• Non ci sono risultati.

2. Modelli di intertestualità e intermedialità

2.1. Riscritture

Le riscritture considerate nei prossimi capitoli si basano essenzialmente su una risemantizzazione e «ri-valutazione» del testo di partenza considerato nella sua totalità. La loro analisi strutturale e tematica ha cercato di mettere in luce i diversi approcci riscrittori e, allo stesso tempo, di evidenziare i punti di intersezione tra le varie riscritture del grande classico. Per questo motivo si è cercato, dapprima, di analizzare le opere sovrapponnendole, laddove possibile, al testo di partenza e individuandone via via le differenti evoluzioni. Ognuna di esse ha messo in luce le numerose e differenti possibilità interpretative delle AP che, in questo processo, sono state considerate il modello base di partenza. L’analisi ha però messo in luce come ogni riscrittura, pur mantenendo un forte legame con l’opera collodiana, richiamata in varie e diverse maniere, fornisca a sua volta un nuovo modello riscrittorio e un’evoluzione polifonica che influenza opere successive, partecipando a quel «coagulo» di espansioni e interferenze plurime che si generano di solito intorno a un grande classico. Le riscritture presuppongono una conoscenza dell’opera di partenza da parte del lettore a cui sono destinate, lettore che deve riconoscere un modello sul quale il riscrittore va a compiere la sua pratica di risemantizzazione. Tale pratica si articola poi su una «generazione di senso»101 che ogni testo comporta, entrando in relazione dialogica con altri testi con i quali intesse una nuova rete di significati. Nel processo trasformativo l’opera di riferimento deve essere riconoscibile e la trasformazione può avvenire in maniera diretta, nel caso di un commento, oppure in maniera mediata nel caso di un’imitazione dove il riscrittore crea un modello intermedio su cui innestare il nuovo testo. Nell’atto del trasferire il riscrittore ricombina gli elementi del testo fonte in un nuovo apparato mantenendo viva l’identità dell’ipotesto che dovrà essere riconoscibile ma allo stesso tempo transvalutato. Le riscritture stabiliscono inoltre con il testo                                                                                                                

101 Cfr. J. Lotman, La semiosfera: l’asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, Verona, Marsilio, 1985.

precedente una relazione declinata in vari regimi, dal ludico al satirico al serio e in generi che vanno dalla parodia al pastiche102. Ogni riscrittura poi è influenzata dall’apparato culturale, linguistico e personale del proprio autore: è il riscrittore a decidere quali elementi devono essere mantenuti e come devono essere inseriti in una nuova rete di spunti intertestuali. Egli crea una dimensione imitativa e trasformativa intorno all’ipotesto con un occhio al lettore, il quale conosce il testo fonte e deve essere in grado di riconoscere (in maniera diretta o indiretta, grazie ai suggerimenti dell’autore) anche il mosaico di testi che vi gravita intorno. Diciamo che una letteratura di secondo grado comporta un lettore di secondo grado, al quale il riscrittore fornisce gli strumenti per orientarsi nel nuovo testo. Le riscritture rientrano, infatti, in un sistema in cui uno schema orizzontale fra emittente e ricevente incrocia uno schema verticale di scritti anteriori. A questo proposito Julia Kristeva sostiene che ogni «testo è doppiamente orientato: verso il sistema significante in cui si produce (la lingua e il linguaggio di un’epoca e di una società determinata) e verso il processo sociale a cui partecipa questo discorso».103 Nell’atto di trasformazione il riscrittore sa di dover rendere riconoscibile l’opera fonte, eventuali altri testi, il codice linguistico e i tratti culturali rimontati nel nuovo testo.

Grazie alle sue caratteristiche di smontabilità e rimontabilità, le AP rappresentano un testo che si presta a operazioni di trasformazione diretta o indiretta e che ne favorisce la «riscrivibilità». Una «riscrivibilità» che Giorgio Manganelli affida alla capacità del lettore di individuare indizi e suggerimenti, un lettore che egli considera come un «affranto pellegrino, […] unico che tenga insieme la dispersa famiglia delle parole che lo frastornano, lo invadono, lo occupano, e trasformano»104. Si fa dunque strada in Manganelli l’idea di un testo che risuona nel lettore come un «rumore […] introdotto nel dialogo

                                                                                                               

102 Cfr. G. Genette, Palinsesti. La letteratura al secondo grado, op. cit., pp. 10-36. 103 J. Kristeva, Ricerche per una semanalisi, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 21. 104 G. Manganelli, op. cit., p.10.

fittizio fra autore e lettore».105 I vari richiami al lettore da parte di Manganelli, che d’altronde ricordano le intrusioni diegetiche di Collodi nelle AP, sono forse intesi proprio a sollecitare una cooperazione. Manganelli aspira a una costruzione testuale che risulta tanto più complessa nell’ottica di una interpretazione in cui il testo non ha limiti, è una costruzione labirintica in cui precipitare, mobile, così come mobile deve diventare il lettore. In un articolo pubblicato sul «Corriere della sera» in seguito all’uscita del libro parallelo, Pietro Citati scrive:

Quando abbiamo finito di leggere questo libro parallelo, ci sorprendiamo a immaginare quanti libri paralleli potremmo scrivere. Abbiamo già davanti a noi tutte le trame, tutti i personaggi, tutti i destini possibili: non ci resta che insinuarci nelle pagine dei volumi passati, e raccontare un’altra volta l’Odissea e il Don Chisciotte, Guerra e Pace e I Promessi Sposi, rifacendoli identici e trasformandoli completamente. 106

Citati evidenzia un processo nel segno del rifacimento e della trasformazione, che differenza la riscrittura di Manganelli da quelle di Luigi Compagnone. La riscrittura di Compagnone si allontana dal rewording infralinguistico manganelliano per dedicarsi a una ricontestualizzazione e rienunciazione del testo fonte. Attraverso una commistione di stili, linguistici e letterari, che in un certo senso deformano il testo originario, l’autore procede nella direzione di una «dislocazione»107 del senso che ridelinea la struttura delle AP e modifica la storia. La profonda critica sociale che attraversa l’opera di Compagnone infatti inserisce Pinocchio e le sue avventure in un cronotopo fitto di riferimenti culturali e sociali riconoscibili dal lettore dell’epoca ma inseriti in una rete intertestuale in cui è l’autore a fornire (quasi sempre) gli strumenti                                                                                                                

105 R. Barthes, S/Z, Torino, Einaudi, 1973, p. 227.

106 P. Citati, Questo Pinocchio è un vero fantasma, in M. Belpoliti, A. Cortellessa, (a cura di), Riga 25 Giorgio Manganelli, Milano, Marcos y Marcos, 2006, p. 240.

107 Cfr. L. Doležel, Heterocosmica. Fiction e mondi possibili, Milano, Bompiani, 1999, pp. 202-208; L. Hutcheon, A Theory of Parody: The Teachings of Twentieth Century Art Forms, New York, Methuen, 1985.

necessari per permettere al lettore di orientarsi. In un processo simile, ma orientato alla pratica decostruttiva e ricostruttiva del plot, si inserisce la riscrittura di Robert Coover Pinocchio in Venice, che procede nel segno della rivisitazione consapevole dei topoi collodiani nascosti da una fittissima rete di rimandi intertestuali che sembrerebbe offrire un doppio movimento di adesione e di distanziamento, un double coding in cui si contaminano codici e riferimenti «alti» e «bassi» in un’ibridazione che comporta una pluralità di stili e voci. Attraverso la riscrittura di Luigi Malerba è possibile delineare un diverso approccio nella manipolazione del testo fonte, andando a isolareil personaggio di Pinocchio dall’opera fonte. Malerba procede nella creazione di un mondo in cui collocare una serie di personaggi, derivati da fiabe molto popolari, i quali devono a loro volta ricostruire nuove relazioni e dinamiche conservando però i tratti distintivi acquisiti nelle storie precedenti. La ricostruzione di relazioni passa attraverso dialoghi, digressioni e monologhi che però non si concludono mai in maniera definita. È come se i vari personaggi fluttuassero in una dimensione in cui regna l’incomunicabilità: i vari mondi e i piani narrativi non si intrecciano mai completamente e Pinocchio sembra non poter sopravvivere al di fuori della sua storia. Se Malerba dunque riaccompagna Pinocchio nel capitolo conclusivo delle AP, altri percorsi, improntati all’ibridazione e all’intermedialità, vanno nella direzione opposta.