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Accenni di critica al capitalismo

3. Le riscritture di Luigi Compagnone e Giorgio Manganelli

3.1. Luigi Compagnone e Pinocchio

3.1.3. Accenni di critica al capitalismo

classe che aspira all’imborghesimento e al perseguimento del benessere.

La fedeltà all’originale si ritrova nel tratteggio di Mangiafoco con tutto il suo carico di attributi carnevaleschi e prosegue nel capitolo successivo, dal titolo

Sua eccellenza e la grazia, che riprende la sequenza encomiastica con cui Pinocchio

intende sedurre Mangiafoco per ottenere la salvezza. Mangiafoco è da una parte lo stesso pseudo-orco delle AP, dall’altro il traghettatore di Pinocchio verso la società capitalistica e corrotta rappresentata materialmente dalle monete d’oro e socialmente dalla coppia del Gatto e la Volpe. Compagnone rispetta l’atmosfera circense che evoca la figura del burattinaio, dapprima paragonato a un carnefice di Sade ma subito derubricato a piccolo commerciante con l’inclinazione al facile guadagno «che precipita nei vizietti e buffonaggini della società italiana del tempo»124. Il seguito del capitolo rispetta la scansione collodiana, con Mangiafoco che si commuove e «fa il bocchino tondo» (riferimento corporeo resistente dell’ipotesto), trasformandosi da orco a «bottegaio tutt’italiano […] con l’inconscia convinzione che l’elemosina è l’oppio del sottoproletariato»125. Egli consegna dunque le cinque monete d’oro a Pinocchio innescando quella corsa verso l’accumulo che provocherà tanti problemi al burattino. Il quale, ancora ignaro di essere diventato una preda, abbandona il teatro e ripiomba nella sua solitudine. Nel Commento l’autore preserva i tratti d’ingenuità di Pinocchio, ma prepara il terreno per la trasformazione che il personaggio subirà nella Vita nova soprattutto riguardo al possesso di beni e alla critica al capitalismo e consumismo della società moderna.

3.1.3. Accenni di critica al capitalismo nel Commento

Le cinque monete d’oro diventano il simbolo di quella corsa all’accumulo che d’ora in poi accompagna Pinocchio il quale assume lentamente le caratteristiche

                                                                                                                124 Ivi, p. 35.

di «burattino economico»126. Uscito dal teatro, Pinocchio incontra il Gatto e la Volpe, definiti da Compagnone «Coppia Maledetta»127. Essi conservano tratti che derivano dalle AP, soprattutto nel travestimento comico della «guittesca mascheratura che si esprime con tic, ammiccamenti, farfuglii, contrazioni del viso proprie degli ebeti»128 ma anticipano anche quella feroce critica al capitalismo che Compagnone porta a termine nella Vita nova. Il loro riso canzonatore d’ispirazione collodiana riconduce Pinocchio al livello di plebeo, ma allo stesso tempo lo imbonisce e lo affascina in una «felice credulità di sonnambulo»129. Pinocchio e la coppia sono indissolubilmente legati dal denaro e ogni volta che le loro strade s’incrociano, emerge il tema dell’accumulo. Lo sviluppo del loro rapporto tuttavia rispetta, almeno da un punto di vista formale, l’opera fonte: mentre il burattino si evolve, il Gatto e la Volpe sono destinati alla povertà e alla perpetuazione dei loro giochi ingannevoli fino al finale in cui Pinocchio li redarguisce con massime e proverbi che lo rendono simile al Grillo Parlante. In questo modo si riabilita il burattino che può proseguire sulla via della redenzione, mentre le due losche figure antropomorfe possono solo soccombere alla loro insaziabile bramosia di denaro e potere.

Insieme al Gatto e la Volpe, una figura che Compagnone rappresenta con tinte negative è quella della Fata. Gli episodi in cui si prende cura di Pinocchio sono sempre descritti con una vena di cinismo e ironia. Lo scrittore le attribuisce due eventi «catastrofici» per il burattino: il primo corrisponde alla salvezza dall’impiccagione, il secondo alla trasformazione finale, vera catastrofe che introduce Pinocchio «nella razionalità e nell’ingranaggio del mondo italiano del suo tempo e del nostro»130. Dopo aver resuscitato Pinocchio, è associata alla menzogna e all’accumulo di beni con un’anticipazione di quella lascivia che sarà poi sviluppata appieno nella Vita nova.

                                                                                                                126 Ivi, p. 79. 127 Ivi, p. 48. 128 Ivi, p. 39. 129 Ivi, p. 42. 130 Ivi, p. 135.

La critica nei confronti del capitalismo si esplicita completamente nel capitolo Faine e mimesi, in cui Pinocchio, trasformato in un cane da guardia, incontra le Faine che «secondo la benefica legge del plusvalore»131 introducono il burattino nel «processo o vocazione alla mimesi che investe gli italiani perbene, i quali, una volta entrati negli ingranaggi burocratici, diventano perfetti burocrati»132. Inizia in questo episodio il processo di conformismo che conduce Pinocchio verso un finale accettabile, «principio del suo decadimento»133 rappresentato dal gesto del contadino che gli leva il collare dopo averlo trasformato in cane da guardia. In realtà Compagnone condanna con sarcasmo l’intero episodio: il contadino, attento solo a preservare i propri averi rappresenta una difesa estrema della proprietà privata a scapito di chi è povero e nullatenente. Pinocchio, con la sua fedeltà incondizionata, condanna quelle persone che invece dovrebbe tutelare.

Un’analisi particolare è condotta da Compagnone sui luoghi di Pinocchio: essi sono trasposti dalla loro dimensione classica collegata alla realtà contadina e toscaneggiante e diventano teatro degli inganni cui è sottoposto Pinocchio. Compagnone si dilunga soprattutto nella descrizione del Campo dei miracoli «analogo della Banca romana, che fra qualche anno si esibirà in una delle più colossali truffe del tempo alle spalle del risparmiatore».134 Il campo dei Miracoli è, insieme al Paese dei balocchi135, luogo dell’illusione e del decadimento destinato a diventare uno degli scenari principali delle azioni frodolente di Pinocchio nella

Vita nova. Compagnone dimostra di avere chiara l’evoluzione di Pinocchio già nel Commento: egli infatti fa riferimento all’«altra vita» di Pinocchio, che diventerà vita nova nella riscrittura successiva, dal momento in cui Pinocchio inizia a lavorare e

intrecciare canestri per aiutare Geppetto, preludio della trasformazione finale.

                                                                                                                131 Ivi, p. 69.

132 Ivi, p. 70. 133 Ibid.

134 Ivi, pp. 59-60. Il riferimento alla Banca Romana ricorre spesso in Compagnone come esempio di corruzione e insabbiamento da parte del potere centrale.

3.1.4. La trasformazione finale

L’«altra vita» di Pinocchio inizia quando il burattino si dedica al lavoro piegandosi alla logica del guadagno e al ritmo della catena di montaggio. Il lavoro sembra orientato al recupero del rapporto padre-figlio che si sviluppa per tutto il

Commento e cresce fino al ribaltamento finale, in cui è Pinocchio a guidare il padre

e a condurlo fuori dalla balena e sulla terraferma. È questo il finale che secondo Compagnone l’opera avrebbe dovuto avere:

Scortato invece dalle buone intenzioni del suo Autore, lo vedremo a poco a poco inserirsi in una piccola società come quella toscana, fino a diventare il comodo piccolo eroe dell’Italietta del tempo, modello esemplare di accordi bonari su certezze comuni. Ma di questo Collodi non si accorse. E poté credere che il processo progressivo di Pinocchio continuava anche dopo la fuga.136

L’ultimo capitolo, È passata la musica innocente137, è il più lungo e ripercorre la vicenda e la trasformazione del burattino verso quell’epilogo negativo in cui Pinocchio precipita «per contagio di livellante magia contro la sua libera infanzia»138. La critica a Collodi è di non aver percorso fino in fondo quella via rivoluzionaria con un finale di vera libertà dai luoghi comuni e dalle aspettative dei lettori e del buon senso. Il suo sperimentalismo, imbrigliato nelle trame del provincialismo, rimane secondo Compagnone un tratto sospeso e interrotto da Collodi, tratto che egli decide invece di cogliere e percorrere nella seconda riscrittura delle AP, La vita nova di Pinocchio.

                                                                                                                136 Ivi, p. 128.

137 I versi sono ripresi da una poesia di Ossi di seppia di Eugenio Montale. 138 Ivi, p. 134.