Capitolo 2. L’accademia di Pluvinel
I.2.5 L’Academie de la noblesse di Alexandre de Pontaymer
Autore di una vera e propria brochure pubblicitaria per la scuola di Pluvinel, suo conterraneo, è il già ricordato gentiluomo ugonotto Alexandre de Pontaymeri, seigneur di Focheran. Nato a Montélimart, o nelle immediate vicinanze, verso la metà del Cinquecento269, si pone al servizio, nel corso degli scontri civili, del compatriota e correligionario duca di Lesdiguières. In onore di quest’ultimo, così come degli altri protagonisti dell’impresa, il poeta, che prende parte attiva agli scontri, stenderà i versi de La cité du
Montélimar, ou les trois prinses d’icelle270: le armate ugonotte strappano a più riprese, tra il 1585 ed il 1587, la città natale dello
269 Per le notizie biografiche su Pontaymeri vedi A. de Pontaymeri, Hymne composé sur la tres-
florissante, et tres-fameuse cité de La Rochelle […], La Rochelle 1594 (=La Rochelle 1875), p. 8;
S. de Marsy, B. Imbert, Annales poétiques, Paris 1779, tome X, p. 235; Haag, cit.; Rochas, cit., tomo II, pp. 289-290; ABF I, 848, 282-297. Secondo J. Brun-Durand Pontaymeri non nasce a Montélimar: il suo nome non compare né nei documenti della città né in quelli dei centri circonvicini; sarebbero state le peripezie della guerra a condurvelo. Vedi J. Brun-Durand,
Dictionnaire biographique […] de la Drome, Grenoble 1900-1901, tomo II, p. 270.
270 A. de Pontaymeri, La cité du Montelimar, ou les trois prinses d’icelle, composées & redigées
en sept livres par A. de Pontaymeri, seigneur de Foucheran, s.l. 1591; Idem, Livre de la parfaicte vaillance, divisé en chapitres, Paris s.d. (ma il privilège, di cui è riprodotto un estratto, è datato
1596), pp. 97-100. L’autore non lesina elogi a Lesdiguières neppure nelle opere successive: vedi Idem, Le roy triomphant, où sont contenues les merveilles du tres-illustre, & tres-invincible prince
Henry par la grace de Dieu roy de France, & de Navarre, dedié au roy, par Alexandre de Pont- aymery, seigneur de Focheran, Cambray 1594, p. 68; Idem, Discours d’estat, où la necessité & les moyens de faire la guerre en l’Espagne mesme, sont richement exposez. A tres-illustre et tres- valeureux prince, Charles de Bourbon, comte de Soissons, pair & grand maistre de France, Lyon
1595, pp. 16 e sgg.; Idem, L’image du grand capitaine, in “Les œuvres d’Alexandre de Pont- Aymeri sieur de Focheran”, Paris 1599, ff. 148 v-149 r, 186.
scrittore dalle mani dei cattolici. Dopo aver partecipato, sempre nelle file degli eserciti protestanti, alle guerre tra il Delfinato e la Savoia (combatte nella battaglia di Pontcharra, svoltasi nel settembre 1591271), Pontaymeri si consacra interamente alla scrittura: fino alla morte, avvenuta con tutta probabilità nei primi anni del regno di Luigi XIII, egli firmerà numerosi componimenti poetici272, dei trattati ed alcuni Discours d’Estat.
La sua produzione, che si concentra nell’arco cronologico 1594- 1596, è quella di un ugonotto fedele e devoto al re Enrico IV273, seppure il poeta dichiari, in uno scritto piuttosto tardo e non senza toni di amarezza, di avere da sempre stimato ed apprezzato il re solo in virtù delle sue «generales actions», non essendo pervenuto, per il resto, ad ottenere alcun favore dal sovrano: abbandonate le proprie fortune e sacrificatosi per porsi a servizio della corona, «sans avoir pour dessein que le dessein d’estre François», l’autore deve infine constatare che «l’on ne fait bien qu’à ceux qui nuisent274». L’attaccamento di Pontaymeri alla monarchia supera le rivalità confessionali e resta saldo malgrado la conversione del Borbone alla Chiesa di Roma: a maggior ragione, spiega l’autore ne L’image du
grand capitaine, opera stesa tra il 1595 ed il 1596, dovrebbero essere
riconoscenti al re coloro che, tra i sudditi cattolici avidi di un chimerico «gain presomptif», si sono schierati dalla parte del partito dei Lorena e degli spagnoli, rivolgendo le armi contro un sovrano «Catholique & de profession & de devotion275». La condanna non si estende pertanto alla totalità dei fedeli del papa («Les Curez de toutes les paroisses prient Dieu pour le Roy, les Loix divines & humaines l’ordonnent, ses bien-faicts nous y obligent generalement276»): stigmatizzati sono i ribelli che sostengono la Lega, «maladie […] attachee aux ames Françoises, comme la fievre aux humeurs des corps purulens & mal-sains277», e gli interessi della Spagna278, contro la quale Pontaymeri esorta il principe Carlo di Borbone a rivolgere le
271 Pontaymeri, Le roy triomphant…, cit., pp. 96 e sgg.; Idem, L’image du grand capitaine, cit., f.
186.
272 Oltre alle opere scritte in versi, di Pontaymeri restano taluni componimenti inseriti in antologie
e raccolte pubblicate all’inizio del Seicento: vedi, per esempio, Les marguerites poetiques, tirees
des plus fameux poëtës françois, tant anciens que modernes, Lyon 1613, pp. 35, 42 e passim; Le cabinet des Muses, Rouen 1619, pp. 391-406.
273 Pontaymeri, Le roy triomphant…, cit.; Idem, Discours d’estat sur la blessure du roy, Lyon
1595.
274 Idem, Livre…, cit., pp. 51-52. 275
Idem, L’image…, cit., f. 221.
276 Idem, Discours d’estat sur la blessure du roy, cit., p. 11. 277 Ibidem, p. 3.
armi279. E se la potenza iberica rappresenta, agli occhi del poeta, il più minaccioso nemico politico della Francia, l’Italia, controllata da Filippo II e dal pontefice, è a più riprese dipinta come la terra del vizio e della corruzione morale: aspra è, nel poema intitolato Le roy
triomphant, la polemica contro i napoletani, «troupe Sodomite», i
«Grecs d’Italie» (gli abitanti del Meridione ed i Siciliani) e «l’artiste Lombard», ovvero l’artigiano di Milano280, città «es-honté[e]281».
Non desta quindi stupore che L’academie ou institution de la
noblesse françoise si apra con un magniloquente ringraziamento ad
Antoine de Pluvinel, cui la Francia intera dev’essere grata. L’écuyer, fondando la propria scuola, nella quale i bambini possono essere introdotti a partire dai dieci o dagli undici anni, ha esonerato i nobili dall’obbligo di allontanarsi da casa in troppo giovane età per completare il proprio percorso formativo nella Penisola, dove, con enormi sacrifici finanziari, essi non acquisiscono che l’«ombre de la civilité», assimilando in compenso vizi di ogni sorta ed esponendosi ad innumerevoli rischi materiali: malattie, rapimenti, omicidi. A ciò si aggiunge la minaccia costante dell’Inquisizione, che incombe tanto sui protestanti quanto sui cattolici: questi devono costantemente pensare a come allontanare da sé il sospetto di non avere «ouy devotement la Messe», mentre i primi corrono addirittura il pericolo di finire sul rogo e di «mourir de chaud […] en plein hyver282». Il trattatista asserisce di parlare con piena cognizione di causa, avendo soggiornato per quasi due anni in Italia: ogni centro porta il marchio di una particolare perversione.
«Ceux de Milan nous apprennent la tromperie, le Boulognois nous enseigne le mensonge, le Venitien nous rend hypocrite & songeart [sic], le Romain nous plonge en un Ocean d’atheisme & d’impieté: & le Napolitain nous change en un Satyre, ou plustost nous fait un esgout & un cloaque de toute lasciveté, mollesse & paillardise. I’avois oublié les Florentins ennemis iurez des bonnes mœurs283».
279 Idem, Discours d’estat, où la necessité & les moyens de faire la guerre en l’Espagne…, cit. 280 Idem, Le roy triomphant…, cit., p. 45.
281 Idem, Hymne composé sur la tres-florissante, et tres-fameuse cité de La Rochelle…, cit., p. 20.
Alla base di queste invettive sta la diffidenza ugonotta verso l’Italia, terra di papistes.
282 Idem, L’academie ou institution…, cit., ff. 2, 5 v, 7 v. Sulla brochure in esame vedi Conrads,
cit., 53-57; Platte, cit., p. 18 n; Balsamo, cit.
283 Pontaymeri, L’academie ou institution…, cit., f. 2: «Quelli di Milano ci insegnano l’inganno, i
Bolognesi l’arte della menzogna, i Veneziani ci rendono ipocriti e privi di senso della realtà, i Romani ci fanno sprofondare in un oceano di ateismo ed empietà; ed i Napoletani ci trasformano in satiri, o meglio fanno di noi una fogna ed una cloaca di ogni sorta di lascivia, indolenza e dissolutezza. Avevo dimenticato i Fiorentini, nemici giurati dei buoni costumi».
Nella nuova scuola gli esercizi sono insegnati con cura maggiore di quanto non avvenga nei maneggi della Penisola, dove i maestri si mostrano assai solleciti nell’informarsi sulla durata del soggiorno che gli allievi intendono effettuare presso di loro, ma dedicano quotidianamente una sola ora del proprio tempo ai discenti; e, ad ogni modo, «il vaudroit mieux ne sçavoir pas monter à cheval, que de l’avoir appris avec les vices de l’Italie284».
Vi sono tuttavia motivi ben più rilevanti per essere riconoscenti a Pluvinel, che, attraverso l’istituzione da lui eretta, ha voluto servire «d’eschelle & de marchepié aux choses les plus eslevees & plus glorieuses»: ai vizi italici Pontaymeri oppone le perfezioni di cui i gentiluomini si possono ornare frequentando la nuova accademia, «temple à la vertu», luogo deputato all’apprendimento delle «bonnes mœurs» e pertanto culla di onore, rispetto, grazia, amicizia e «courtoisie285».
Ma in che misura, al di là dei toni celebrativi, l’opera in esame può fornire indicazioni sull’attività didattica dell’istituto dell’écuyer delfinate?
Più che ad esaltare l’iniziativa di Pluvinel, l’autore de
L’academie mira ad illustrare una propria proposta formativa, di
natura soprattutto morale e teorico-letteraria. Il libro è quasi interamente dedicato all’esposizione delle virtù e delle conoscenze di cui un gentiluomo dev’essere dotato: compito di un blasonato è quello di prendersi cura, ancor più che del proprio corpo, delle qualità dell’anima, «nostre plus belle & principale nature, voire nostre tout mesme». Pontaymeri redige di fatto un vero e proprio trattato pedagogico, affrontando tematiche a lui assai care, rintracciabili anche nel resto della sua produzione e delle quali è qui interessante ripercorrere le linee generali.
In primo luogo, l’importanza della «prudence» come principio guida della condotta di un blasonato. Scarsa utilità hanno, in un uomo di spada, il coraggio ed il valore militare («vaillance»): questi pregi in lui naturali, quando non siano accompagnati da «iustice», clemenza, ragione e «contenance», assomigliano piuttosto ad un furore cieco, incontrollato e potenzialmente pernicioso286. Come il seigneur
284 Ibidem, ff. 7 v, 57 v-58 r. 285 Ibidem, ff. 3 r, 9 v. 286 Ibidem, ff. 21 v-23 v.
ugonotto farà presente, nel 1596, nelle pagine di un opuscolo specificamente dedicato a tali problematiche e dato alle stampe con il titolo di Livre de la parfaicte vaillance, l’audacia del guerriero merita approvazione nel caso in cui essa sia impiegata in aiuto ai principi legittimi o in vista della conservazione dei loro regni, per la difesa della propria persona o per proteggere i deboli e gli innocenti, ma «hors de tel ou semblable subiect elle est ridicule […], elle s’appelle manie, elle se nomme rage & desespoir». Allo stesso modo il valore di un capitano è lodevole se procura una vittoria a coloro che questi guida, ma l’ardore diviene una grave colpa allorché il condottiero, per la sua sola intemperanza, finisce per attirare la tempesta su tutto l’esercito; grave peccato di orgoglio verso il Signore è quello del cristiano che, animato da questo «simple courage» e dimentico della propria condizione di peccatore ancora avvolto nelle tenebre, finisce per ascrivere a proprio merito una virtù in realtà ricevuta in dono dalla Grazia divina287.
È alla «discretion», sintesi di tutte le virtù chiamata a dirigere ed orientare l’atto eroico, che i gentiluomini de L’academie de la
noblesse françoise sono spronati a guardare come al più alto degli
attributi degni di un animo bennato: capacità di analisi critica della natura di ogni situazione, questa prudenza, nemica di vizi quali l’orgoglio, la vanità e la voluttà, rappresenta la messa in pratica dei precetti delle scienze morali, permette l’umana convivenza e la realizzazione dei nostri disegni. Il vero valore guerriero, del quale, sfortunatamente, «l’infamie de nostre siècle» impedisce l’uso, apre infine la strada al trionfo della giustizia e della pace, in quanto esso qualifica e contraddistingue coloro che lottano contro i nemici della propria patria ed in difesa dei diritti dei principi legittimi288.
In secondo luogo, la conoscenza delle lettres, che, analogamente a quanto evidenziato, negli stessi anni, da Duplessis- Mornay nel suo “Advis”, diviene mezzo privilegiato per inculcare prudenza ed oculatezza in coloro che si faranno garanti della difesa del Paese. Le vittorie che spettano a condottieri «barbares, ignorants, lourds, importuns, & indiscrets» sono da ascriversi non ai loro meriti o al loro valore, ma alla fortuna; d’altronde, numerosi sono i nobili caduti nel corso delle recenti guerre per non aver arricchito il proprio coraggio di doti quali la perspicacia e la «courtoisie» e per aver lasciato che l’ignoranza dei propri limiti li conducesse alla
287 Pontaymeri, Livre de la parfaicte vaillance…, cit., pp. 19, 49, 56, 58-59. 288 Idem, L’academie ou institution…, cit., ff. 24 r-32 r.
presunzione. I più gloriosi cavalieri, i più grandi capitani ed i più illustri sovrani hanno da sempre accompagnato le armi ad un «gentil & liberal sçavoir289»: l’educazione del giovane nobile, che l’autore si propone di «rendre parfaict290», alla virtù dell’anima dovrà pertanto prendere le mosse dalla lettura dei libri che Pontaymeri si dà cura di consigliare e commentare.
Ai poemi di Omero bisogna tributare rispetto a causa della loro antichità, ma essi non sono «recevable[s]» per quanto attiene alla dottrina delle «mœurs»; per trarre beneficio dalle opere che la letteratura greco-latina ha lasciato è necessario rivolgersi agli storici, in particolare a Plutarco, tenendo per altro presente che nella Bibbia, in misura maggiore di quanto non avvenga nella totalità dei testi antichi, è possibile trovare le indicazioni indispensabili per una buona condotta della vita pubblica, privata e religiosa291. Gli storici francesi giudicati edificanti in vista del perfezionamento morale ed intellettuale dei blasonati non sono numerosi: tra quelli attivi nel Quattrocento il
seigneur ugonotto elenca Enguerrand de Monstrelet e Philippe de
Commines; tra i contemporanei, Pontaymeri ricorda «du Bellay292» e Bernard du Haillan, storiografo di corte sotto Carlo IX, Enrico III ed Enrico IV e probabilmente sensibile alle idee della confessione riformata. Ma l’autore de L’academie non esclude da questa ideale biblioteca neppure le memorie di uno dei più feroci condottieri cattolici, noto per le spietate persecuzioni perpetrate contro i protestanti: come assai utili ad un soldato sono menzionati anche i
Commentaires di Blaise de Montluc, a condizione che il lettore
«n’emprunte rien de ses particulieres affections à un party» e, grazie alla discrezione, pervenga a fare delle memorie in esame l’uso più opportuno. È ormai tempo, aggiunge il seigneur di Focheran, di abbandonare gli appellativi di «amis» ed «ennemis» per abbracciare l’universale denominazione di compatrioti e Francesi, «nationnaires», vicini e parenti293. I costumi e la natura degli alleati e dei nemici della Francia possono essere appresi attraverso la consultazione degli annali e delle storie consacrate ai singoli popoli ed ai vari regni stranieri: sarebbe pertanto opportuno tradurre in francese le «Chroniques» dei re
289 Ibidem, ff. 45 v-49 r.
290 Ibidem, f. 29. 291 Ibidem, ff. 37 v-39 r.
292 Si tratta forse, più che del poeta Joachim, di Martin du Bellay (1495 circa-1559), che si occupa
della redazione dei Mémoires […] contenans les discours de plusieurs choses advenues au
royaume de France depuis l’an 1513 jusques au trespas du roy François I […], pubblicati per la
prima volta nel 1569; il materiale era stato in realtà preparato dal fratello Guillaume (1491-1543).
spagnoli, degli imperatori, dei papi e degli altri regnanti d’Europa. E a tal proposito, per quanto difficile ne possa risultare ad un giovane rampollo la lettura, gli scritti di Jean Bodin sono degni di ammirazione in ogni loro parte ed eccellono nelle sezioni in cui l’autore descrive la forza ed il coraggio delle diverse «nations», analizzandone con perspicacia il carattere294.
In chiusura di un trattato scritto da Pontaymeri negli stessi anni François de La Noue è celebrato come perfetto esempio di «grand capitaine», in quanto summa di tutte le virtù, che con lui hanno trovato sepoltura295; e ne L’academie il trattatista non manca di consigliare i
Discours tra i testi di sintesi per l’arte militare, specificando, tuttavia,
che il libro «ne se lasse pas gouster à tous genres d’esprits296». Ciò che qui avvicina Focheran a La Noue è in compenso la risolutezza della condanna pronunciata contro Niccolò Machiavelli, tacciato di ateismo. La «prudence» illustrata da quest’ultimo insegna a volgersi, sulla base di criteri di utilitarismo, non verso il bene, ma verso la semplice apparenza di tutto ciò che è buono ed onesto; la «foy», che, a detta del Fiorentino, si può «rompre & dissoudre» secondo le esigenze del momento, è strumentalizzata e ridotta a mezzo di «commerce»; la sola forma di governo possibile è, nel Principe, la tirannia, mentre la sovranità legittima è riconosciuta unicamente al più forte. Lo scrittore condanna quindi i «Magistrats de l’Italie, & de la France» che permettono la vendita di uno scritto nel quale la malvagità si erge a sostanza stessa della regalità, di cui la virtù è descritta come una malattia: si tratta di precetti forieri di «desolation […] universelle», pericolosi per l’intera cristianità e che già hanno provocato divisioni e controversie. Non solo: le massime dell’Italiano hanno stregato alcuni regnanti297 e diffuso, come l’autore rileva nelle pagine del Livre de la
parfaicte vaillance, la riprovevole convinzione, sostenuta dai
«Machiavelistes», secondo la quale per servire un re la «flaterie», superiore alle leggi ed alla natura, è preferibile alla rettitudine, alla ragione, alla giustizia298. Tra gli storici italiani il seigneur di Focheran cita Francesco Guicciardini299 e Paolo Giovio, noti in tutta Europa ma
294 Ibidem, f. 45.
295 Pontaymeri, L’image du grand capitaine, cit., f. 258. 296 Idem, L’academie ou institution…, cit., f. 42 v. 297 Ibidem, ff. 40 v-42 r.
298 Pontaymeri, Livre de la parfaicte vaillance…, cit., pp. 155-156.
299 Più violente sono le accuse portate contro Guicciardini e l’Italia ne L’image du grand capitaine,
cit., f. 154: «Guicchiardin qui ne fut iamais homme d’honneur, a obscurcy au possibile ses [di
Carlo VIII] victoires, & s’est rendu ennemy de sa reputation chez les Italiens: Mais il ne s’en faut que mocquer, & luy respondre que comme l’Italie a commencé de mal faire depuis long temps, elle continuëra mesme à mal parler, n’estant rien de plus naturel à l’homme lasche & failly de courage que la mesdisance, lors qu’elle est moins en l’estat, qu’en la personne que la vomist».
colpevoli di parzialità poiché «Imperiaux, & partisans d’Espagne»: il primo è imbevuto dei vizi del suo Paese, l’altro è impertinente, menzognero ed adulatore300.
Tra gli scrittori della Penisola è ad ogni modo Pietro Aretino ad essere più aspramente criticato. Quanto al corpus di Boccaccio, l’unica lettura da evitare è quella del Decameron, a causa dell’«oysiveté» e dei discorsi lascivi che lo caratterizzano; del tutto deprecabile è Girolamo Muzio, «fastueux, arrogant & ignare», un «charlatan» dal pensiero ambiguo e frivolo, pronto ad esaltare un popolo per natura vigliacco come quello italiano301. Indicato per un giovane gentiluomo, ma tutto considerato non indispensabile, risulta il «livre en prose de la Noblesse» firmato da Torquato Tasso302, il quale appare, agli occhi di Pontaymeri, «plus louable qu’admirable, & plus admirable que necessaire». Essenziale ad un seigneur è invece, precisa Pontaymeri, la conoscenza della produzione di Enea Silvio Piccolomini, esaltato come uno degli «ornemens» del continente: la produzione del Toscano, irreprensibile nella dottrina dei costumi, eccellente in quanto concerne la «Police», esperto nelle scienze matematiche, competente in fisiologia ed in filosofia contemplativa, rappresenta ciò che di più adatto all’educazione di un rampollo si possa trovare; quanto agli Spagnoli, Antonio Guevara, autore accettabile soltanto nelle file dei gesuiti, è accusato d’ignoranza303.
Duplessis-Mornay, Michel de Montaigne e Guillaume du Vair sono portati a modello di stile per la prosa, che l’autore ritiene superiore ai versi in persuasività. Ma l’allievo de L’academie non deve trascurare la poesia, comunque dotata di una speciale facoltà di seduzione delle «ames bien nées»; ed evitando di formare il proprio «iugement» sui contenuti dei poemi, il discente potrà acquisire, tramite lo studio dei versificatori greci, latini, francesi, spagnoli ed italiani, la capacità di arricchire i propri discorsi delle autorità dei più importanti poeti. Gli autori consigliati sono, accanto a Pierre de Ronsard, Guillaume du Bartas, Philippe Desportes e Joachim du Bellay; Baïf è assai dotto, ma mediocri sono i risultati ottenuti nello sforzo di mettere in rima le sue tanto profonde conoscenze; quanto al