati anche nelle pagine concernenti l’educazione alla guerra488. In effetti, se i manèges non si prospettano come sedi privilegiate della formazione intellettuale, essi, con tutta probabilità, non pretendono neppure di inculcare la totalità delle abilità e delle competenze che un condottiero è chiamato a padroneggiare sul campo di battaglia: sebbene le arti cavalleresche, la scherma e la matematica applicata siano considerate come basilari per un aspirante capitano, l’académie

d’équitation non svolge insomma le funzioni di un collegio di

formazione di soldati specializzati.

Innegabile, certo, è l’esistenza di testimonianze portate ad enfatizzare l’importanza dei centri d’istruzione equestre per le operazioni delle forze armate del re. Una breve pièce a stampa datata 1614 annuncia l’apertura, a Parigi, di una Académie militaire pour

l’infanterie, di cui il sovrano, che ne ha consentito la fondazione ai

«Sieurs S. d’Aubarede & P. Laboureur Condomois», è invitato a visionare i programmi e gli statuti489. Secondo Sauval, la scuola, effettivamente operante, in un primo tempo, fino al 1615, sarà riaperta, dopo un periodo di chiusura, in seguito alle richieste indirizzate alla reggente dal prévôt des marchands della capitale490. Vero e proprio centro di addestramento dei fanti, la nuova accademia accoglierà i giovani desiderosi di imparare a valersi delle armi da fuoco, in particolare dell’archibugio e del moschetto, e della picca,

488 F. du Souhait, Le parfaict gentil-homme, Paris 1600; C. Marois (le père), Le Gentilhomme

parfaict, ou table des excellences de la vraye noblesse […]. A Monseigneur le mareschal de Schomberg, duc & pair de France. Par L. P. M., Paris 1631, pp. 561-562.

489 Académie militaire pour l’infanterie establie à Paris, par permission du roy. Ou sont par

abbregé les exercices que l’on y enseignera, divisez en trois parties. 1 De l’homme seul en particulier. 2 De plusieurs ensemble. 3 Et les changemens de places & de formes d’un ou plusieurs bataillons. Dedié à sa majesté. Par les sieurs S. d’Aubarede & P. Laboureur condomois,

Paris 1614, pp. 3-4. Un altro esemplare, assente, è segnalato dall’indice del fondo Châtre de Cangé della B.n.F.: vedi B.n.F., Châtre de Cangé 246.

nonché di allenarsi a «tous autres exercices & motions militaires». I due promotori mirano, come più volte sottolineato nel testo, a conferire alle milizie a piedi dell’armata francese un livello di preparazione comparabile a quello ormai raggiunto dalla cavalleria: è giusto che i «Bourgeois, Artisans & habitans des villes», nerbo della fanteria, possano beneficiare di istituzioni e di insegnanti capaci di perfezionarli nella loro specialità, così come ormai da lungo tempo avviene per i nobili, destinati a prestare servizio a cavallo, che hanno trovato nelle accademie d’equitazione, assai numerose soprattutto nella capitale, dei «bons Escuyers» e la possibilità di approfittare dell’organizzazione di giostre e corse all’anello per tenersi in continuo esercizio. Ma, ad una lettura attenta, l’elogio degli istituti nobiliari in quanto centri di addestramento alla guerra non appare incondizionato ed assoluto. L’elenco delle discipline che d’Aubarede e Laboureur intendono insegnare all’Académie pour l’infanterie si chiude con l’indicazione di tutti gli esercizi facoltativi poiché inutili per la pratica bellica; ed essi coincidono con le attività abitualmente praticate dagli allievi delle accademie equestri. Ai virtuosismi «de l’eslevement & des tours de Pique en l’air», definiti «passetemps», sono associate le simulazioni di scontri equestri, i combattimenti alla barrière, la scherma al fioretto, la musica, il volteggio, la danza e persino la «science des mathematiques491».

L’opuscolo fa insomma eco, nelle ultime righe, alla polemica cinque-seicentesca sulla vanità di talune delle arti cui i gentiluomini sono soliti applicarsi negli anni della loro giovinezza; attività di cui le scuole equestri divengono, sin dai primi anni del XVII secolo, sede privilegiata. Numerose le critiche contro l’irrilevanza, sul campo di battaglia, degli insegnamenti trasmessi durante le lezioni di scherma, entrata a pieno titolo nella rosa degli esercizi cavallereschi verso la metà del Cinquecento: esse sono incentrate sull’impiego della stocca e del pugnale, o comunque sull’uso della punta piuttosto che su quello della lama, poiché, per il gentiluomo, l’utilizzo dell’arma bianca in quanto dote sociale è sovente connesso con la pratica del duello. Le ore trascorse sotto la guida dell’écuyer sono consacrate, in primo luogo, alla ripetizione di passi stilistici e di salti e solo secondariamente all’assimilazione delle nozioni tecniche dell’equitazione militare492: l’operato degli scudieri è per questo, almeno fino alla metà del Seicento e persino al di là delle frontiere

491 Académie militaire…, cit., pp. 10-16, 31-32, 43.

492 Hale, The military education…, cit., pp. 450-451; Motley, cit., p. 142; Doucet, Les académies

francesi, oggetto di biasimo. Nel 1657 il cavallerizzo William Cavendish, duca di Newcastle, istruttore del futuro Carlo II d’Inghilterra e direttore, durante gli anni del suo esilio, di un celebre istituto equestre di Anversa, è costretto, in apertura del suo trattato intitolato Méthode nouvelle et invention extraordinaire de dresser les

chevaux, a prendere le difese dei maestri écuyers di fronte ai detrattori

pronti a sostenere «que le Manege est inutile»:

«Plusieurs disent, que tout ce qui se fait au Manege, n’est que Tours, que Dances, que Gambades, & tout cela de point, ou peu d’utilité; mais, avec leur permission, quiconque dit cela se trompe extremement; car un cheval qui est bien mis dans la main, est ferme, & obeissant […]; [cosicché] un bon Escuyer, monté sur un tel Cheval, aura un tres grand avantage sur celui qui parle contre cet Art, soit dans un combat particulier, soit a la guerre493».

Già nei primi decenni del Seicento, non è per divenire abili militari, né al fine di apprendere perfettamente tutti i complicati movimenti della scienza equestre che i rampolli scelgono di frequentare i corsi delle académies d’équitation. Monsieur de La Mothe-Goulas, nato da un’illustre famiglia parigina nel 1603, racconta, nelle memorie manoscritte rivolte al nipote, gli avvenimenti che lo hanno spinto ad entrare all’accademia di monsieur Beauplan, situata «dans le fauxbourg St. Germain pres St. Sulpice»: tornato a Parigi dopo qualche mese di assenza, dovuta al suo coinvolgimento in un duello, il gentiluomo decide di seguire il suggerimento di un anziano cavallerizzo, «M.r du Monceau», che gli consiglia «d’apprendre a [se] servir d’un cheval par un bon maistre». L’autore accoglie le argomentazioni del vecchio amico, ma ne sottolinea l’inadeguatezza rispetto alle esigenze di un giovane titolato. Sono infatti passati i tempi in cui, tanto nell’esercito quanto a corte, ci si prendeva gioco dei rampolli che non si dimostravano invincibili soldati a cavallo e padroni assoluti dei più oscuri segreti tecnici dell’equitazione: «le bon homme en iougeoit selon son siecle ou l’on faisoit cas encore des bons gendarmes et de ceux qui reussissoient en tous les exercices des Cavalliers494».

493 Cavendish, cit., pp. 6-7: «Molti dicono che al maneggio si fanno solo delle giravolte, dei

balletti, delle capriole, e tutti privi di alcuna utilità, o quasi; ma, vogliano scusarmi, chiunque affermi questo commette un grave errore, poiché un cavallo ben controllato è sicuro e obbediente […]; [cosicché] un buon cavallerizzo, che monti un tale destriero, sarà notevolmente avvantaggiato rispetto a colui che disprezza quest’arte, sia in uno scontro individuale, sia in guerra». Su questo autore vedi anche Monteilhet, cit., p. 207.

494 Ms. B.n.F., manuscrits français 851, “La vie du Sieur de la Mothe Goulas. A Monsieur Malo

Che cosa, dunque, può giustificare il fiorire dei centri equestri? I seigneurs transalpini cercano e trovano nelle accademie realmente esistite, delle quali essi sanciscono il successo e la fama, ciò che nessuna delle accademie immaginate potrebbe offrire loro: dei luoghi di sociabilità mondana nei quali è possibile, nell’arco di pochi mesi, assumere la grâce richiesta ai rappresentanti del secondo Stato. Proprio a partire dal Maneige royal di Antoine de Pluvinel e dalla sua rivalutazione delle figure equestri della scuola di corte, l’asse del dibattito sulle qualità di cui il cavaliere deve farsi portatore si è spostato sulle sue doti estetiche: non solo competente scudiero, ma anche «bel homme à cheval», l’allievo del Delfinate deve partecipare di una disinvoltura capace di nascondere l’artificio sotteso agli esercizi ed ai virtuosismi che il destriero è guidato a compiere. I maestri degli istituti nobiliari s’incaricano così, durante i corsi di ognuna delle attività fisiche in programma, della trasmissione di un’eleganza concepita nell’ambito della vita di palazzo dell’Italia rinascimentale ma presto codificata e tradotta in etichetta della corte parigina: i caroselli, le corse all’anello, le coreografie a cavallo, le pubbliche simulazioni di attacchi a fortezze fittizie, ma anche i ballets al Louvre diventano occasioni di affermazione sociale attraverso l’esibizione della abilità acquisite e momento d’incontro e di confronto con i propri pari495.

Se La Mothe-Goulas opta per l’accademia di Beauplan, è perché il suo ex-maestro di danza, chiamato Prevost, impiegato nella scuola, gli assicura che, rispetto a monsieur Benjamin, direttore di una scuola nobiliare anch’essa assai celebre e reputata, il primo si segnala per l’efficacia e la qualità del metodo seguito «pour former les mœurs et donner de la grace a pié et a cheval»; a risolvere l’autore ad iscriversi sono effettivamente la «douceur», l’«accortise» e la «civilité» del maestro, delle quali il nobiluomo è testimone la mattina seguente, nel corso della sua visita al maneggio. Dalla permanenza nel centro di esercizi egli si aspetta la possibilità di stringere rapporti di amicizia «avec force honnestes gens de qualité»; e le sue attese non sono deluse. I colleghi lo accolgono calorosamente ed il suo compagno di stanza, un visconte di origine normanna, gli dimostra particolare affetto e stima, forse dovute, secondo La Mothe, al prestigio di cui taluni membri del suo casato godevano: la familiarità

495 Magendie, cit., pp. 51-57; Motley, cit., pp. 139-153; Brockliss, cit., p. 241; Doucet, Les

académies d’art équestre…, cit., pp. 7, 16-22; Idem, Les académies équestres et l’éducation…, cit., pp. 828-829; Platte, cit., pp. 47-49.

con un nobile della capitale avrebbe potuto rivelarsi assai vantaggiosa per un seigneur venuto dalla provincia. Ma i contatti più rilevanti, che l’autore non manca di descrivere con dovizia di particolari, sono quelli stabiliti con i blasonati di palazzo che scelgono il maneggio di Beauplan per i propri allenamenti: quest’ultimo, di cui il testo non cessa di tessere gli elogi, è infatti «Escuyer de lescuyrie de la Reine mere», nonché capitaine delle guardie del corpo del cardinale di Richelieu496. Il soggiorno del rampollo nel faubourg Saint-Germain ha tuttavia breve durata: nove mesi dopo il suo arrivo un’epidemia di peste costringe l’écuyer a lasciare Parigi ed a trasferire la propria accademia ad Alençon; La Mothe decide allora di interrompere i corsi di equitazione e di intraprendere un viaggio di formazione in Italia497.

Contrariamente a quanto ventilato da buona parte degli autori dei progetti sopra esaminati, gli istituti nobiliari effettivamente operanti, lungi dall’imporre percorsi di studio rigidi, organici ed articolati su parecchi anni, si prestano, in linea generale, a soste brevi ed occasionali, che i giovani di buona famiglia compiono piuttosto tardi, a completamento di un programma di studi cominciato altrove. «Au sortir du College on a mis ce Gentilhomme à l’Academie» è la frase che, nella prima edizione del Dictionnaire universel di Antoine Furetière (1690), segue, a mo’ di esempio, la definizione di «Academie498»; la padronanza assoluta della cavalcatura, l’esecuzione di figure equestri e lo svolgimento delle altre attività fisiche presuppongono d’altronde una prestanza ed una forza di cui un bambino in tenera età non può disporre.

Uno degli interlocutori de La promenade, immaginario dialogo, dato alle stampe nel 1620, sull’attuale stato del regno, associa gli elogi dei collegi «anciennement establis & accreus de nostre siecle» in quanto «remplis de Gens doctes & pieux» all’encomio delle scuole di Pluvinel e Benjamin, nelle quali la nobiltà ha modo di ultimare il proprio corso formativo specializzandosi nella pratica degli «exercices» sotto la guida di uomini onesti e pii499.

Un curriculum educativo completo, che prenda inizio, verso i sette anni, dall’apprendimento delle humanités e si concluda con un’infarinatura nelle principali discipline matematico-scientifiche e con un soggiorno al manège: è quanto Charles de Gamache stabilisce per suo figlio, ancora molto giovane, in una «Epistre» redatta nell’agosto 1622. I primi sette o otto anni di studio saranno destinati

496

Ms. B.n.F., manuscrits français 851, “La vie…, cit.”, ff. 27 v-28 r.

497 Ibidem, f. 29 r.

498 Furetière, cit., tomo I, senza numero di pagina.

all’assimilazione del latino ed alla lettura dei «bons Livres en ceste langue»; dopo un biennio di filosofia, il discepolo, trasferitosi, ormai diciassettenne, in una delle accademie di corte, si avvicinerà alla «Mathematique», ed in particolare alle parti concernenti le fortificazioni e la cosmografia, «car cela est de [sa] profession». Qualche mese sarà sufficiente per l’insegnamento della geometria e dell’astrologia, delle quali il gentiluomo ha raramente occasione di servirsi; del tutto superflui gli sforzi cui molti si condannano per imparare a suonare il liuto, considerato che il raggiungimento di un livello di padronanza tale da poter «plaire fort à la compagnie» o a «sa Maistresse» necessita di tempi eccessivamente lunghi500. Il periodo trascorso presso degli écuyers, consacrato soprattutto all’equitazione, alla danza ed alla scherma, dovrà avere, a differenza di quanto il più delle volte si verifica, durata pluriennale: solo facendo a lungo dell’istituto la propria dimora si può infatti pervenire a conquistare il favore del re, del Delfino e dei grands e l’accesso alle loro tavole, a prendere parte alle corse all’anello ed ai balli di palazzo; l’assiduità è