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Un caso simile è costituto dal dono dell’imperatrice del Brasile a Leone XIII, un’acquasantiera a trittico, con le anti mobili (Tavv. 5-6). Realizzato in oreficeria, presenta una cornice con tralci di vite che scandisce le scene raffigurate nei tre pannelli: la Crocifissione, Gesù nel Getsemani e l’Ecce Homo, mentre, a trittico chiuso, le ante rappresentano rispettivamente Cristo tra i dottori e la predica della montagna. L’articolo relativo all’acquasantiera non fa riferimento alle tecniche utilizzate per l’esecuzione delle scene, ma, a giudicare dalle incisioni, è probabile che la parte feriale fosse eseguita a bassorilievo18. Per il lato festivo invece si può fare riferimento alla Piccola guida della

Esposizione Vaticana, dove l’opera viene descritta come una “Acquasantiera in forma di

trittico con miniature in pergamena; cornice in oro adorna di perle nere”19. L’opera è

immediatamente ascritta allo “stile ogivale”, la cuspide centrale è paragonata addirittura alle cattedrali gotiche di area tedesca20. Per le parti figurate – in particolare per le ante visibili a trittico aperto – il rimando stilistico è invece “lo stile del quattrocento, con vigoria grandissima nei profili e nei contorni”21. Nonostante negli articoli in questione si lodi l’oggetto per la preziosità dei suoi materiali e la tecnica con la quale è stato eseguito, non se ne nomina l’autore, anche se in uno dei periodici ci si rammarica di non conoscere il nome del “valente pittore” a cui si deve la decorazione degli scomparti del trittico22

. Si direbbe quasi – e le ricerche su altri oggetti esposti sembrano confermarlo – che in quest’esposizione sia dato più rilievo ai committenti che agli artisti che hanno realizzato le opere esposte, con un evidente intento celebrativo. Conferma questa teoria la Fedeli Bernardini, la quale pone in rilievo il carattere di propaganda che assumeva il dono fatto a Leone XIII, e ciò spiegherebbe “l’asimmetria del rapporto donatore-oggetto del dono”, che si verifica tramite l’“occultamento

18 U. F., Acquasantiera a trittico offerta da Sua Maestà l’Imperatore [sic] del Brasile, in L’Esposizione

Vaticana, cit., 1888, p. 159; Album dell’Esposizione, cit., 1888, p. 46. L’oggetto, a differenza di quanto riportato

dal titolo dell’articolo, è un dono dell’imperatrice del Brasile, come riportato più volte sia ne L’Esposizione

Vaticana illustrata che nell’Album.

19 Piccola guida della Esposizione Vaticana dei doni offerti al Sommo Pontefice Leone XIII, Roma 1888, p. 35. Anche nella guida del Rondina si fa riferimento alle tre scene della Passione come dipinte su pergamena. Cfr. F. S. RONDINA, La mostra Vaticana o l’omaggio di tutto il mondo al Sommo Pontefice Leone XIII, Roma 1888. 20

“La cornice rappresenta un pergolato di vaghissimo intreccio, e di stile ogivale, con un serpeggiamento elegante di vitigni d’oro carichi di grappoli d’uva matura, perfettamente imitati da ciocche di perle nere di squisita bellezza […]. La cuspide assorge elegante, fiorita, maestosa come nelle cattedrali gotiche tedesche, fino a sviluppare un bel cespo frondoso a capo di una piramide di grappoli; e quel cespo opportunamente supporta in cima al pinnacolo la croce […].

Ci duole d’ignorare il nome del valente pittore, che ha condotto a tanta perfezione di miniatura di questo bellissimo trittico ogivale ad uso di acquasantiera”. F., 1888, p. 159; si veda inoltre l’Appendice documentaria. 21 Album dell’Esposizione, cit., 1888, p. 46.

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dello stesso, esaltazione del prestigio del donatore e dei suoi valori, oppure dell’ospitante a cui si dona”23

.

È stato comunque possibile individuare un possibile autore per il trittico in questione, più precisamente si ipotizza che si debba all’atelier dei Froment-Meurice24. L’oggetto presenta

difatti numerose analogie con il trittico-reliquiario di Elisabetta d’Austria, opera dei suddetti orefici donata nel 1857 alla sovrana dalla città di Arad, in Romania, ed attualmente in collezione Guenther (Tav. 7)25. Oltre alla particolare forma a trittico, entrambi sono caratterizzati da una ricca decorazione vegetale, composta prevalentemente da tralci di vite – con perle nere quella romana, bianche per l’altra – che formano motivi decorativi simili. Inoltre le scene raffigurate sulle ante dei due trittici sono identiche, ed anche a pannelli chiusi la decorazione è simile: il trittico in collezione Guenther presenta quattro scene in basso- rilievo – Gesù tra i dottori, la predica della montagna, l’Ultima Cena e la consegna delle chiavi a San Pietro – che corrispondono in parte a quelle dell’opera donata al Papa26. I primi due episodi difatti coincidono, ma è possibile che anche gli altri fossero presenti sul trittico romano ma che, trovandosi sul retro del pannello centrale, non siano stati visti dall’autore dell’articolo. Persino la forma degli sportelli è la medesima, le scene sono difatti caratterizzate in entrambi i casi da una forma cuspidata archiacuta, smorzata solo in parte dalla cornice dell’esemplare romano, molto più massiccia dell’altra. La sola differenza nella raffigurazione degli episodi della vita di Cristo è costituita dalla tecnica esecutiva: come detto in precedenza, la parte festiva del trittico esposto a Roma era costituita da miniature su pergamena, mentre le stesse scene in collezione Guenther sono raffigurate con la pittura a smalto.

Secondo il Berthod il trittico-reliquiario trarrebbe ispirazione da un altro, esposto nel 1849 a Parigi e del quale si sarebbero in seguito perse le tracce27. Altra tesi è supportata da Dion- Tenenbaum e Massé, per i quali si tratta del medesimo oggetto, presente sia all’esposizione parigina del 1849 che del 1855; in tali occasioni non avrebbe avuto però le decorazioni su smalto, ma delle semplici pitture su pergamena28. A mio giudizio è più probabile quest’ultima

23

FEDELI BERNARDINI, 2006, p. 209.

24 Su Froment-Meurice si veda L. DUSSIEUX, Les artistes français à l’étranger, Paris-Lyon 1876; V. A. C.,

Froment-Meurice François-Désiré, in THIEME, BECKER, 1916, vol. XII, pp. 521-523; Trésors d’argent. Les Froment-Meurice orfèvres romantiques parisiens, cat. della mostra, Paris 2003; ALCOUFFE, 1991, pp. 498-

501.

25 Cfr. A. DION-TENENBAUM, M.-M. MASSÉ, Notices des œuvres, in Trésors d’argent, cit., 2003, pp. 187- 218.

26 Per la descrizione del trittico-reliquiario si veda DUSSIEUX, 1876, pp. 157-158; B. BERTHOD, L’orfèvrerie

religieuse et liturgique des Froment-Meurice, in Trésors d’argent, cit., 2003, pp. 125-146. Nel saggio in

questione non sono presenti immagini del retro, non è stato quindi possibile confrontarlo con il trittico esposto a Roma.

27 BERTHOD, 2003, p. 129.

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ipotesi, soprattutto se si tiene conto che l’opera fu conclusa e donata solo nel 1857, quindi a tali date è più che possibile che non fosse ancora terminata, e che le pitture di pergamena fossero una scelta temporanea. Inoltre proprio nel 1855, a pochi mesi dall’Esposizione Universale di Parigi, François-Désiré Froment-Meurice muore, lasciando la bottega nelle mani della vedova e del figlio Émile, ancora minorenne29. Probabilmente per questi motivi il trittico fu esposto con una soluzione temporanea, per essere in seguito concluso e consegnato alla committenza.

Rimane da chiarire per quale motivo si sia scelta quest’opera come modello per quella di Roma, eseguita a più di trent’anni di distanza dalla prima, modello dunque che si sarebbe potuto considerare non più aggiornato. Ciò potrebbe essere dovuto ad una precisa richiesta della committente – che quindi aveva ben presente il trittico-reliquiario di Elisabetta d’Austria – e testimonierebbe pertanto la fortuna del suddetto oggetto. Un’altra possibilità potrebbe essere rappresentata invece da una commissione generica, e che la scelta del modello si debba ad Émile Froment-Meurice, che avrebbe quindi ripreso un’opera del padre, in segno di continuità con il lavoro di questi. In entrambi i casi sembrerebbe che sia dal punto di vista dell’artista che della committenza non conti tanto l’aggiornamento stilistico per le oreficerie religiose quanto piuttosto il riferimento ad un modello figurativo collaudato.

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