5. Modelli di permanenza e transizione di Pinocchio fra migrazioni e
5.1. Circolarità e replicabilità
delle AP e delle «pinocchiate» con una serie di percorsi del cinema delle origini dove si ritrovano numerosi riferimenti al teatro, al genere slap stick e alla narrazione intervallata da commenti scritti. Guardone procede con un impianto introduttivo molto simile a quello di Disney in cui permangono i commenti scritti di collegamento fra le parti, una recitazione improntata al teatro e una fedeltà all’opera fonte che difficilmente si ritrova in altri adattamenti. Il percorso che porta all’analisi dell’opera di Disney è volto a dimostrare come le prime traduzioni e adattamenti teatrali abbiano rappresentato un solido sostrato su cui Disney ha a sua volta inserito elementi della cultura di arrivo e dell’industria culturale americana coeva. Comencini adotta la scansione seriale e opera un twist narrativo iniziale piuttosto singolare, presentando Pinocchio come bambino in carne e ossa subito dopo la creazione del burattino di legno.
Nel corso dell’analisi si cercherà di mettere in luce i diversi approcci che riguardano principalmente il racconto, la mostrazione e l’interazione. Se, infatti, come sostiene Linda Hutcheon, «un adattamento non esiste nel vuoto né in quanto prodotto né in quanto processo ma sempre in un contesto – un luogo, una società e una cultura determinante»319, è importante considerare non solo il prodotto ma anche il processo che determina e guida i vari itinerari generativi, risultato finale di una concatenazione di scelte formali, enunciative, comunicative, culturali e personali.
5.1. Circolarità e replicabilità
L’industria culturale si presenta come sistema variegato e multiforme in i cui prodotti hanno una caratteristica precisa: il prodotto culturale contiene una matrice riconoscibile inglobata in forme nuove ma dall’alta valenza identitaria. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, l’industria culturale rinforza la costruzione di un modello ideale che si reitera in una serie di modelli che si
adattano a loro volta alle richieste di vari fruitori. Le AP, modello di prodotto culturale primordiale, partecipano a questo tipo di rinnovamento e si adattano alle richieste dell’industria culturale in maniera trasversale. Le varie forme di transcodificazione cui sono sottoposte fanno pensare a un’implosione precoce del materiale pinocchiesco tanto da assimilarlo a una «fabbrica» che ha due matrici di fondo: la circolarità e la replicabilità. Ogni rilettura «industriale» dell’opera produce infatti una germinazione di immagini e una ramificazione e espansione di quei temi che sono già contenuti nella source novel ma che si incanalano in maniera del tutto indipendente da essa e anzi sono al centro di numerosi operazioni commerciali che dipendono dalle esigenze del mercato e della cultura di riferimento. Ma l’industria culturale non opera in solitaria: essa adotta e adatta schemi che si replicano e si ripetono e mentre in Europa si gettano le basi di un’avanguardia che stuzzica le coscienze dei lettori, in Italia «si dà credito ai prodotti d’evasione ben confezionati dalla neonata industria libraria e si fa buon viso al sereno intrattenimento delle gratificazioni ideali»320. Il che rende probabilmente ragione delle numerose pratiche parodistiche che comportano riprese del plot e transodificazioni, pratiche miste, che però, almeno in origine, legano le variazioni all’originale in modo che il lettore possa rifugiarsi in un materiale conosciuto che provoca sì una forma di straniamento, ma la cui matrice rimane stabile. In questo tipo di approccio potrebbe risiedere uno dei motivi da cui discendono le sùbite fuoriuscite di personaggi e linee narrative da romanzi che sono già best seller e che investe grandi classici della letteratura italiana fra cui i Promessi Sposi. La vicenda del romanzo manzoniano rientra unfatti in quella circolarità che coinvolge anche Pinocchio, con alcune differenze sostanziali che riguardano in particolare la grande attenzione che Manzoni riserva alle richieste del mercato culturale e, collegato ad esso, lo sviluppo del materiale iconografico che accompagna la sua opera. Materiale iconografico che accompagna il lettore nella visualizzazione di ciò che legge. Assecondando tale
320 G. Tellini, Le muse inquiete dei moderni, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2006, p. 25.
inclinazione la casa editrice Ricordi, seguendo l’uscita del romanzo del 1827, propone l’acquisto di una serie di dodici tavole litografiche ispirate all’opera al costo di 50 centesimi l’una che Manzoni provvede prontamente a far ritirare ritenendole di scarsa qualità. Ma la tendenza del mercato editoriale è ormai molto definita, tanto che dalla metà dell’Ottocento fiorisce un mercato di illustratori, prevalentemente figurinai, che però eseguono le tavole in maniera indipendente, senza consultarsi con gli autori, i quali a loro volta non si curano troppo del corredo iconografico che accompagna le loro opere. Ma non Manzoni, che intuisce l’importanza dell’immagine di accompagnamento e già con l’edizione del 1827 compila un quaderno, un brogliaccio, su cui indica gli spazi in cui devono essere inserite le illustrazioni arricchiti da una serie di dettagli su abiti, luoghi e persone che affida a Francesco Gonin il quale deve a sua volta eseguire una serie di bozzetti prima di ottenere l’approvazione definitiva dell’autore. La vicenda che conduce all’illustrazione «ufficiale» dell’opera, quella della Quarantana, passa per una serie di contrattazioni che coinvolgono Francesco Hayez, ritenuto troppo autonomo e indipendente dallo scrittore. Ma sono le immagini xilografate di Gonin ad avere la meglio, poiché sembrano soddisfare maggiormente l’occhio del lettore per quel gusto per il dettaglio melodrammatico tanto in voga all’epoca. Le illustrazioni di Gonin accompagnano dunque la pubblicazione in dispense dagli stampatori Guglielmini e Redaelli tra il 1840 e il 1842, edizione curata direttamente da Manzoni. L’edizione rappresenta un punto di riferimento per il rapporto fra testo e immagine che da quel momento segnerà il destino di molte altre pubblicazioni. L’edizione del 1841 è seguita dunque personalmente dall’autore che spera di «farci guadagno» avendoci investito buona parte del patrimonio familiare. Nel flusso circolare dei prodotti che si influenzano a vicenda in un rapporto intermediale rientrano le cartoline illustrate dai disegni di Gonin e i vari prodotti pubblicitari come le carte assorbenti della ditta Bertelli e le figurine Liebig, che dedicano varie serie alla storia e ai luoghi
de I promessi sposi a partire dal 1926 mentre nel 1951 una serie è dedicata alla vita di Alessandro Manzoni321. Come afferma Gianfranco Bettetini, infatti:
fin dalla prima edizione dei Promessi Sposi è fiorito, accanto a variazioni ed analisi ‘colte’, un gran numero di manifestazioni popolari che interessavano quasi tutti gli ambiti espressivi: dalla musica alla poesia, dal melodramma al teatro delle marionette, dal cinema ai fumetti, dal fotoromanzo alla televisione…I 25 lettori-modello auspicati dal Manzoni si sono così trasformati in molti milioni di consumatori, impegnati ai diversi livelli della pluralità di accostamenti consentiti dal romanzo.322
Manzoni dunque comprende e partecipa alla traslazione del romanzo nella cultura popolare «orchestrando con una regia minuziosa quella che sarà la matrice di ogni successiva volgarizzazione: l’integrazione visiva della vicenda per mezzo delle 400 illustrazioni del Gonin a proposito dell’edizione riveduta del 1840»323. Una scelta che, seguendo il filone pedagogico e dell’intrattenimento, privilegia messaggi moralizzanti o momenti descrittivi in uno sviluppo iconografico in cui l’immagine di Manzoni accompagna spesso quella dei suoi eroi. L’autore rimane dunque fortemente collegato al testo e il consumatore ne conosce l’aspetto e il valore artistico: il narratore e il narrato sono egualmente riconosciuti dal pubblico di riferimento. Le figurine Liebig veicolano due tipi di approcci: una serie riassume il romanzo e enfatizza la parte melodrammatica del racconto, con un’attenzione rivolta a gesti e espressioni del corpo; l’altra si
321 Anche la storia di Pinocchio rientra nella serie nel 1961 (serie n. 17750). Intento promozionale e pedagogico accompagnano l’emissione delle figurine, con una progressiva accentuazione della parte informativo-didascalica. Le figurine che riguardano Pinocchio iniziano infatti con una accurata spegazione della genesi dell’opera e della sua prima pubblicazione sul «Giornale per i bambini», cui segue il riassunto della che si sviluppa nelle varie emissioni. Le immagini non rispettano fedelmente la didascalia ma contengono le parti salient del racconto. La parte scritta è molto densa e contiene numerose informazioni.
322 G. Bettettini, Cronaca del “matrimonio” tra l’industria culturale e i “Promessi Sposi” in G. Manetti (a cura di), Leggere i Promessi Sposi, Milano, Bompiani, 1989, p. 255.
focalizza maggiormente sui paesaggi e i luoghi in cui si muovono i protagonisti. La fioritura di variazioni e analisi più o meno colte del romanzo lo avvicinano al tipo di rappresentazione popolare che trova nel teatro delle marionette una delle variazioni più diffuse dell’opera manzoniana che interessano, nel corso del Novecento, i più vari ambiti espressivi, dal cinema ai fumetti, dal fotoromanzo alla televisione, seguendo lo sviluppo dell’industria culturale in tutte le sue forme. Come afferma Aldo Grasso nel saggio Una lacrima sul griso:
le due “figure” narratologiche principali del romanzo sono la circolarità e l’excursus. Circolarità di corrispondenze formali, simboliche, strutturali; circolarità di un testo che non finisce di agire (classico libro per ciascuno e per chiunque); circolarità di un romanzo “alius et idem” in grado di sopportare tutti i tipi di interpretazione e di critica; ma soprattutto circolarità intesa come forza centrifuga: un nocciolo duro attorno al quale ruotano gli spin-offs narrativi. In fondo, i Promessi sposi sono già un remake di Fermo e Lucia. 324
L’iter seguito dalla diffusione dei Promessi sposi è simile a quello di
Pinocchio, che si diffonde attraverso una delle forme più tipiche dell’industria
culturale ottocentesca, il feuilleton, per poi essere inglobato in un romanzo dal forte richiamo visivo. Come Manzoni, anche Collodi dimostra di conoscere le dinamiche dell’industria culturale (non a caso chiede a Biagi di pagargli bene la sua «bambinata»), ma a differenza di Manzoni non mette a frutto fino in fondo una strategia di consumo che lo leghi indissolubilmente alla sua opera: Manzoni è l’autore de I promessi sposi, Collodi non mantiene con la sua creatura un rapporto di dipendenza e univocità e la sùbita fuoriuscita del personaggio dal romanzo ne rimarca l’indipendenza. Manzoni dunque mantiene un vincolo con la sua opera e l’iconografia dei Promessi Sposi rimarrà a lungo legata alle illustrazioni di Gonin mentre il Pinocchio di Mazzanti, pur essendo una delle prime, riuscite illustrazioni del personaggio, non riesce a imporsi come immagine
324 A. Grasso, Una lacrima sul griso. Appunti in margine a una parodia televisiva, in G. Manetti (a cura di), op. cit., p. 294.
di riferimento, tanto che in ogni epoca i vari illustratori definiscono il personaggio in maniera personale o asservita alle esigenze del mezzo e del processo culturale di riferimento. Le pinocchiate che seguono la pubblicazione dell’opera ne sono un chiaro esempio, come anche i vari artisti che si susseguono nella resa del personaggio.
5.2. La promessa sposa di Pinocchio
Nel 1939 Ugo Scotti Berni pubblica, presso Marzocco, La promessa
sposa di Pinocchio. Nelle pagine introduttive Paolo Lorenzini, Collodi Nipote,
parla della storia scritta da Scotti Berni definendola la «vera» continuazione di Pinocchio. Il testo merita qualche riflessione per i diversi spunti che contiene e che la rendono diversa rispetto alle tradizionali «pinocchiate» in cui è il personaggio del burattino a fare da perno a tutta la narrazione. In questo caso l’opera si presenta, già dall’introduzione, come una legittima continuazione della storia del burattino. Un’operazione editoriale e narrativa in cui Collodi Nipote e Berni collaborano per convincere il lettore della veridicità dell’iniziativa. Paolo Lorenzini descrive dunque i presunti incontri fra lo zio Carlo e Ugo Scotti Berni nel corso dei quali il celebre autore lo avrebbe incoraggiato a scrivere il seguito della storia di Pinocchio:
[ Ugo Scotti Berni] trascrisse in brevi annotazioni quanto il Collodi gli disse e, dopo quasi cinquant’anni da allora, se ne è ricordato, le ha tratte fuori dai più cari ricordi della sua giovinezza ed ha scritto questo libro, in omaggio all’amico, che ne fu l’ispiratore325.
Tutta la parte paratestuale è dunque destinata a convincere il lettore dell’autenticità dell’operazione editoriale, come emerge anche da un’analisi della dedica di Scotti Berni, che recita: