Un’altra opera esposta a Roma che fa riferimento, ma in maniera esplicita, ad altri oggetti, è uno scrittoio con sedia, donato dalla diocesi di Aversa e realizzato dall’Istituto Artistico di San Lorenzo della città, sotto la direzione di Angelo Grossi (Tav. 8)30. In “puro stile bizantino”, presenta la caratteristica di essere decorato con motivi desunti dalle medaglie emesse annualmente dal Papa31. Per la cattedra in questione gli artigiani si concentrarono in particolare su quelle emesse durante il pontificato di Leone XIII32. In realtà solo una parte dello scrittoio è ornata seguendo tali fonti: i lati del tavolo sono contraddistinti difatti dalle sculture di Alfano, rappresentanti quattro Dottori della Chiesa, e solo nella parte anteriore è riprodotta una scena contenuta nella medaglia del 1887, la pacificazione della contesa tra Germania e Spagna intorno alle Isole Caroline (Tav. 9)33. Sulla parte superiore dello scrittoio, sorretta da due colonne tortili, sono presenti le riproduzioni in legno di altre otto medaglie papali, relative ovviamente alle imprese di Leone XIII34. Il riferimento allo stile bizantino è quindi completamente arbitrario – si potrebbe al massimo individuare un certo neomedievalismo, avvertibile nelle arcate trilobate della parte inferiore del tavolo –, eppure è riportato in tutti gli articoli sulla cattedra di Aversa. Probabilmente la chiave di lettura di tale identificazione in questo caso è fornita dalla seguente spiegazione, riportata nell’Album
dell’Esposizione: “Il perché [il riferimento ai medaglioni papali] il dono non assume solo il
carattere di artistico, ma di storico ancora”35
. Sebbene i due elementi non siano direttamente messi in relazione dall’autore, sembrerebbe quasi che in questo caso la definizione di
30 Su Vincenzo Alfano, allievo di Domenico Morelli e Filippo Palizzi presso l’Accademia di Napoli, si veda E. VON MACH, Alfano Vincenzo, in THIEME, BECKER, 1907, vol. I, p. 277.
31 Esposizione mondiale Vaticana, Roma 1888, p. 133; cfr. l’Appendice documentaria.
32 Per le medaglie annuali emesse dal Vaticano si veda F. BARTOLOTTI, La medaglia annuale dei Romani
Pontefici, Rimini 1967.
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“atteggiati a sacra maestà stanno ai lati del mobile quattro dei grandi Dottori della Chiesa, Agostino, Ambrogio, Tommaso, Bonaventura […].Il fatto più memorando che segna la pagina più gloriosa del Pontificato di Leone XIII, la controversia cioè intorno alle Isole Caroline da Lui composta fra la Germania e la Spagna e rappresentata nella medaglia dello scorso mese di giugno, forma il pannello maggiore della parte anteriore dello scrittoio.” Cfr. Esposizione mondiale, cit., 1888, pp. 133-134; si veda inoltre l’Appendice documentaria. Per la medaglia in questione si veda BARTOLOTTI, 1967, p. 311.
34 Le medaglie riprodotte corrispondono ai primi anni di pontificato di Leone XIII: la prima rappresenta la Chiesa e la missione del Papa; la seconda celebra l’enciclica Aeterni Patris sive de Philosophia Christiana (1879), che dette impulso agli studi sull’opera di san Tommaso; la terza richiama l’istituzione della scuola di belle arti in Vaticano; la quarta si riferisce alla canonizzazione di quattro santi; la quinta presenta l’omaggio degli Slavi al pontefice, per l’istituzione della gerarchia ecclesiastica in Boemia ed Erzegovina e l’introduzione presso i cattolici delle feste di due santi slavi; la sesta ricorda il prolungamento del porticato della basilica di San Giovanni in Laterano, che veniva così a collegarsi con il battistero; la settima celebra l’apertura dell’Archivio Segreto Vaticano, mentre l’ottava rammenta l’ampliamento e la decorazione della Basilica Lateranense.
Per una descrizione puntuale delle scene Esposizione mondiale, cit., 1888, p. 133; Appendice documentaria. Sulle relative medaglie si veda BARTOLOTTI, 1967, pp. 303-310.
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bizantino fornisca all’oggetto un’aura di maggior solennità, rendendolo degno di essere ricordato e quindi storicizzato.
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“Ostensorio di stile ogivale”, di Edoardo Collamarini ed Alessandro
Zanetti.
Come si è visto finora, alcune delle opere esposte in occasione del giubileo di Leone XIII riprendono modelli o fonti antiche, anche se non sempre vi è una ripresa filologica dell’opera originaria. Un caso analogo è costituito dall’ostensorio presentato dalla diocesi di Bologna, eseguito “con sì scrupolosa esattezza dall’orefice bolognese sig. Alessandro Zanetti”, su disegno dell’architetto Edoardo Collamarini, a sua volta bolognese (Tav. 10)36. L’opera si
ispirerebbe, secondo il Carpanelli, alle oreficerie medievali di Bologna, in particolar modo ai reliquiari presso Santo Stefano e San Domenico, “che furono da lui presi in esame”. Ma, dovendo realizzare un ostensorio, “coronò il suo disegno di una raggiera, o fascia circolare di raggi, a cui, per non dipartirsi troppo dall’antico, antepose sette fiamme”37
. La raggiera presenta in realtà caratteri ibridi tra il medievale – la parte centrale dove è esposta l’ostia consacrata – ed il neo-cinquecentesco, avvertibile soprattutto nei raggi, dovuto anche in parte alla tipologia di ostensorio scelto.
Il riferimento ai reliquiari bolognesi è, in effetti, chiaramente leggibile, soprattutto nella parte inferiore dell’opera. Essa ricalca difatti in modo abbastanza fedele quello di San Petronio, attualmente presso il Museo di Santo Stefano di Bologna (Tav. 11)38. La forma del basamento, l’uso degli smalti alla base, ed il nodo con le figurine di santi sotto le arcate costituiscono delle somiglianze abbastanza stringenti. Sono riscontrabili analogie con altre oreficerie bolognesi – il reliquiario di San Domenico e quello di San Tommaso ad esempio per le figurine di angeli sul basamento – ma si tratta di caratteri minori, che confermano comunque l’attenzione dell’ideatore dell’ostensorio alle emergenze locali39
. Oltre alla derivazione dall’antico nell’opera è rintracciabile anche un altro aspetto: come già per la croce
36 G. CARPANELLI, Ostensorio di stile ogivale, dono collettivo dell’Archidiocesi [sic] di Bologna, in
L’Esposizione Vaticana, cit., 1888, pp. 192, 206-207. Si vedano inoltre C. PELLEGRINI, Ostensorio di Papa Leone XIII, in G. CECCARELLI, G. GENTILINI, S. NARDICCHI (a cura di), Santi e Papi in terra d’Umbria: arte e fede nelle otto chiese sorelle, cat. della mostra, Spoleto 2007, p. 56 e l’Appendice documentaria.
37 CARPANELLI, 1888, p. 192.
38 Sul reliquiario citato si veda D. TRENTO, Tracciato per l’oreficeria a Bologna: reliquiari e paramenti
liturgici dal 1372 al 1451, in R. D’AMICO, R. GRANDI (a cura di), Il tramonto del Medioevo a Bologna. Il cantiere di San Petronio, cat. della mostra, Bologna 1987, pp. 231-253; F. FARANDA, Il reliquiario del capo di San Petronio, in ID. (a cura di), Iacopo Roseto e il suo tempo. Il restauro del reliquiario di San Petronio, Forlì
1992, pp. 57-118; R. PINI., Oreficeria e potere a Bologna nei secoli XIV e XV, Bologna 2007.
39 In occasione del restauro del reliquiario di san Petronio il Faranda rileva la sostituzione dell’anima con una in ottone, intervento dovuto ad un restauro ascrivibile, a suo giudizio, al secondo Ottocento, se non all’inizio del XX secolo. Ciò che lo studioso ritiene un segno del progressivo disinteresse nei confronti dell’oggetto – l’uso di un materiale “non nobile” e la tecnica industriale con il quale è stato realizzato – rileva in realtà la sussistenza di un interesse verso il reliquiario, che fu restaurato con ciò che probabilmente all’epoca era ritenuto all’avanguardia dal punto di vista tecnologico. Cfr. FARANDA, 1992, p. 76.
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processionale di Armand-Calliat citata poc’anzi, l’opera in questione presenta difatti una complessa simbologia – secondo quanto riporta il Carpanelli – poiché “nell’arte ogivale tutto è simbolico, e tutto mirabilmente serve ad inalzare [sic] lo spirito a Dio”40
. Il tema della decorazione è l’esaltazione di Dio tramite la chiesa bolognese, rappresentata simbolicamente dalla struttura ad arborescente dell’ostensorio e dai santi patroni della città, e Bologna stessa, con attenzione particolare alla tradizione dei suoi studi giuridici41.
Il riferimento dell’opera alle suddette celebri oreficerie bolognesi si comprende meglio se si considera la figura di Edoardo Collamarini (1863-1928), l’architetto incaricato dalla diocesi di fornire il disegno per l’ostensorio: attivo nel secondo Ottocento a Bologna, fu fin dall’inizio della sua carriera in stretto contatto con Alfonso Rubbiani, con il quale collaborò per alcuni progetti di restauro, come quello della basilica di San Francesco a Bologna42. L’anno precedente l’Esposizione Vaticana aveva partecipato al concorso per il completamento della facciata di San Petronio, in occasione del quale presentò un disegno fuori concorso, eseguito in collaborazione con il Rubbiani. Fu attivo anche nel resto d’Italia, realizzando alcuni edifici
ex novo, come il santuario della Madonna del Sangue a Re, in provincia di Novara, definito
dalla Bessone-Aurelj “il suo capolavoro”43. Si tratta quindi di un personaggio strettamente legato alla cultura storicista presente a Bologna in quegli anni, rappresentata nella forma più nota dalla figura di Alfonso Rubbiani ed i relativi cantieri di restauro44. È dunque probabile che la scelta di un modello locale ascrivibile al Medioevo non si debba solo alla necessità di
40 CARPANELLI, 1888, p. 192. 41
“A chiunque infatti attentamente lo riguardi, si fa subito palese che quel fusto argenteo e dorato, adorno di stemmi, di angeli, di tempietti a traforo, di statuette e di epigrafi, non è che un prezioso rivestimento del troco di una mistica pianta, la Chiesa Bolognese […]. E posciachè questi mistici frutti di cotale pianta giammai sarebbero venuti a perfezione di maturità, ove il sole immortale, Cristo Gesù, che si nasconde sotto il velo degli azimi [sic] eucaristici, non avesse del suo calore fecondato il tronco; perciò alla sommità di esso sta la raggiera […]. Inoltre, alla santificazione dei popoli validamente cooperando la intercessione di coloro, che, fatti ora concittadini di Dio nei tabernacoli della gloria celeste, prima lo furono di noi […]; così assai si addiceva che nel fusto esteriore di questa mistica pianta, che è la Chiesa Bolognese, apparissero le figure di alcuni almeno dei principali protettori della città. […] lungo una fascia azzurra sottostante al nodo della impugnatura, che ha un giro di finestre bifore, si legge il motto inciso sul sigillo antico dei signori anziani di Bologna, ossia il famoso esametro leonino: PETRVS VBIQVE PATER, LEGVMQVE BONONIA MATER, e cioè: PIETRO DOVUNQUE PADRE, BOLOGNA IN LEGGI MADRE. È l’epilogo della storia di Bologna la dotta, della sua gloria più fulgida, dell’antichissimo suo studio, dove […] fiorì lo insegnamento del diritto civile e canonico, del quale Bologna fu maestra a tutta Europa”. Cfr. CARPANELLI, 1888, pp. 192, 206-207.
42 Per un profilo biografico del Collamarini, nonché per la sua produzione artistica, si veda BESSONE-AURELJ, 1947, p. 161; G. MIANO, Collamarini Edoardo, in Dizionario biografico, cit., 1982, vol. 26, pp. 788-793; E. BALDINI (a cura di), Biografie, in C. BERNARDINO, D. DAVANZO POLI, O. GHETTI BALDI (a cura di),
Aemilia Ars, 1898-1903: arts & crafts a Bologna, cat. della mostra, Milano 2001, pp. 251-262.
43 BESSONE-AURELJ, 1947, p. 161. 44
Sul Rubbiani e la sua opera si vedano E. FARIOLI, L’Aemilia Ars: alcune precisazioni, in F. SOLMI, M. DEZZI BARDESCHI (a cura di), Alfonso Rubbiani: i veri e i falsi storici, cat. della mostra, Bologna 1981, pp. 267-334; O. GHETTI BALDI, Arts and Crafts a Bologna, in EAD., C. BERNARDINO, D. DAVANZO POLI (a cura di), Aemilia Ars, 1898-1903: arts & crafts a Bologna, cat. della mostra, Milano 2001, pp. 41-86; E. RAIMONDI, Alle origini dell’Aemilia Ars: ideologia e poetica, ivi, pp. 21-30.
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rappresentare la città tramite un oggetto particolarmente significativo per essa, ma sia legata anche alla sensibilità dell’autore del disegno per tale epoca.
Anche Alessandro Zanetti non fu del tutto estraneo al movimento bolognese dell’Aemilia Ars, di cui Alfonso Rubbiani fu il principale promotore tra la fine dell’Ottocento ed i primi anni del secolo successivo: nel 1902 difatti il gruppo si trasformò in una società anonima cooperativa di progettazione, produzione e commercio di oggetti di arte decorativa, coinvolgendo numerose manifatture presenti a Bologna45. Tra di esse vi era il laboratorio orafo dei fratelli Zanetti, Gaetano ed Alessandro, discendenti da una lunga tradizione di oreficeria, le cui prime testimonianze risalgono al terzo quarto del XVIII secolo; i due proseguirono l’attività paterna dal 1884 alla morte di Alessandro, nel 1903, ottenendo un notevole successo di critica46. Nonostante la fama non si hanno molte notizie circa le opere realizzate dalla manifattura, la sola testimonianza del loro operato è l’intervento presso il cantiere di restauro della chiesa di San Francesco a Bologna, sotto la direzione di Alfonso Rubbiani, tra il 1890 ed il 1900 circa: la bottega eseguì alcuni arredi per le cappelle radiali della chiesa francescana, parte dei quali eseguiti su disegni di futuri membri dell’Aemilia
Ars47.
45
Per la nascita dell’Aemilia Ars si vedano E. BALDINI, I precedenti e l’eredità di Aemilia Ars a Bologna, in C. BERNARDINI, M. FORLAI (a cura di), Industriartistica bolognese: Aemilia Ars: luoghi materiali fonti, Cinisello Balsamo 2003, pp. 50-52; S. SCARROCCHIA, Aemilia Ars tra arte e industria. La formazione della Kunstindustrie a Bologna e in Emilia Romagna, ivi, pp. 9-17.
46
Sui fratelli Zanetti si vedano C. BULGARI, Argentieri, gemmari e orafi d’Italia – Parte quarta – Emilia , Roma 1974, pp. 288-290; BALDINI, 2001, p. 261.
47 BALDINI, 2001, p. 261. Sul cantiere del San Francesco, momento fondamentale per lo sviluppo del revival medievale a Bologna e la nascita dell’Aemilia Ars si veda EAD., I luoghi, in BERNARDINI, FORLAI (a cura di), 2003, pp. 18-19.
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