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Pinocchio: un libro parallelo. Una riscrittura fra commento

3. Le riscritture di Luigi Compagnone e Giorgio Manganelli

3.3. Giorgio Manganelli e la pratica della riscrittura

3.3.1. Pinocchio: un libro parallelo. Una riscrittura fra commento

La scelta di Le avventure di Pinocchio come ipotesto su cui condurre una riscrittura e una riflessione linguistica e di genere non pare casuale. In La

letteratura come menzogna Manganelli propone una suddivisione dei libri in tre

categorie: da un larto i «grandi e terribili classici, oggetti taciturni e indifferenti, ereditati da arcaici antenati, sacri alle biblioteche dei nascituri»; dall’altro gli altri libri che rimangono provvisoriamente sugli scaffali, «presenze esili ed insolenti» e, infine, quei libri difficilmente collocabili:

Destinati a lettori comuni, anonimi, non meno che agli smaliziati, alle “persone colte”. Entrati di contrabbando in un empireo che non è stato progettato per loro, riescono a rimanervi grazie al festoso cinismo, al garbo delle loro favole lievemente insensate: e così conseguono una frodolenta eternità170.

                                                                                                                168 M. Di Gesù, op. cit., p. 78.

169 G. Manganelli, Discorso dell’ombra e dello stemma, Milano, Rizzoli, 1982.

170 G. Manganelli, I tre moschettieri, in La letteratura come menzogna, Milano, Adelphi, 2004, p. 34.

Il riferimento al «garbo delle favole lievemente insensate» e alla «frodolenta eternità» sembra diretto proprio alle AP opera che, per struttura linguistica e narrativa, non può rimanere indifferente al Manganelli commentatore. Il testo rappresenta infatti un universo complesso dalle molteplici sfumature: la natura metamorfica del burattino, le trasformazioni testuali e i piani di lettura che si sovrappongono, la sparizione dell’autore in seno all’opera, la presenza di storie parallele all’interno dell’ipotesto, elementi che confluiscono nella visione manganelliana di «libro cubico» che contiene a sua volta infiniti libri. Il libro cubico è percorribile secondo vari itinerari e seguendone i sentieri e gli indizi, le parole e i silenzi, tanto da riuscire a contenere tutti i libri paralleli che esso può contenere. All’idea di libro cubico si affianca dunque quella di «libro parallelo», ovvero di:

un testo scritto accanto ad un altro, già esistente libro, una lamina scritta che mima le dimensioni e forme di altra lamina, e ne insegue i caratteri, i segni, parte scrivendo, parte traducendo, confermando, negando, ampliando: avrebbe dunque del commento, e da questo si distinguerebbe per la continuità non frammentata a chiosa di singole parole, ma piuttosto atteggiata a parafrasi volta a volta pantografata o miniaturizzata, o del tutto deviata.171

La lamina scritta è simile a un palinsesto, una sorta di testo sovrascritto in cui il riscrittore «presto si accorge che la lamina ha un suo modo di conformarsi, per cui il ‘libro parallelo’ è tale all’interno del libro che persegue»172. La pratica riscrittoria di Manganelli si apre dunque a numerose interpretazioni che sembrano seguire due direzioni: il rapporto dialogico fra le AP e il libro parallelo e la relazione che coinvolge lo scrittore e il lettore.

Per quanto riguarda la pratica trasformativa operata da Manganelli, Gianfranco Marrone nel saggio Parallelismi e traduzioni: il caso Manganelli sembra suggerire due tipi di parallelismi:

                                                                                                               

171 G. Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, op. cit., p. 7. 172 Ibid.

Un parallelismo esterno tra due libri-lamine, dove il secondo deve per forza di cose mantenere un incontro all’infinito con il primo, ricalcandone forme e percorsi. È il parallelismo […] alla Genette, quello del palinsesto e della parodia, della catena di testi che si copiano e si modificano fra loro, secondo una tassonomia preordinata di regole di passaggio. Dall’altro ci sarebbe invece un parallelismo interno a un libro-cubo, dove la molteplicità dei possibili percorsi di lettura può essere più o meno magnificata, più o meno narcotizzata. È il parallelismo […] alla Jackobson, quello dei meccanismi poetici presenti nella struttura testuale, che implicitamente accompagnano il lettore comune nella fruizione estetica. 173

Marrone suggerisce dunque un parallelismo esterno, più lineare, di compresenza fra due testi di cui uno, le AP, rappresenta «l’umile edificio toscano» che Manganelli trasforma sapientemente in «architettura barocca»174 attraverso digressioni, espansioni, aggiunte, il tutto nella direzione, genettianamente parlando, della metatestualità dichiarata. Il secondo tipo di parallelismo riguarda invece il rapporto con il lettore che in Manganelli diventa il centro di un sistema basato sull’intersoggettività che si riscopre nella scrittura ecolalica e labirintica fatta di scale e di piani da cui precipitare secondo un modello che discende da Hilarotragoedia. In questo processo, in cui tanto il «mittente» quanto il «destinatario» sono condotti negli infiniti meandri nascosti dalle parole, Manganelli suggerisce come la «mano ubbidiente» dell’autore, definito «disegnatore di grafici», dovrebbe rimanere invisibile e permettere alle parole di sfiorarsi e aggregarsi poiché «l’uccisione dell’autore è un’esigenza elementare della lettura»175. Se dunque i testi si parlano fra loro e il lettore è in grado di coglierne il rapporto dialogico, allo scrittore non resta che sparire dietro al testo e permettere al lettore attento, o meglio al «rilettore», di far risuonare il testo dentro di sé. Manganelli attribuisce infatti al «rilettore» una caratteristica                                                                                                                

173 G. Marrone, Parallelismi e traduzione: il caso Manganelli, in P. Fabbri, I. Pezzini (a cura di), op. cit., pp. 262-263.

174 P. Citati, Questo Pinocchio è un vero fantasma, in M. Belpoliti, A. Cortellessa, (a cura di), Riga 25 Giorgio Manganelli, Milano, Marcos y Marcos, 2006, p. 239.

175 G. Manganelli, op. cit., p. 71. In questa affermazione si possono ritrovare echi della teoria di Roland Barthes riguardo la morte dell’autore alla quale viene contrapposto il linguaggio impersonale e anonimo come unico apparato formale dell’enunciazione.

specifica, che lo differenzia dal lettore: la volontà rituale. L’atto della rilettura presuppone difatti una consapevolezza del già letto sulla quale proseguire un’esperienza di approfondimento e introspezione poiché «il lettore, e soprattutto il rilettore, attento, non ignora che una pagina, una riga, una parola è un gran suono dentro di lui, un rintocco cui offre i suoi nervi, gli anfratti anonimi, le latebre latitanti e tenebrose».176 Il riscrittore, che è a sua volta rilettore, è consapevole che quel «rintocco» risuona in una rete testuale in cui un libro «genererà infiniti libri [e] questa sorta di commentatore non parlerà delle parole che si leggono, ma di tutte quelle che vi si nascondono»177. Tuttavia, come nota Grazia Menechella, «ci troviamo di fronte a un paradossale, estremistico tentativo di negazione di comunicazione ma verificheremo che l’autore ‘morto’ è onnipresente e ci dà istruzioni ben precise su come leggere il testo»178: l’autore infatti non è assente e tanto meno nascosto ma anzi si prodiga in approfondimenti e richiami che tradiscono una regia precisa della riscrittura, che si sviluppa alternando con sapienza il libro cubico e la lamina riscritta.