5. Modelli di permanenza e transizione di Pinocchio fra migrazioni e
5.3. Prime «pinocchiate»
Il filone delle «pinocchiate»328 è inaugurato da Oreste Boni con Il figlio
di Pinocchio del 1893 che propone la prima filiazione del personaggio, seguita da Il fratello di Pinocchio di Ettore Ghiselli del 1898 e Il cugino di Pinocchio di
Augusto Piccioni del 1901. Nelle «pinocchiate» il burattino è isolato dall’opera fonte di cui però, di volta in volta e in base alla necessità dell’opera, mantiene alcuni temi e figure. La sua struttura meccanica, per esempio, lo avvicina a innovazioni tecnologiche di varia natura come in Pinocchio in dirigibile di Epaminonda Provaglio nel 1909 e Pinocchio in automobile di Giulio Erpianis nel 1910; il tema del viaggio e della scoperta è centrale in Pinocchio in Affrica di Eugenio Cherubini del 1904 e Pinocchio nella luna di Tommaso Catani nel 1919. In genere la «pinocchiata» tende a enfatizzare quel lato legato alla fuga e al viaggio che permette ai vari autori di estrarre Pinocchio dalle AP e di incanalarlo in linee narrative indipendenti. Così l’immagine di Pinocchio che salta e sgambetta in terre lontane incontra il gusto per l’esotico che coinvolge il giornalismo, la letteratura di consumo, i fumetti e il cinema dei primi anni del Novecento. Le contaminazioni con altre opere iniziano a proliferare all’inizio degli anni Venti grazie a Bettino D’Aloja (Pinocchio all’inferno; Pinocchio nel
purgatorio; Pinocchio in paradiso) in cui il personaggio è affiancato a Dante
Alighieri.
I cicli di filiazioni e continuazioni procedono fino alla pubblicazione delle «pinocchiate» fasciste che mostrano un Pinocchio piegato alle esigenze della propaganda in cui, in maniera un po’ forzata, quella tendenza alla fuga e alla conquista di nuove esperienze converge nella fascistizzazione del
328 Cfr. R. Biaggioni, Le pinocchiate: appendice bibliografica, in Pinocchio: cent’anni di avventure illustrate, Firenze, Giunti-Marzocco, 1984; L. Curreri, Play it again Pinocchio. Saggi per una storia delle «pinocchiate», Bergamo, Moretti & Vitali, 2017; L. Curreri, M. Martelli (a cura di), Pinocchio e le «pinocchiate», Nuove misure del ritorno, Cuneo, Nerosubianco, 2018.
personaggio. I tratti caratteriali e grafici, talvolta sgradevoli, sono spesso accompagnati da una sottile violenza attenuata dall’intento canzonatorio.
5.4. «Pinocchiate» fasciste
Tra il 1923 e il 1944 compaiono le cosiddette «pinocchiate» fasciste, alcune delle quali sono raccolte da Luciano Curreri nell’opera Pinocchio in
camicia nera 329. Seguendo le tappe fondamentali dell’affermazione del Fascismo, le «pinocchiate» rimangono nell’alveo del genere autarchico, stereotipato, dove anche per la figura di Pinocchio si procede a una ridefinizione dei tratti distintivi che però, perdendo quella predisposizione libertaria, risulta talvolta irriconoscibile, un’icona artificiale che affida la sua riconoscibilità a determinate caratteristiche fisiche che vengono enfatizzate nel corredo iconografico. Oltre a Pinocchio è anche il suo creatore, Carlo Collodi, a essere recuperato dal regime come esempio di scrittore patriottico dalla portata eroica. Nel 1925 la commissione Lombardo Radice inserisce infatti Giannettino e
Minuzzolo nei «libri degni di lode per il loro valore intrinseco e didattico e che
corrispondono bene allo spirito dei nuovi programmi»330.
Le «pinocchiate» fasciste seguono le fasi di sviluppo e affermazione del Fascismo: Avventure e spedizioni punitive di Pinocchio fascista di Giuseppe Petrai illustrato da Giove Toppi inserisce il burattino nelle incursioni squadriste del 1922; Pinocchio tra i Balilla: nuove monellerie del celebre burattino e suo
ravvedimento, scritto e illustrato nel 1927 da Cirillo Schizzo ripercorre la
nascita dell’Opera Nazionale Balilla del 1926 che, nel 1934, raggiunge i due milioni di iscritti; Pinocchio istruttore del Negus e Il viaggio di Pinocchio di Ciapo, disegni di Fulvio Bianconi, del 1944 e Pinocchio vuol calzare gli
329 L. Curreri, Pinocchio in camicia nera, Cuneo, Nerosubianco, 2008-2011.
330 A. Ascenzi, R. Sani (a cura di), Il libro per la scuola tra idealismo e fascismo: l’opera della Commissione centrale per l’esame dei libri di testo da Giuseppe Lombardo Radice ad Alessandro Melchiori (1923-1928), Milano, V&P, 2005, p. 292.
abissini331 pubblicato da Salani nel 1939 ripercorrono il sogno imperiale
mussoliniano degli anni Trenta e il periodo del suo declino intorno al 1944. Petrai descrive Pinocchio come un burattino ravveduto, figlio di un ciabattino e non di un falegname, Geppetto, che lo sceglie fra un gruppo di burattini e lo adotta perché è «sempre ardito e di buon umore, la sua passione è di guadagnarsi la tessera di fascista»332. Personaggi nuovi, come l’antagonista Niccolaccio, si alternano a personaggi noti come Giangio, descritto però non come l’operoso lavoratore delle AP ma come «un fannullone, un vagabondo, in sostanza, che […] riusciva sì e no ad accozzare il pranzo con la cena»333. Per quanto i simboli fascisti, come l’olio di ricino, siano inseriti nella narrazione spogliati del loro carico greve e violento, le illustrazioni di Giove Toppi raccontano invece un burattino piegato alle dinamiche fasciste. Pinocchio infatti indossa una camicia nera, un fez e nell’immagine di copertina versa l’olio di ricino in bocca a Niccolaccio mentre con l’altra mano brandisce un manganello di legno. Il suo naso è molto lungo e dal fez spuntano i capelli. Nelle varie tavole i movimenti risultano piuttosto marcati, a enfatizzare la natura burattinesca che si accompagna a un carico di aggressività e supponenza. Niccolaccio tradisce una certa somiglianza con Mangiafoco: capelli e barba lunghi e neri, ha piedi e mani collegati a fili per essere governato da un burattinaio, che, in un ribaltamento dei ruoli, è proprio Pinocchio.
Il ciclo delle pinocchiate fasciste prosegue con Pinocchio fra i balilla, scritto e illustrato da Cirillo Schizzo nel 1927 e pubblicato dalla casa editrice Nerbini. Il sottotitolo Nuove monellerie del celebre burattino e suo ravvedimento è ripreso dagli intertitoli tematici delle AP e anche l’impostazione dell’opera presenta una suddivisione in capitoli che seguono le scorribande del «monello vegetale» fra personaggi nuovi, come Succianespole il capo dei balilla, Gaetano il guardaboschi, Gustavo il guercio, Pietrone l’accalappiacani, Barabba oltre a
331 Il testo non è parte della raccolta Pinocchio in camicia nera di Luciano Curreri ma può essere incluso nel filone delle «pinocchiate» fasciste.
332 L. Curreri, op. cit., p. 18. 333 Ivi, p. 21.
vecchie conoscenze come Geppetto e un redivivo Lucignolo, che compare brevemente come venditore ambulante di cerotti per i calli e lozioni per i capelli. I primi capitoli descrivono l’attitudine burattinesca alla corsa e alle bricconate compiute ai danni del popolo. Figlio irrequieto e vivace, è fonte di preoccupazioni continue per il povero Geppetto, padre sconsolato e povero. Pinocchio è costantemente in fuga a causa dei suoi malestri e durante una delle sue numerose scorribande ai danni del popolo, è inseguito da Pietrone l’accalappiacani e preso al laccio:
Pinocchio intanto sgambettava disperatamente ciondoloni al laccio che Pietrone teneva sollevato in aria, guardando stupito e contrariato quello strano cane con quel po’ di naso.334
L’immagine di Pinocchio che sgambetta ricorda il finale di Pinocchio I, dove il burattino è sbatacchiato dal vento appeso alla Quercia grande, ma la tensione drammatica è immediatamente interrotta dalla folla che chiede di portare Pinocchio al municipio dentro il «cassino» insieme agli altri cani: per un attimo, egli rivive l’episodio della trasformazione in cane da guardia. Anche in questo caso, l’episodio provoca una cesura rispetto alla prima parte dell’opera: dalla fine del capitolo III, infatti, inizia il processo di conversione alla disciplina balilla del burattino, accompagnato da Succianespole. Il capitolo IV descrive l’incontro fra Pinocchio e il maestro che lo incoraggia a diventare balilla ma, di fronte alla prospettiva dello studio e dell’impegno, il burattino fugge inseguito da Succianespole e i suoi amici. Nella corsa inciampa e infila la testa nella tela di un pittore che sta ritraendo un ciuchino. In questo modo Pinocchio si compie la seconda metamorfosi di Pinocchio, accompagnata da un cartello su cui è scritta la seguente frase:
Questo è Pinocchio Re dei Ciuchi, qui messo alla berlina per punizione
della sua birbanteria. Dategli la biada.335
Le minacce e lo scherno cui è sottoposto convincono il burattino a diventare un Balilla. La sua decisione lo stimola a convincere i suoi compagni di scorribande, il Guercio e Barabba, trasposizione del Gatto e la Volpe, a entrare anch’essi nella palestra dei Balilla, dove Pinocchio è nominato caporale e il racconto si conclude con l’augurio di diventare console. Per quanto il burattino indossi camicia nera, pantaloni verdi e fez, una vena sarcastica e canzonatoria accompagna la sua metamorfosi in balilla: il suo naso colpisce i compagni in piedi sull’attenti, il saluto romano diventa saluto fiorentino, all’ordine di rompere le righe il burattino rompe un righello. L’illustrazione della copertina presenta alcune differenze rispetto alle tavole interne: il personaggio rappresentato in copertina ha tratti del viso umani, con il naso molto pronunciato, mentre il corpo è quello tipico della marionetta; l’abito ricorda l’illustrazione di Enrico Mazzanti, ripresa anche da Carlo Chiostri, con il collo a gorgiera, la casacca a fiori, il cappello bianco a cono e i pantaloni corti a righe. La posa è tipica dell’epoca, con il burattino che fa il saluto romano circondato da alcuni balilla e Geppetto che lo guarda con le mani giunte e l’espressione piena di orgoglio. Le tavole interne invece variano con il variare della storia. Nelle prime illustrazioni Pinocchio rispecchia l’immagine di copertina ma quando cambia abito e indossa la divisa dei Balilla anche la sua immagine si modifica: il naso si accorcia, l’espressione del viso si umanizza, la corporatura è più pingue. La posizione con le mani sui fianchi che si ripete in alcune tavole può essere soggetta a una doppia interpretazione: essa ricorda l’illustrazione classica di Mazzanti ma potrebbe anche riprendere la tipica posa mussoliniana.
Nel 1939 Marzocco pubblica Pinocchio istruttore del Negus nella collana «Libriccini Belli». Qui il burattino, portato in Abissinia da un inglese, dopo essersi rovesciato un calderone di cioccolata addosso, ritorna in patria grazie a un italiano che lo riconosce. L’opera sottolinea l’iconicità e l’identificabilità del personaggio, riconosciuto anche all’estero come simbolo 335 Ivi, p. 53.
dell’italianità: «chi è l’italiano che non riconosce Pinocchio anche se un po’abbronzato…dalla cioccolata?»336. Sempre negli anni Trenta, Nerbini pubblica Pinocchio esploratore: avventure di terra e di mare con chiari richiami alla propaganda fascista e al desiderio di scoperta del burattino.
Dal 1938 circa la casa editrice Nerbini inserisce il burattino in un nuovo filone con la pubblicazione di «Pinocchio: il giornale dei ragazzi italiani» che ricorda, anche nel titolo, il vecchio «Giornale per i bambini» su cui appare la storia per la prima volta. Anche in questo caso il burattino è al centro di un’operazione commerciale e culturale piuttosto interessante sempre legata alla propaganda fascista. Nel 1938 infatti il Ministero della Cultura Popolare (MinCulPop) emette una direttiva che elimina gli eroi statunitensi dai giornali italiani richiedendo la sostituzione con personaggi nostrani. La casa editrice Nerbini accoglie l’istanza inserendo Pinocchio in storie che si ispirano al mondo nordamericano: Pinocchio e la fanciulla del West337, Pinocchio esploratore,
Pinocchio nel Far West e Pinocchio Robinson. Questo tipo di variazione si
interseca con i primi prodotti filmici che si interessano a Pinocchio, primo fra tutti il film di Giulio Antamoro del 1911.
336 Ivi, p. 62.
337 Il 10 dicembre 1910 al Teatro Metropolitan di New York Giacomo Puccini mette in scena la prima dell’opera in tre atti La Fanciulla del West.
6. Percorsi intermediali