La più nota tra le proposte relative alla fondazione di accademie nobiliari è senza dubbio quella avanzata, come si è già avuto modo di accennare, dal condottiero ugonotto François de La Noue (1531-1591) nei suoi Discours politiques et militaires, scritti tra il 1580 ed il 1585, durante gli anni di prigionia a Limbourg, e pubblicati nel 1587.
123 Ibidem, pp. 272-275: «Ed […] è certo, che un tal numero di persone qualificate e
raccomandabili per virtù, conoscenza, ed esperienza, eserciterà sempre una più forte influenza sul popolo tutto per far sì che esso acconsenta con pacifico coraggio ai decreti del concilio. Considerato anche che gli uomini eletti tra molte migliaia, potranno essere arricchiti di personali doni di grazia dello Spirito divino (poiché Dio li concede a chi vuole, e spesso a coloro che teniamo in minor considerazione), perché forniscano qualche buon consiglio durante il dibattito, e rendano servizio alla pace della Chiesa ed all’unione in lei di tutti i suoi membri; visto anche che è ben noto che ci sono varie persone di questi ordini ben esercitate nello studio delle sante lettere e di ogni buona dottrina». Vedi anche ibidem, pp. 300-301.
La riflessione sui torbidi politico-religiosi che la Francia sta attraversando e sui mezzi cui ricorrere per porre ad essi rimedio porta l’autore ad interrogarsi sulle cause dell’inadeguata e lacunosa educazione di cui i rampolli d’Oltralpe danno prova. Nel quinto discorso, “De la bonne nourriture & institution qu’il est nécessaire de donner aux jeunes gentils-hommes françois124”, il nobile bretone stigmatizza i padri che, venendo meno ai propri doveri, lasciano i figli nell’ignoranza e confuta i pretesti e gli argomenti comunemente addotti per giustificare tale negligenza. È assurdo nascondere le proprie colpe dichiarando di aver agito secondo le consuetudini volute dalla «coustume», quando tutti i più grandi pensatori dell’Antichità, quali Licurgo, Socrate, Platone, Aristotele, Senofonte e Plutarco, mostrano quanto l’incuria nell’istituzione della gioventù possa essere perniciosa, tanto per l’individuo quanto per la collettività125; le eventuali «imperfections naturelles» dei bambini poco inclini all’apprendimento, lungi dall’assolvere i genitori dai loro compiti, dovrebbero indurli ad applicarsi con tanto maggiore zelo alle loro mansioni di educatori126. Ancor più degni di biasimo sono coloro che, tra i titolati francesi, si astengono, per ignoranza, dal formare i propri eredi «à pieté & vertu», nella convinzione che, una volta generati dei figli, sia sufficiente tenerli presso di sé, «& les vestir & faire boire & manger tout leur saoul»; per non parlare dei padri che l’avarizia rende restii persino a nutrire la loro progenie o di quelli che si limitano a trasmettere alla loro prole delle semplici nozioni di base di lettura e scrittura, facendo dei propri discendenti degli uomini riottosi e schivi, litigiosi, ostentatori delle loro ricchezze o disonesti, in quanto vittime delle «fausses apparences de plaisir, profit, & honneur127».
In Francia non mancano, è vero, gentiluomini più solleciti dell’istruzione dei loro rampolli. Ma i risultati ottenuti, rileva La Noue, sono spesso deludenti, poiché alcuni padri si accontentano «de quelques belles demonstrations exterieures qu’ils verront en leurs enfans», tralasciando l’educazione dell’«interieur (où il faut plus regarder)»; altri finiscono involontariamente per compromettere il
124 Su questo Discours vedi in particolare Montzey, cit., p. 64; R. von Dalwigk, Das Leben und die
Schriften des François de La Noue, in “Einladungsschrift des Gymnasium Casimirianum zu der
öffentlichen Prüfung und Schlußfeier am 22., 23. und 24. März 1875”, Coburg 1875, pp. 3-24; H. Hauser, François de La Noue (1531-1591), Paris 1892 (=Genève 1970), pp. 171-172; W. H. Huseman, François de La Noue, la dignité de l’homme et l’institution des enfants nobles:
contribution à l’étude de l’humanisme protestant, in “Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”,
42, 1 (1980), pp. 7-26, in particolare pp. 17 e sgg.; Conrads, cit., pp. 27-39; Brizzi, cit., pp. 112- 116.
125 F. de La Noue, Discours politiques et militaires, Genève-Paris 1967, pp. 134-135. 126 Ibidem, p. 138.
buon esito della propria opera pedagogica quando, seguendo una consuetudine assai diffusa, allontano i giovani titolati da casa perché questi completino altrove il loro cursus formativo128.
Quelli che sono ricevuti a corte per divenirvi paggi prendono parte, certo, a ciò che di più gradevole la vita a palazzo può offrire, imparano a vestire, parlare e muoversi come si conviene, ma rischiano di apprendere l’arte della menzogna e della dissimulazione del vizio. È pertanto opportuno che il genitore resti in contatto con il figlio e che non lo lasci a corte per più di quattro o cinque anni129, senza dimenticare, come l’autore farà presente nel ventiquattresimo dei suoi
Discours, di mettere l’ignaro fanciullo, prima della sua partenza, al
corrente del gran numero di «mauvais» che egli incontrerà e che «l’aguillonneront aux choses deshonnestes continuellement130». Non meno pericoloso, a causa dell’indisciplina che regna negli eserciti, è inviare nobiluomini di quindici, sedici o diciassette anni nei reggimenti di fanteria, a meno che essi non vi si rechino in gruppo e non siano affidati alle cure di un capitano degno di fede131. Anche i viaggi d’istruzione all’estero presentano notevoli inconvenienti: coloro che ritornano dalla Germania, «où les coustumes & civilitez sont differentes des nostres», risultano sovente «grossiers»; l’Italia è al contrario culla di «beaucoup d’exercices honnestes», cui si affiancano, tuttavia, tentazioni di ogni genere, insidiose per un viaggiatore troppo giovane e non ancora formato alla virtù ed alla pietà cristiana132. È vero che le lettere rappresentano un prezioso ornamento per la nobiltà, e rendono degno chi le professa di esercitare le più rilevanti cariche pubbliche; ma i gentiluomini vengono ritirati dalle università prima ancora di poter apprezzare il sapere in tutta la sua bellezza e profondità: i loro padri, poco disposti ad assecondare le inclinazioni naturali dei figli e convinti che i più importanti onori si ottengano attraverso l’esercizio delle armi, desiderano che i propri eredi vi siano iniziati al più presto133.
Altri blasonati, infine, timorosi del disordine dovunque imperante, scelgono di tenere la propria prole presso di sé; ma se i ricchi seigneurs possono senza difficoltà assumere, per l’istruzione dei loro eredi, i più abili e competenti precettori, i blasonati più indigenti non possono che chiedere agli amici di provvedere all’educazione dei
128 Ibidem, pp. 143-144. Vedi anche p. 238. 129 Ibidem, pp. 144-145. 130 Ibidem, p. 558. 131 Ibidem, pp. 145-147. 132 Ibidem, pp. 147-148. 133 Ibidem, pp. 148-149.
loro bambini ed alle spese ad essa attinenti134. Quale soluzione prospettare a tutti questi inconvenienti?
La Noue propone, sull’esempio dei legislatori e dei filosofi dell’Antichità, la fondazione, in Francia, d’istituti nei quali i gentiluomini «pourroient estre instruits aux bonnes mœurs & exercices honnestes, avecques plus de commodité, moins de peril & plus de fruit135»: i poteri pubblici sono perciò chiamati a collaborare con i genitori nell’opera d’istruzione della nobiltà d’Oltralpe ed a promuovere la nascita di una vera e propria rete di scuole, che «s’appelleroient academies». Ne dovrebbero sorgere quattro, nelle città di Parigi, Lione, Bordeaux e Angers o nelle grandi residenze reali di Fontainebleau, Moulins, Plessis-lès-Tours e Cognac; i blasonati, evitando i pericoli dei dispendiosi soggiorni in terra straniera ai propri rampolli, potrebbero inviarli nei nuovi collegi nobiliari all’età di quindici anni, dopo averli fatti istruire a casa o nelle università: gli esercizi del corpo, che richiedono una certa forza e prestanza, non sono adatti ad un bambino troppo piccolo136. Le academies sono infatti immaginate come centri di pratica fisica: gli allievi vi apprenderebbero l’equitazione, la corsa all’anello, la scherma, il volteggio, il salto, il nuoto, la lotta e, per accontentare alcuni cattolici137, la danza.
«[Gli esercizi] du corps seroient, apprendre à manier chevaux, courir la bague en pourpoint, & quelquefois armé, tirer des armes, voltiger, sauter, & si on y adjoustoit le nager & le lucter, il ne seroit que meilleur […]. Aucuns catholiques y a, qui voudroient qu’on monstrast aussi aux jeunes gentils-hommes à danser la gaillarde, entr’eux seulement (encor que la dance soit vane) d’autant qu’elle leur apprend à bien se composer […]138».
134 Ibidem, pp. 150-151.
135
Ibidem, p. 151.
136 Ibidem, p. 153.
137 Emerge qui la diffidenza ugonotta verso la pratica della danza: vedi Hauser, cit., p. 150; A.
Arcangeli, Davide o Salomè? Il dibattito europeo sulla danza nella prima età moderna, Treviso- Roma 2000, pp. 133-147; M. Ruel Robins, Corps à corps. La querelle des danses et ses enjeux
confessionnels in “De Michel de L’Hospital à l’édit de Nantes. Politique et religion face aux
Eglises”, a cura di Th. Wanegffelen, Clermont-Ferrand 2002, pp. 115-131. Sul ruolo che la danza giocherà nel XVII secolo nel percorso formativo dei giovani aristocratici francesi vedi E. Bury, La
danse et la formation de l’aristocrate en France au XVIIe siècle, in “Sociopoétique de la danse”, a
cura di A. Montandon, Paris 1998, pp. 191-206.
138 La Noue, cit., pp. 153-154: «[Gli esercizi] del corpo consisterebbero nell’apprendere ad andare
a cavallo, correre all’anello in farsetto e talvolta armato, allenarsi all’uso dell’arma bianca, fare del volteggio, del salto, e se vi si aggiungessero il nuoto e la lotta, sarebbe ancora meglio […]. Vi sono alcuni cattolici che vorrebbero che si insegnasse ai giovani gentiluomini anche a danzare la gagliarda, tra di loro soltanto (anche se la danza è cosa vana), visto che essa li educa a controllare le loro movenze […]».
Al fine di scongiurare il rischio che gli allievi si abbandonino a «mauvaises pensées & deliberations» i momenti di riposo saranno impiegati in «quelques occupations honnestes», quali la teoria musicale, la pratica di alcuni strumenti e la pittura139.
L’autore non dimentica tuttavia le discipline intellettuali, a suo giudizio altrettanto utili alla formazione di un uomo di spada: falso è il detto secondo cui «l’homme de guerre ne [doit] sçavoir sinon escrire son nom», dal momento che il coraggio, la destrezza nell’uso delle armi e la generosità, come sarà esposto nel decimo discorso, non bastano, da soli, a definire il vero nobiluomo, chiamato ad ornarsi di numerose virtù140. I corsi dell’accademia prevedrebbero dunque, da una parte, lezioni di matematica, geografia, fortificazioni e lingue straniere, il cui studio dovrebbe limitarsi alle necessità pratiche di comunicazione; dall’altra la lettura, in traduzione, dei testi che gli scrittori classici hanno lasciato sulla morale, sull’amministrazione e sulla guerra. Del tutto assente il latino141, attenzione particolare sarebbe invece portata alla storia, antica e moderna:
«On feroit des lectures, en nostre langue, des meilleurs livres des Anciens, qui traitent des vertus morales, de la police & de la guerre, & specialement se liroient les histoires, tant anciennes que modernes142».
Quanto ai libri poco adatti ad un giovane blasonato, sconsigliabili sono gli scritti di Machiavelli: La Noue, all’inizio del sesto Discours, ammette di aver subito, in gioventù, il fascino dei
Discorsi e del Principe, a causa delle «belles matieres politiques et
militaires» che vi sono sviluppate e che incuriosiscono molti gentiluomini, in quanto vicine alle loro attività ed ai loro interessi; ma una lettura più attenta e più matura delle opere in questione vi rivela, secondo il nobile bretone, la presenza delle «erreurs couvertes» di cui il Fiorentino è accusato nel trattato intitolato Anti-Machiavel143.
139 Ibidem, pp. 154-155.
140 Ibidem, pp. 231-235; vedi in particolare Huseman, cit., p. 15. 141
Su questo punto vedi Dalwigk, cit., pp. 20-22; Conrads, cit., pp. 35-36.
142 La Noue, cit., p. 154: «Si farebbero letture, nella nostra lingua, dei migliori libri degli Antichi
che trattano delle virtù morali, del governo e della guerra, ed in particolare si leggerebbero le storie, tanto antiche che moderne». Le ore dedicate alle materie intellettuali ammonterebbero ad almeno 24 a settimana: vedi Dalwigk, cit., p. 22.
143 La Noue, cit., p. 160. Su questo punto vedi G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea
dell’età moderna, Roma-Bari 1995, pp. 206-208: La Noue, insieme a Philippe Duplessis-Mornay
ed a Jean Bodin, è comunque tacciato di machiavellismo nel trattato intitolato Judicium de Nouae
militis galli, Joannis Bodini, Philippi Mornaei et Nicolai Machiavelli quibusdam scriptis,
pubblicato nel 1593 ed attribuito al gesuita Antonio Possevino. L’Anti-Machiavel è il titolo comunemente attribuito, all’epoca, al Discours sur les moyens de bien gouverner et maintenir en
Ancora più violente sono le accuse portate contro i romanzi cavallereschi ed in particolare contro i libri del ciclo dell’Amadis de
Gaule144: del tutto vani e stracolmi di menzogne e di superstizioni, essi incitano i lettori alla voluttà e forniscono una visione assolutamente distorta dei doveri di un buon cavaliere e dell’uso che egli deve fare delle proprie armi145.
Una volta terminato il suo cursus formativo in una delle quattro scuole del regno, il gentiluomo, ormai capace di distinguere ciò che gli altri popoli possono offrirgli di più bello e di più utile, potrà intraprendere il proprio viaggio di formazione e trarne profitto senza correre alcun rischio; e, ad ogni modo, saranno adesso gli stranieri a venire in Francia per esservi educati146. A diciotto o diciannove anni, il rampollo, abile in ogni sorta di esercizi fisici ed istruito nelle lettere, potrà primeggiare in qualsiasi corte:
«Je ne fais nul doute que quand un jeune gentilhomme auroit demouré […] en telle escolle, qu’il ne fust apres capable de comparoistre en telle cour de prince qu’on voudroit; car sçachant faire bien à propos tant d’exercices honnestes, et estant avec cela instruit en plusieurs choses qui ne se comprenent que par l’entendement, qui est-ce qui n’admireroit, en l’aage de dixhuit ou dixneuf ans, de voir un tel avancement147?»
Ma l’autore non si limita a vagheggiare l’istituzione di nuove
académies nobiliari e ad indicarne i programmi: le ultime pagine del
quinto Discours racchiudono dettagliate informazioni sulla risoluzione dei problemi pratici che la fondazione delle accademie porrebbe e
Innocent Gentillet ed apparso, in traduzione francese, nel 1576. Sul machiavellismo e sull’antimachiavellismo in Francia vedi P. S. Donaldson, Machiavelli and mystery of State, Cambridge-New York-New Rochelle-Melbourne-Sidney 1988, pp. 186-222; R. Bireley, The
Counter-Reformation Prince. Anti-machiavellianism or catholic statecraft in early modern Europe, Chapel Hill-London 1990, in particolare pp. 218-220; V. Kahn, Reading Machiavelli: Innocent Gentillet’s Discourse on Method, in “Political Theory”, 22, 4 (1994), pp. 539-560; L’antimachiavélisme de la Renaissance aux Lumières, a cura di A. Dierkens, “Problèmes
d’histoire des religions”, 8 (1997); A. M. Battista, Politica e morale nella Francia dell’età
moderna, a cura di A. M. Lazzarino Del Grosso, Genova 1998, in particolare pp. 27-135.
144
Romanzo cavalleresco spagnolo, steso da Garcia Ordoñez de Montalvo e pubblicato per la prima volta nel 1510. La più antica traduzione francese risale al 1540.
145 La Noue, cit., pp. 161-176. La polemica contro la lettura dei romanzi cavallereschi interessa, tra
il Cinque ed il Seicento, anche altre aree europee e trova la sua espressione più celebre nel Don
Quichotte di Cervantes.
146 Ibidem, pp. 158-159.
147 Ibidem, p. 157: «Non ho alcun dubbio che, qualora un giovane gentiluomo soggiornasse […] in
una tale scuola, egli sarebbe poi capace di mostrarsi pubblicamente in qualsiasi corte principesca; poiché, sapendo egli eseguire come si conviene un così gran numero di esercizi degni della sua condizione, ed essendo inoltre istruito in molte discipline che si possono comprendere solo con l’intelletto, chi non sarebbe ammirato nel vedere un tale progresso in un nobiluomo di diciotto o diciannove anni?»
sull’organizzazione della didattica. I corsi, di durata quadriennale o quinquennale, saranno sospesi la domenica ed in occasione delle più importanti festività; quanto all’equipaggiamento degli allievi, i più facoltosi dovrebbero servirsi di cavalcature proprie, in modo che le scuderie di ogni istituto possano sovvenire ai bisogni di tutti i discenti148. Sovrintendenti delle scuole, incaricati di garantirvi la massima disciplina, saranno «quatre gentils-hommes vertueux», eletti ogni quattro anni e che, residenti in loco, percepiranno una paga di 2000 lire149. Otto o dieci maestri, remunerati secondo il loro status sociale, sarebbero sufficienti, secondo La Noue, per garantire la totalità degli insegnamenti previsti; da principio, soprattutto per le discipline equestri, sarà inevitabile chiamare esperti italiani, sebbene molti gentiluomini indigenti della provincia francese siano, con tutta probabilità, altrettanto competenti nell’equitazione e nel volteggio150.
Le rendite dei benefici ecclesiastici senza cura d’anime rimasti vacanti, sovente concessi ad individui che ne utilizzano i proventi a scopi «profanes, ou si sales, qu’il seroit honteux de le dire», potrebbero essere assegnate, provvisoriamente, al finanziamento delle nuove scuole; i 12000 scudi da impiegare ogni anno per il mantenimento delle quattro accademie non rappresentano poi una spesa tanto ingente, se si considerano i vantaggi che al Paese proverrebbero dalla creazione di tali centri d’istruzione per i membri del secondo Stato151. Una nobiltà meglio educata sarà anche meno riottosa e più restia a turbare l’ordine pubblico152 ed assolverà con sollecitudine ai propri doveri verso la collettività: le compagnie di «gensdarmes» si consacreranno «à tous exercices louables», invece di abbandonarsi a passatempi ridicoli o perniciosi; le assemblee spesso convocate per dirimere controversie e denuncie o in vista della riscossione delle decime si trasformeranno in tornei, nei quali i giovani cavalieri si sfideranno «pour obtenir les prix adjugez aux plus adextres»; in breve tempo i rampolli, già istruiti «tant és actions de l’esprit que du corps», diverranno buoni cortigiani e valenti soldati153. Il sovrano, tanto premuroso nei confronti di una nobiltà da sempre pronta a mettere a repentaglio la propria vita per rendere servizio alla corona, si troverebbe, grazie alle nuove accademie, circondato da
148 Ibidem. 149 Ibidem, p. 155. 150 Ibidem, pp. 155-156. 151 Ibidem. 152 Ibidem, p. 156. 153 Ibidem, p. 158.
gentiluomini ancor più fedeli154, da persone dotate non solo di titoli, ma anche di qualità e meriti155.
L’educazione, secondo La Noue, rappresenta l’unico strumento veramente efficace per ricondurre all’antica virtù i blasonati francesi, che, già sensibilmente «abastardi[s]» e «esloign[és] des anciennes moeurs», rischiano di essere travolti dall’universale corruzione dilagante nel Paese156: scritti sotto la pressione delle guerre di religione da un condottiero protestante momentaneamente prigioniero del re di Spagna, i Discours politiques et militaires mirano infatti, sin dalle prime pagine, a proporre rimedi finalizzati a risollevare la Francia dalle violenze e dai disordini che da tempo la opprimono157. Ideologicamente vicino alle istanze politiques158, l’autore ritiene necessario, a questo scopo, trovare un espediente atto a risolvere il problema della frattura confessionale senza ricorrere allo scontro armato, «car, si la guerre civile n’est chassee, c’est folie de parler de restauration». Nell’attesa di una riunificazione dei fedeli d’Oltralpe, il re e la regina, il loro consiglio, i principi ed il Parlamento di Parigi sono esortati a votarsi alla causa del «bon restablissement politique» della pace e della concordia, possibile, come dimostrato dalla storia antica e moderna, anche tra sudditi appartenenti a diverse Chiese; l’ormai defunto cancelliere di Francia Michel de l’Hospital, «nostre Caton», è elogiato come indefesso fautore dell’equità pubblica159. Del resto, specifica La Noue nel terzo Discours, i sentimenti che hanno spinto i Francesi all’odio ed agli scontri civili non sono stati loro dettati da quell’ardente «affection de l’ame qui tend à l’honneur de Dieu», ma da un falso zelo religioso, di cui entrambe le parti si sono macchiate e che ha finito per rompere la concordia pubblica; la lettura delle Sacre Scritture insegna a non negare al fedele di un’altra confessione lo statuto di «prochain160». È opportuno dunque, come l’autore spiegherà qualche anno più tardi in una lettera scritta nel 1590 o nel 1591 per discutere l’opportunità di un’eventuale conversione di Enrico IV alla Chiesa di Roma, distinguere i buoni cattolici, desiderosi
154 Ibidem, p. 159.
155 Ibidem, p. 157. 156 Ibidem, pp. 133, 157. 157 Ibidem, pp. 17 e sgg.
158 Su questo punto vedi Vivanti, cit., pp. 207-209; Waneffgelen, cit., pp. 440, 443. Per
un’interessante discussione sull’origine e sull’uso del termine politique durante le guerre di religione vedi M. Turchetti, Une question mal posée: l’origine et l’identité des Politiques au temps
des guerres de Religion, in “De Michel de L’Hospital…, cit.”, pp. 357-390.
159 La Noue, cit., pp. 52-55.
della pace, fedeli al re ed all’«Estat», dai ligueurs, asserviti agli interessi della Spagna e pertanto favorevoli alla continuazione delle lotte intestine161. I cristiani, sostiene La Noue nel primo dei suoi
Discours, non devono dunque «s’estimer comme Turcs les uns les
autres162»; al contrario proprio per marciare contro i Turchi, cessate le ostilità fratricide, essi sono chiamati a ritrovare l’antica unità163.