3. Le riscritture di Luigi Compagnone e Giorgio Manganelli
3.3. Giorgio Manganelli e la pratica della riscrittura
3.3.4. Il teatro e le sue forme
L’isotopia dello spettacolo è al centro della rilettura-riscrittura che Giorgio Manganelli conduce sul capitolo dieci delle AP, capitolo interamente dedicato al passaggio di Pinocchio all’interno del teatro di Mangiafoco, episodio che si presta a molteplici riflessioni nella riscrittura manganelliana. Nel ripercorrere lo straniamento che investe Pinocchio dentro il teatro Manganelli rispetta le tappe dell’opera fonte di cui approfondisce alcuni spunti specifici, come la ricostruzione delle origini di Pinocchio, il suo rapporto con Mangiafoco e l’acquisizione di quella tendenza alla dissimulazione che lo accompagneranno da quel momento in poi. Consapevole del potere seduttivo delle tecniche di manipolazione linguistica, egli sembra dunque scegliere questo luogo per la sua capacità di tematizzare il problematico rapporto tra l’uomo e la realtà, oltre che per il suo valore paradigmatico di spazio di finzione e di rivelazione. Manganelli inserisce il teatro dentro lo spazio del «c’era una volta», luogo fisicamente chiuso e in cui vigono le regole della finzione, abitato da personaggi che non sopravvivono al di fuori di esso: «accogliendo la regola del “come se”, i burattini [vi] recitano una finta metamorfosi»192. Nel teatro non esiste d’altronde «il linguaggio privato, ma solo la recitazione, non [vi] si può discorrere se non per retorica»193. Arlecchino, nel chiamare Pinocchio che siede tra il pubblico, deve infrangere la barriera della finzione e sospendere la recitazione di fronte al
190 Ivi, p. 165. 191 Ivi, p. 166. 192 Ivi, p. 62. 193 Ibid.
pubblico stesso, che Manganelli definisce «la gente vera»194 in un atto che comprende «emotività e falsità». Ma gli spettatori sono straniati dal processo di agnizione, così come lo è il burattino: «forse le poche ore umane lo hanno già reso estraneo».195 Pinocchio partecipa allo spettacolo e si unisce alle altre marionette poiché per poter andare avanti deve prima regredire fino alle origini. L’espansione della riscrittura parallela manganelliana si concentra a questo punto sulle origini di Pinocchio. Il passaggio nel teatro e il contatto con la «compagnia drammatico-vegetale» restituiscono il burattino alla foresta e all’albero da cui proviene:
‘Fratelli’ saranno stati in quella ipotetica foresta originaria, e come tali si saranno riconosciuti, e avranno tenuto una qualche conversazione di ‘vocine’. Da sempre, dunque, non si sono mai separati; hanno vissuto nei nodi e nelle scorze della foresta, hanno conosciuto una misteriosa metamorfosi, ed ora sono il Gran Teatro. 196
In questo «Gran Teatro» Pinocchio è un transfuga che Manganelli colloca nello «spazio disabitato tra la compagnevole fratellanza vegetale e la vagheggiata condizione umana»197. È proprio in virtù di questa evoluzione che ora è in grado di dialogare con Mangiafoco, personaggio che, come Pinocchio, occupa una posizione narrativa intermedia fra le marionette e il pubblico. Manganelli non manca di rimarcare l’alleanza fra burattino e burattinaio; entrambi recitano la recitazione «con il risultato di ottenere un altro linguaggio che non è più quello del Gran Teatro, ma in un certo modo del Teatro dei Teatri»198 e dunque incarnano la totalità dell’attore. Il rapporto Mangiafoco-Pinocchio è riletto da Manganelli anche alla luce di un’altra ipotesi: la necessità di uccidere l’Orco per salvare il burattino. Davanti al burattinaio Pinocchio ritorna «pezzo di legno da catasta» che si immola per essere bruciato al posto di 194 Ibid. 195 Ivi, p. 64. 196 Ibid. 197 Ibid. 198 Ibid.
Arlecchino accettando la «morte per fuoco»199. Mangiafoco, accettando di salvarlo, si schiera dalla sua parte praticando quello che Manganelli definisce un «regicidio complottato e portato avanti con sottigliezza»200. Ma, osserva Manganelli, «un complotto inteso alla distruzione di sé partecipa del suicidio per interposta persona»201,dunque Mangiafoco è consapevole che, per liberare il burattino, deve uccidere il lato orrorifico di sé. Una volta uscito dal teatro Pinocchio dimostra di aver assimilato quelle doti di recitazione e di finzione che gli permetteranno di diventare un burattino inesperto ma astuto e di ritrovare «le risorse del Gran Teatro»202 nelle situazioni critiche. Il teatro non è tuttavia solo il luogo della recitazione e dell’agnizione, ma è anche un corridoio narrativo che attraversa i vari piani scenici. Un esempio è rappresentato dalla città di Acchiappacitrulli. I suoi abitanti hanno la funzione di comparse e rappresentano categorie contrapposte (maschi/femmine, poveri/ricchi, decorosi/indecenti) dalla consistenza allucinatoria. Il passaggio di Pinocchio nella città è un percorso attraverso la «Storia come Teatro», quindi rispetto al teatro di Mangiafoco, che è teatro come storia, Acchiappacitrulli rappresenta un ribaltamento sofisticato che perde la magia del circo e acquista la drammaticità della quotidianità. Infatti il giudice scimmione, che abita nella città, è collegato a Mangiafoco in un rapporto di contrapposizione che trova nella barba l’elemento comune: nera quella del burattinaio, bianca quella del giudice.
Il teatro luogo della recitazione si ripresenta in occasione dell’incontro di Pinocchio con gli Assassini. Astuto e veloce, il burattino nasconde le monete d’oro sotto la lingua e tenta la fuga: «subito agguantato, ritrova le risorse del Gran Teatro»203 e mette in scena riti e pantomime per salvarsi. Il passaggio nel Teatro dei burattini ha reso Pinocchio consapevole dei vantaggi della recitazione, sa di poter recitare la finzione e si affida al linguaggio ingannevole della retorica 199 Ivi, p. 69. 200 Ivi, p. 70. 201 Ibid. 202 Ivi, p. 65. 203 Ibid.
per raggiungere la salvezza. Solo la morte sfugge al teatro e alla recitazione: «Pinocchio ha orrore della morte perché non saprebbe recitarla»204 quindi per poter morire deve continuare a vivere, fuggire e recitare.